Puntata coi controfiocchi oggi della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Per il suo appuntamento settimanale con moda e pittura, Kika ha infatti scelto un autore da annoverarsi fra i capisaldi della storia dell’arte moderna: Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Isole Marchesi, 1903). In particolare, Kika rivisiterà l'abbigliamento di una delle due figure femminili ritratte nell'opera “Donne tahitiane sotto le palme”, del 1892.
Per parlare di Gauguin come si deve, “un esperto” dovrebbe premettere la seguente domanda: «...D'accordo, ragazzi: avete una settimana di tempo?...». Dal momento che non credo ci sia nella disponibilità di nessuno una “volumetria cronologica” simile, e considerata anche la mia sana insipienza di critico d'arte del lunedì (che son peggio di quelli della domenica), mi limiterò ad alcuni cenni e suggestioni sparpagliate, da par mio (e soprattutto, potendomi ampiamente affidare, in questo celeberrimo caso, alla salda guida di Giulio Carlo Argan).
Per farsi un'idea del “clima esistenziale” in cui maturò l'arte di Gauguin, suggerisco due riferimenti di varia natura. Uno è il film “Brama di vivere” (1956): abbastanza avvincente, per quanto assai oleografico ed “Hollywoodianeggiante”, racconta principalmente della vita di Vincent Van Gogh, ma si sofferma a lungo sul travagliato periodo vissuto in comune dai due pittori ad Arles. L'altro appiglio biografico, stavolta di più notevole spessore, è un bel romanzo di Mario Vargas Llosa, “Il paradiso è altrove” (2003), dove a capitoli alternati si narrano le peripezie artistiche di Gauiguin nelle lontane e diverse isole esotiche in cui visse, intrecciate alle vicende di Flora Tristan (1803-1844), la nonna materna del pittore, scrittrice, propagandista a favore della lotta per i diritti dei lavoratori e femminista ante-litteram.
Dopo un primo periodo parigino e “molto borghese” della propria vita (fu impiegato in un'agenzia di cambi), Gauguin si avvicina relativamente tardi al mondo dell'arte. Si formò nell'ambiente degli impressionisti, assorbendo profondamente sia la lezione di Van Gogh, che quella di Cézanne. Gauguin è noto come il pittore della riscoperta delle radici primitive dell'arte. Questa affermazione è senz'altro in parte vera, ma in modo più profondo ed articolato di quando non si intenda comunemente. Dopo aver “ripudiato”, in pratica con gesto definitivo, la civiltà occidentale, visse quasi tutto il resto della sua vita fra Panama, la Martinica, poi soprattutto a Tahiti, ed infine nelle Isole Marhcesi, dove trovò la morte per le terribili conseguenze della sifilide, contratta a causa della sua smodata bramosia sessuale (sintomo, anch'essa, della straripante energia vitale con cui questo artista affrontò tutta la propria esistenza; e d'altra parte, fra le principali “utopie culturali” di Gauguin, ritroviamo anche la riscoperta del candore primigenio di un erotismo non contaminato dalle “sovrastrutture della civilizzazione”).
L'allontanamento di Gauguin dalla cosiddetta civiltà, più che un fuggire lontano da qualcosa, rappresenta un lunghissimo viaggio in direzione di una ricerca interiore. Scrive Argan che Gauguin
«...in Martinica e in Polinesia non cerca qualcosa di altro o diverso, ma la realtà profonda del proprio essere. Non esplora il mondo alla ricerca di sensazioni nuove, esplora se stesso per scoprire le origini, i motivi remoti delle proprie sensazioni. Nei dipinti di Gauguin non c'è rilievo né profondità, tuttavia non sono piatti, come quelli di Manet. La loro profondità non è di spazio, ma di tempo. Non è l'istante fermato, come in Degas o in Toulouse, né il tempo che scorre, come più tardi in Bonnard; è un tempo remoto e profondo, su cui l'immagine del presente si adagia e dilata come una ninfea sull'acqua ferma. Cézanne dava alla sensazione la dimensione intellettuale, ontologica della coscienza; Gauguin la colloca nella dimensione dell'immaginazione...[...]....per Gauguin le immagini che la mente forma in presenza delle cose (le percezioni visive) non sono diverse da quelle che risalgono dalle profondità della memoria, né queste meno “percepite” di quelle. Sostiene che si deve dipingere di memoria, e non dal vero; e che nella cosiddetta barbarie dei primitivi ritrova la giovinezza, un tempo perduto...».
Come sempre, la prosa di Argan può apparire di non immediata assimilazione, ma si porga estremo ascolto ed attenzione al peso delle singole parole, all'architettura perfetta del suo discorso: ci si accorgerà che in questo brano c'è dentro non solo tutta la grandezza di un'artista, ma anche la sua straordinaria capacità di anticipare tantissimi “tesori” culturali a venire: ci sono dentro Proust e Joyce, c'è il Cubismo di Picasso, c'è Modigliani, c'è buona parte del “significato creativo e spirituale” (dell'essenza) del cinematografo, e poi c'è dentro chissà cos'altro ancora.
Argan spiega inoltre come Gauguin “metabolizzi” gli insegnamenti di Cézanne e degli impressionisti, andando oltre: «...Si distacca dalla corrente che discende dall'Impressionismo (nel 1887) perché ormai è certo che la sensazione visiva è solo un caso particolare dell'immaginazione. E l'immaginazione non è al di là della coscienza, la implica: ecco perché la pittura di Gauguin presuppone quella di Cézanne e, in definitiva, mira ad estendere l'area della coscienza al di là di quella dell'intelletto...[...]...Gauguin non ricusa i risultati delle ricerca impressionista nel campo della percezione, ma li utilizza per offrire col quadro un campo percettivo, in cui è contenuto ed espresso un pensiero. Trasforma cioè la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista...».
Di fondamentale importanza, anche l'aspetto culturale di fondo, insito nell'atteggiamento di ricerca artistica di Gauguin: dimostrando che fra i cosiddetti primitivi bisognava recarsi per apprendere civiltà, e non invece con la pretesa di imporne loro una nuova, il pittore francese denunciava apertamente, di fronte al mondo suo contemporaneo, la grande stortura del colonialismo, fenomeno, proprio in quell'epoca, in piena espansione.
Rendendomi conto di aver detto il minimo, ma proprio il minimo indispensabile, riguardo ad un artista della levatura di Gauguin, passo ora alla mia consueta indagine fisiognomica. Grande artista, colpo secco: così siamo soliti dire “noi” che bazzichiamo l'ambiente dei detective di volti. Molto più modestamente, confesso che sono riuscito a trovare solo una somiglianza, in questo caso, ma credo abbastanza efficace. Eccola a voi:
Si tratta della brava (e anche bella, a mio modesto parere) cantante e strumentista Marina Rei, il cui volto mi sembra abbastanza in tema con l'estetica di Gauguin, per un certo esotismo dei suoi tratti.
Si conclude così l'odierna puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”, e adesso andiamo a scoprire le sorprese che Kika ha fatto sbucar fuori dal suo rutilante cappello a cilindro di fantasiosa maghetta modaiola.