domenica 27 gennaio 2013

La confraternita dell’etilometro


Quello che un poeta non dovrebbe mai azzardarsi a fare, è spiegare una sua poesia. I miei vantaggi in merito sono però due: primo, non sono un poeta, ma soltanto un membro onorario della confraternita dell’etilometro. Secondo: quella che mi accingo ad analizzare non è affatto una poesia, bensì il semplice prodotto di mie divagazioni para-filoso-folleggianti.

Ecco dunque spiegato come io possa permettermi di dire due parole su una recente mia composizione, senza timore di infrangere l’aurea legge della poesia testé accennata. Anzi, a volte i “non poeti” hanno quasi il dovere di illuminare meglio le proprie intenzionalità espressive, per fugare il velato sospetto, che sempre li perseguita, di soggiacere ad un certo malvezzo in virtù del quale le loro parole potrebbero essere state tirate semplicemente a casaccio con la fionda contro il foglio bianco. Mi piacerebbe invece cercare di illustrare, se non proprio un preciso percorso interpretativo, perlomeno un vago tracciato evocativo pertinente alle mie frasi.

Riporto la composizione, per una più agevole sinossi (minchia, come parlo difficile oggi…):

Distillati d’attimi

Distillati d’attimi,
oltre non vorremmo osare.

La durata è sgomento,
il non tempo odora di per sempre.

A mezz’aria nella clessidra
     il granello di sabbia
                 so-
               spen-
                de
            lo spirito
in ammirazione frenante.

E’ gravosa
l’impalpabile discesa,
come di masso
al cui silente tonfo mai s’intende prestar fede.

Vestendo la glabra pelliccia
d’animali tracimanti l’incompiuto,
c’avvinazziamo del vero assenzio
sublimato dalle nostre essenze.

Vattene, tempo, fuori dai peli,
ma non diseredarci
del tuo marchio senza veli.

*******

Tutta la poesiola è intessuta intorno all’ambiguità del tempo e della percezione di esso, e gioca sulle paradossalità emozionali ed affettive che senza sosta ci procura il nostro essere ineluttabilmente immersi nel flusso temporale. “Distillati d’attimi” è riferito proprio a quelle porzioni di tempo che più ci gratificano e che sono sempre così rare e repentine, rispetto al “mare magnum” cronologico fatto invece perlopiù di momenti banali, noiosi, lunghi, insignificanti, ordinari, angoscianti anche, a volte. L’immagine del “distillare” il tempo vuole appunto suggerire un’ideale operazione di estrazione del meglio che il tempo ci può offrire: goccia a goccia, filtrato con l’alambicco.

Gli attimi sono “distillati” nei fugaci frangenti di un bacio, nell’esaltazione fulminea che ci sa regalare la vicinanza della persona o delle persone amate, nel rapimento estatico procurato dalle emanazioni di senso provenienti da un’opera d’arte o dall’immersione in uno scenario naturale particolarmente “totalizzante”. E così via. “Oltre non vorremmo osare” è già una constatazione di paradosso e di inevitabilità: vorremmo sempre rimanere sospesi dentro quegli attimi distillati, ma ci rendiamo benissimo conto di come la loro stessa preziosità sia funzionale alla medesima fugacità che recano con sé.

“La durata è sgomento, / il non tempo odora di per sempre”: qui ribadisco, o perfeziono, la suggestione di prima. Il tempo durevole, prolungato, esteso, le ore senza fine apparente del quotidiano comune, ci paiono spesso un ostacolo insormontabile, e desidereremmo dimorare sempre nell’illusorio “non tempo” degli attimi distillati. Per meglio rendere la suggestione, mi è sembrato bello inserire questo riferimento evocativo ad un non meglio immaginato “odore di per sempre”. Ulteriore contraddizione nel paradosso: “per sempre” è nel medesimo tempo espressione che spaventa, agognata, ma anche frutto potenziale di repulsione.


