giovedì 24 luglio 2008

Incroci

Da due diversi modi di incrociare le persone per strada, alcune riflessioni. Più che riflessioni, considerazioni. Più che considerazioni, sprazzi di psicologia fatta in casa.

Uno dei due tipi di incontro di cui parlo è quello che capita fra persone che si conoscono, mentre camminano o girano in bici. Ecco, qui a volte succede una cosa che a seconda delle situazioni mi lascia un po’ perplesso, oppure irritato. Mi riferisco a quelli che ti salutano distogliendo poi subito lo sguardo, senza aspettare il tuo cenno di ritorno, il tuo “ciao” o il tuo “buongiorno” del caso. Non è bella, ‘sta cosa: il salutarsi comporta una reciprocità, è come lanciare in aria un semicerchio di gentilezza nell’attesa che si raccordi con l’altra porzione di arco amichevole spiccata dal salutante opposto. Quando le due metà di saluto si incontrano, il gesto si compie nel suo significato pieno, e questo avviene proprio nell’attimo in cui ciascuno dei due salutanti si sente al contempo anche salutato, e viceversa.

Invece, questi qui che salutano al volo e poi “guardano via” senza attendere la tua risposta, no dico, cosa mi stanno a significare? Vogliono forse sottolineare che la parte di saluto più importante è la loro, mentre il tuo “ciao” è robetta di poco conto che non merita più di tanto attenzione, né troppa perdita di tempo? Beh, se così è, viene da domandarsi se si rendono conto della dimensione del tutto “onanistica” in cui si svolge il loro gesto. Così, il salutante sdegnoso, rifiutando il ruolo di salutato, a prima vista sembra averla vinta, ma la ragione alla fine sta dalla parte del salutante corretto che sul momento più ci rimane male vedendo cadere nel vuoto la sua metà di “ciao”. Come capita in mille altri fenomeni familiari agli umani, anche qui lo sconfitto apparente è infatti il vincitore effettivo, colui che segue il senso delle cose rispettandolo.

L’altro tipo di incontro è quello fra persone che non si conoscono, mentre guidano in macchina. E qui mi concedo una pura svaccata da “fanta-psicologo”, tanto costa uguale. L’incrocio di due auto a normale velocità di crociera, può lasciare indifferenti i guidatori, che seguitano a mantenere l’attenzione sulla strada, oppure fa scattare l’istinto di dare una sbirciata nell’abitacolo che sopraggiunge, per vedere un po’ che tipo di umanità lo occupa. Ora, non saprei darvene una spiegazione ragionevole nemmeno dietro compenso milionario, ma quello che mi sembra di poter dedurre è che indulgono di più alla sbirciata i guidatori sentimentalmente inappagati. Non lo so perché, ma l’impressione è questa. Chissà, sullo sconosciuto o sulla sconosciuta incrociata così al volo per un lampo di istante, forse ci si può concedere il lusso di fantasticare ciò che si vuole, con la medesima svagatezza con cui si cambia il canale dell’autoradio. O ancora, è come una sorta di rassegna di proposte da agenzia matrimoniale passate in velocissima sequenza, che si guarda con la stessa attenzione da acquario riservata di solito alla tv. Chissà chi lo sa, avrebbe detto Febo Conti, e come invece dice spesso Maurizio Milani, anche questo pezzo è completo e finisce così, proprio male.

giovedì 17 luglio 2008

Pasquale!!!…ovvero: «Chissà questi stupidi dove vogliono arrivare?»


Come si dice, ridiamo per non piangere.

In una bellissima gag presentata da Totò nel 1966 a Studio Uno, il grande poeta della risata racconta alla sua storica spalla Mario Castellani di aver incontrato uno sconosciuto grande e grosso, che apostrofandolo ripetutamente col nome di Pasquale, lo ha rimpinzato a più riprese di mazzate. Piccola digressione, a sottolineare la bravura di attore di Totò. Non ho usato a caso il termine “rimpinzare”: il principe De Curtis racconta infatti l’episodio con un fare ed espressioni tali, che quasi sembra renderci partecipi di una pantagruelica scorpacciata di piatti succulenti, anziché di una sonora spazzolata di botte.

La cosa buffa è che, nel suo resoconto, ad ogni nuova scarica di legnate Totò reagisce con altrettante sonore risate spiattellate in faccia all’ignoto energumeno, sottolineate dal più sincero moto di incredulità: «Chissà questo stupido dove vuole arrivare?»

Al che, alla fine, Mario Castellani non può esimersi dal chiedere, stupito: «Ma come, non hai reagito? Sei stato lì a prenderle?». Con cristallina paradossalità, spiega Totò: «Ecché mmmé frega aaa mmmé? Mica mi chiamo Pasquale, io…».

