Ieri ho scattato questa foto, pensando: «…Boh, per ora non so ancora, ma poi mi verrà in mente qualche cosa su questa immagine, da raccontare ai miei amici viandanti per pensieri…».
I pensieri però sono belli quando fluiscono spontanei. Non li puoi forzare, perché dopo si coglie l’innaturalezza e si evidenzia la fetenzìa.
Vedendo dunque che non ne scaturiva nulla, mi sono accontentato di aver fatto una foto curiosa e poi ho guardato due film (come “consecutio logica” mi pare che ci siamo…o no?).
In realtà, col primo film si è trattato di un ripasso. Sto parlando di «Full metal jacket» (di Stanley Kubrick, ma cosa ve lo dico a fare…). Ogni tanto lo devo rivedere, perché a mio avviso è uno dei film più belli della storia del cinema. Questa considerazione mi fa scattare spesso diversi interrogativi riguardo al senso della bellezza.
La bellezza può essere determinata anche da componenti “non belle” di per sè? La risposta è sì, e «Full metal jacket» sta lì per dimostrarlo. Non c’è proprio nulla di “bello” in quel film, ma nondimeno è uno degli esempi espressivi umani dagli esiti estetici più potenti e penetranti di tutta la storia della creatività del ‘900.
Kubrick si arrotola la manica, affonda la mano fino al gomito nella melma portentosa della realtà, nella esaltante feccia della vita, e la tira fuori tutta inzaccherata, stringendo un pugno grondante di contraddizioni e paradossi: ecco esattamente quello che fa in «Full metal jacket».
La bellezza qui non è data da cose “belle”, ma sta tutta nell’occhio lucido, nello sguardo onesto, pulito ed umanissimo di Kubrick. E naturalmente, sta anche nella perfetta sintonia tra forma e sostanza (che si fa presto ad avere in mente come scopo da raggiungere, ma se non ti chiami Kubrick, hai voglia a sprecare chilometri di pellicola…).
Dato che ero partito con un certo tono, ho voluto continuare a trattarmi bene, e mi sono poi gustato «L’uomo che amava le donne», di Francois Truffaut. Questo film tocca ovviamente registri molto più delicati, sfumati, sottili, tracciando in questo modo un’altra strada maestra verso la bellezza (Altro appunto da segnarsi sul taccuino: non solo la bellezza non è data necessariamente da cose “belle”, ma le vie che portano alla bellezza sono infinite).
Truffaut ci dice che ciascun uomo vorrebbe amare tutte le donne del mondo.
C’è chi cerca di applicare questo programma alla lettera, votandosi al “dongiovannismo militante” (come il protagonista del film); c’è chi riesce a sublimare, condensando tutte le donne del mondo in una sola (e forse questi, tutto sommato, sono i più fortunati…); c’è chi opera invece una sublimazione al contrario, rifuggendo in un “platonismo” più o meno forzato, più o meno voluto, più o meno imposto dalle circostanze (e questo mi fa venire in mente qualcuno, senza fare nomi né cognomi, ma solo iniziale e finale: “g” ed “l”).
Ci sono insomma tante varianti nelle quali si può concretizzare quell’afflato “sovrumano troppo umano”, ma nella sostanza per il maschio (intendendo il termine depurato da qualsivoglia accezione “machista”) ciò che rimane è sempre una tensione a fondersi col più potente “altro da sé” che la vita gli pone dinnanzi, nell’eterna nostalgia per una completezza forse un tempo posseduta, in chissà quale dimensione, in chissà quale realtà.
Guarda che ti riguardo dei bei film, va a finire che mi tornano in mente i miei funghetti, quelli della foto. Ho così pensato che spesso mi viene da scattare fotografie in cui cerco di creare una sorta di dialogo fra un oggetto in primo piano e uno scenario in lontananza, con altri oggetti. Non nego che la cosa, il più delle volte per pigrizia fotografica, mi viene spontanea nella ricerca di un facile effetto.
Ma forse c’è qualche motivo recondito in più ed ha a che fare con il cambio di prospettiva, col desiderio continuo di mutare le proporzioni del mio sguardo sul mondo. Forse vi si cela dietro un misto inconscio di volontà di sapere tutto, di curiosità di essere in ogni luogo, di spasmodico tentativo di oltrepassare la limitatezza dell’«esse est percipi» Berkeleyano. Sentiamo sempre un continuo bisogno di “zoomate” esistenziali, di incessanti e frequenti cambi d’inquadratura.