L’impagabile scenetta, mi torna spesso alla mente in questo periodo, ogni volta che mi fermo al distributore per fare benzina. Sono anni che adotto una strategia di difesa contro il caro carburante che è piuttosto in sintonia con lo spirito della scenetta di Totò. Ad ogni nuovo rifornimento, astuto come un cervo, io metto sempre dentro la stessa cifra di fuel. Trentamila, negli anni di piombo della gloriosa Liretta, e venti carte, in questa epoca verde speranza malpagata in Euro “tromboneschi” (nella duplice accezione di “sopravvalutata sodomia”, derivabile dalla fusione di “trombone” e “trombare”).

La mia ironica misura difensiva ha tuttavia una qualche efficacia finché regge l’illusione. Ma da quando le visite al benzinoforo hanno iniziato ad infittirsi con la frequenza preoccupante alla quale sono aduso ultimamente, allora sì che il mio candido escamotage, anche senza palesarsi in pieno come il “re nudo” degli stratagemmi, tende sempre più a rivelare il proprio culo parecchio scoperto.

Ecco dunque che nell’attimo in cui il benzinaro mi restituisce la chiave e mi ringrazia con fare cortese dopo la chiusura del tappo, quasi mi pare di sentirlo sussurrare: «…Pasquale!!!…», e io ringrazio a mia volta per la gentilezza, e sorrido di gusto, mentre fra me e me risuona familiare l’eco del comico interrogativo partenopeo: «Chissà questi stupidi dove vogliono arrivare?».

Così, cosa dire di più…quasi mi spiego come mai gli italiani ormai non si incazzino più di tanto, di fronte all’aumento vertiginoso del prezzo della benzina, oppure alla notizia di sempre nuove e mirabolanti “sporcherie”, siano esse di origine politica o di altra natura…ecché jjjé frega? Mica si chiamano Pasquale, loro….

lunedì 14 luglio 2008

Zum, zum, zum, zum, zum…o dello strozzino cortese

Sarà capitato anche a voi…di avere una musica in testa…ah, no…di parcheggiare da qualche parte la macchina e di ritrovarla al ritorno addobbata con quei fogliettini che propongono mutui, prestiti et similia. E sarò prevenuto io, ma non so, questi tagliandini mi fanno sempre venire in mente vaghe immagini di strozzinaggio, cravattari e prestiti ad interessi sanguisugati. Ma non è di questo che volevo parlare. Mi piaceva invece fare due considerazioni su un fatto curioso che ho notato proprio riguardo a due diversi modi di appiccicare all’automobile il malefico talloncino rompitasche.

Capita che, ritrovandolo sotto il tergicristallo, spesso me ne accorga quando mi sono già seduto al volante e magari ho pure agganciato la cintura, e a quel punto la mia inveterata pigrizia mi frena dal ridiscendere per liberarmene. In quei casi, confido nell’aiuto della velocità e nella forza spazzolatoria per disperdere nel vento l’indebita intrusione finanziaria. Ma sbaglio regolarmente i miei calcoli, perché piuttosto che schiodarsi dalla postazione conquistata, la malefica presenza cartacea si ostina ad oscillare al ritmo dello spazzolino, con esiti talvolta anche pericolosi, tipo quando piove davvero, e sul parabrezza si forma allora una sorta di arco malpulito ad ostruire la visuale, con seguito di cancheri tirati, che piovono più fitti del nubifragio in corso.

Altre volte invece, il foglietto è diligentemente ripiegato e discretamente riposto nella fessura che rimane tra la portiera e il montante della cappotta. In questo modo, ti viene concessa una possibilità di scelta molto più rispettosa e scevra da invadenze. Se proprio sei interessato, puoi prenderti subito il biglietto e vedere di cosa si tratta. Se invece non te ne frega punto, puoi liberarti seduta stante della proposta di prestito: basta che apri la portiera ed essa svanisce dignitosamente sull’asfalto (la mia coscienza ecologista mi impedirebbe normalmente il gesto, ma in questi casi mi sento sollevato dalla responsabilità inquinatoria, che senza esitazione addebito tutta alla primigenia fonte strozzinante).

Cosa concludere dunque…non so se la scelta di posizionare i foglietti sia dovuta al caso, o se dipenda dalla discrezione di chi li distribuisce, che molto probabilmente non c’entra nulla con i “mandanti”. Se dovessi tuttavia dare un consiglio, direi: per carità, stategli pur sempre ben lontani, ma nel vostro immaginario, preferite lo strozzino cortese.