E tutto ciò rassomiglia un po’ alla chimerica propensione di volersi “completare” in tutte le donne del mondo, oppure di riuscire a coprire il mondo con uno sguardo esatto, completo, definitivo.
O forse tutte queste sono soltanto cappellate troppo grandi per ricevere riparo sotto le piccole cappelle di cinque funghetti.
I pensieri però sono belli quando fluiscono spontanei. Non li puoi forzare, perché dopo si coglie l’innaturalezza e si evidenzia la fetenzìa.
Vedendo dunque che non ne scaturiva nulla, mi sono accontentato di aver fatto una foto curiosa e poi ho guardato due film (come “consecutio logica” mi pare che ci siamo…o no?).
In realtà, col primo film si è trattato di un ripasso. Sto parlando di «Full metal jacket» (di Stanley Kubrick, ma cosa ve lo dico a fare…). Ogni tanto lo devo rivedere, perché a mio avviso è uno dei film più belli della storia del cinema. Questa considerazione mi fa scattare spesso diversi interrogativi riguardo al senso della bellezza.
La bellezza può essere determinata anche da componenti “non belle” di per sè? La risposta è sì, e «Full metal jacket» sta lì per dimostrarlo. Non c’è proprio nulla di “bello” in quel film, ma nondimeno è uno degli esempi espressivi umani dagli esiti estetici più potenti e penetranti di tutta la storia della creatività del ‘900.
Kubrick si arrotola la manica, affonda la mano fino al gomito nella melma portentosa della realtà, nella esaltante feccia della vita, e la tira fuori tutta inzaccherata, stringendo un pugno grondante di contraddizioni e paradossi: ecco esattamente quello che fa in «Full metal jacket».
La bellezza qui non è data da cose “belle”, ma sta tutta nell’occhio lucido, nello sguardo onesto, pulito ed umanissimo di Kubrick. E naturalmente, sta anche nella perfetta sintonia tra forma e sostanza (che si fa presto ad avere in mente come scopo da raggiungere, ma se non ti chiami Kubrick, hai voglia a sprecare chilometri di pellicola…).
Dato che ero partito con un certo tono, ho voluto continuare a trattarmi bene, e mi sono poi gustato «L’uomo che amava le donne», di Francois Truffaut. Questo film tocca ovviamente registri molto più delicati, sfumati, sottili, tracciando in questo modo un’altra strada maestra verso la bellezza (Altro appunto da segnarsi sul taccuino: non solo la bellezza non è data necessariamente da cose “belle”, ma le vie che portano alla bellezza sono infinite).
Truffaut ci dice che ciascun uomo vorrebbe amare tutte le donne del mondo.
C’è chi cerca di applicare questo programma alla lettera, votandosi al “dongiovannismo militante” (come il protagonista del film); c’è chi riesce a sublimare, condensando tutte le donne del mondo in una sola (e forse questi, tutto sommato, sono i più fortunati…); c’è chi opera invece una sublimazione al contrario, rifuggendo in un “platonismo” più o meno forzato, più o meno voluto, più o meno imposto dalle circostanze (e questo mi fa venire in mente qualcuno, senza fare nomi né cognomi, ma solo iniziale e finale: “g” ed “l”).
Ci sono insomma tante varianti nelle quali si può concretizzare quell’afflato “sovrumano troppo umano”, ma nella sostanza per il maschio (intendendo il termine depurato da qualsivoglia accezione “machista”) ciò che rimane è sempre una tensione a fondersi col più potente “altro da sé” che la vita gli pone dinnanzi, nell’eterna nostalgia per una completezza forse un tempo posseduta, in chissà quale dimensione, in chissà quale realtà.
Guarda che ti riguardo dei bei film, va a finire che mi tornano in mente i miei funghetti, quelli della foto. Ho così pensato che spesso mi viene da scattare fotografie in cui cerco di creare una sorta di dialogo fra un oggetto in primo piano e uno scenario in lontananza, con altri oggetti. Non nego che la cosa, il più delle volte per pigrizia fotografica, mi viene spontanea nella ricerca di un facile effetto.
Ma forse c’è qualche motivo recondito in più ed ha a che fare con il cambio di prospettiva, col desiderio continuo di mutare le proporzioni del mio sguardo sul mondo. Forse vi si cela dietro un misto inconscio di volontà di sapere tutto, di curiosità di essere in ogni luogo, di spasmodico tentativo di oltrepassare la limitatezza dell’«esse est percipi» Berkeleyano. Sentiamo sempre un continuo bisogno di “zoomate” esistenziali, di incessanti e frequenti cambi d’inquadratura.
E tutto ciò rassomiglia un po’ alla chimerica propensione di volersi “completare” in tutte le donne del mondo, oppure di riuscire a coprire il mondo con uno sguardo esatto, completo, definitivo.
O forse tutte queste sono soltanto cappellate troppo grandi per ricevere riparo sotto le piccole cappelle di cinque funghetti.
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ora, premesso che il post mi è proprio piaciuto, siamo sicuri sicuri che i funghetti non li hai mangiati?
RispondiEliminabacini lisergici
Certo che le tue riflessioni sono davvero profonde e del tutto condivise.
RispondiEliminaMolto bella la foto, anche se appena l'ho guardata, l'associazione arrivata è stata con Alice nel paese delle meraviglie :)
Ora sta a me chiedermi il perché...
Ciao Gill e buon lunedì!
Lara
la tua foto mi ricorda il film "Viaggio al centro della terra" tratto dal romanzo di avventura di Jules Verne, ti ricordi tutti quei fiori e funghi alti 3 metri?
RispondiEliminail tuo post è spumeggiante, come sempre!
@->Farly: ahahahahha :-) non so se hai dato un'occhiata anche al video, Farly...ti sembra che da queste parti siamo gente che si lascia sfuggire i prodotti della natura? :-)
RispondiEliminaBacini sinergici :-)
Toh...miskies dice blogspot: un misto tra bacini di gatta e di signorina :-)
@->Lara: grazie, Lara...le tue visite sono sempre molto gradite :-)
RispondiEliminacosa vuoi mai...sono una specie di cazzaro telematico, mi piace andare a zonzo fra i pensieri un po' sbilenchi :-)
Sei sempre gentilissima...tra l'altro il tuo riferimento ad Alice mi è piaciuto molto, non ci avevo pensato...anche là, se non vado errato (parlo per interposta reminiscenza disneyana...) l'alternarsi di proporzioni era uno dei temi: il minuscolo che si faceva enorme e minaccioso, e l'immenso che diveniva domabile e domestico (...se non ricordo male)...
Bella suggestione :-)
Bacini lewiscarrolliani :-)
@->Marisa: ma quante suggestioni questi 4 funghetti :-) Anche il tuo spunto mi è piaciuto parecchio, Mari :-) In effetti è un tema onirico importante, se vogliamo, questo dei "balzi proporzionali" :-) Può essere visto anche come un livellatore democratico, nel senso che se ci sforziamo di vedere le cose sempre da dimensioni e prospettive diverse, calandoci nello sguardo dell'altro (piccolo o immenso che sia) saremo più rispettosi e disponibili all'ascolto...mah, deve aver ragione Farly: non me li dovevo mangiare, alla fine :-D
RispondiEliminaGrazie Mari...e i tuoi complimenti sono benzina di bellezza pura per accendere sempre più il mio entusiasmo di scrivere :-)
Bacini giulioverniani :-)
I funghetti non li mangiare, Gilli, mi raccomando...a occhio sono coprini, vanno mangiati quando sono ancora chiusi e senza accompagnamento di alcol, sennò son tossici (detto tutto a occhio, oeh, mi raccomando, prendi tutto cum grano salis).
RispondiEliminaDetto ciò (al solito inutile e fastidioso come tutto ciò che accompagna il mio intervento) osservo soltanto la sublime bellezza del tuo scrivere e il puntuale commento su due film che mi piacciono molto anzi moltissimo (in particolar modo "L'uomo che amava le donne" è la fine del mondo, per me, non solo perché adoro Truffaut, ma anche perché il personaggio maschile è uno dei "tipi" più simili a me per carattere, al di là del sesso...).
E il suo sentire l'hai descritto benissimo, Gilli, davvero. E' un film perfetto, nel vero senso della parola.
Bacini truffottiani!:)))))))
@->Vale: grazie veramente di cuore per i tuoi complimenti deliziosi, Vale, sei sempre squisitamente gentile :-) Mi ha fatto piacere anche il tuo consiglio "non mangereccio" :-) Non temere, non li ho mangiati i funghetti, ho lasciato che facessero il loro mestiere naturale di funghi fra quell'erbetta dove li ho ripresi :-)
RispondiEliminaTruffaut lo sto scoprendo pian piano in questi mesi :-) mi sto facendo una raccolta di dvd dei suoi film in edicola e me li sto gustando :-) Oltre a quello di cui parlo qui, finora ho adorato "I 400 colpi" (ovviamente :-) e alcuni dei suoi naturali seguiti, come "Baci rubati" e "L'amore fugge"...
Allora ciao...e bacini rubati :-)