Nel blocchetto successivo di “versi”, introduco una sorta di trucchetto da mestierante poetastro saltimbanco. Dopo “The bomb”, la composizione in cui Gregory Corso richiamava graficamente la sagoma del fungo atomico tramite “andate a capo” ed impaginazione dei versi calibrate ad hoc, simili stratagemmi andrebbero banditi per eccesso di imitazione. Ma non ho saputo resistere. Il mio ben più modesto disegno risultante dal gioco delle righe, suggerisce blandamente la silhouette della clessidra a cui si fa riferimento appunto nel testo. Per accentuare l’effetto, ho voluto spezzare la parola risultata centrale, “so-spen-de”, a rendere ancor meglio l’immagine del granello di sabbia che la nostra “ammirazione frenante” vorrebbe si fermasse indefinitamente a mezz’aria, a decretare il “non tempo” dei tanto agognati “distillati d’attimi”.

“E’ gravosa / l’impalpabile discesa, / come di masso / al cui silente tonfo mai s’intende prestar fede”: quel granello tuttavia prima o poi deve cadere. Ed anche se ci può apparire eterno e sommante incorporeo il lasso di attimi della sua sospensione, alla fine è questo che si rivela essere: un masso che cade pesantemente nello smarrimento che segue l’orgasmo, nel lunedì che segue la tregua del week-end, nelle urgenze pratiche del vivere che spazzano via ogni poeticità. E ad ogni rinnovarsi dell’estasi riscoperta negli attimi distillati, riprendiamo ad illuderci che stavolta no, il tonfo non ci sarà, non gli vogliamo “prestar fede”: eppure il granello non manca mai di tornare a toccare il fondo della clessidra, con la sua pesantezza ci sorprende senza tregua, di una sorpresa amara, ma al tempo stesso così familiare ed usata.

“Vestendo la glabra pelliccia / d’animali tracimanti l’incompiuto, / c’avvinazziamo del vero assenzio / sublimato dalle nostre essenze”. Ecco, qui lo ammetto senza problemi: gli ultimi due blocchetti di versi sono quelli più esoterici e sfuggenti, e io stesso fatico un po’ a chiarirli. L’idea era quella di richiamare la dualità che sempre sussiste nell’uomo, la distonia, incerti casi, innescata fra la sua inestirpabile componente animale da una parte, e la sua essenza civilizzata, dall’altra. Tutto ciò mi è sembrato che affiorasse bene attraverso l’immagine di una “glabra pelliccia” che ogni donna o uomo si porterebbe addosso, una pelliccia paradossalmente senza peli, perché partecipa sia dell’animalità, sia della nostra componente civilizzata.

“Animali tracimanti l’incompiuto” è senza dubbio il passo più oscuro. “L’incompiuto” starebbe a significare esattamente la nostra incapacità di approdare ad una compiutezza nella comprensione del tempo. Il tempo ci affascina, ci trascina nel suo turbine, ci ubriaca, non possiamo sottrarci ad esso, ma non lo capiremo mai: in questo tentativo di svelarne il mistero, mettiamo in gioco tutte le nostre facoltà, gli istinti animali uniti alle raffinatezze logico-razionali, ma l’unico risultato finale sta nel nostro tracimare una impotente incomprensione.

“C’avvinazziamo del vero assenzio / sublimato dalle nostre essenze”: qui mi è piaciuto giocare con la sonorità delle parole “assenzio” ed “essenze”. Il tempo è una componente radicale della nostra essenza di uomini: ci è connaturato. L’effetto che a volte ci procura è quello di una vera e propria ubriacatura: è vertiginoso nelle sue contraddizioni, e come presi nel gorgo dei fumi dell’alcol, talvolta ci addentriamo nei suoi misteri.


Concludo infine con un’invocazione, un po’ ironica e volutamente contraddittoria: “Vattene, tempo, fuori dai peli, / ma non diseredarci / del tuo marchio senza veli”. E’ forse quello che ciascuno vorrebbe: non soggiacere più al dominio del tempo (“Vattene, tempo”). Però al tempo stesso, la richiesta è molto pesante e pericolosa da fare: non volere più il tempo significa anche non volere più la vita, significa affacciarsi alla Grande Incognita di ciò che sta oltre il tempo. Quello che ne risulta dunque alla fine, è un’invettiva un po’ infantile e senza senso, un desiderare una cosa ed il suo opposto, un richiesta rivolta al tempo di lasciarci in pace, ma, per carità, di non abbandonarci (“non diseredarci”), di non allontanare da noi il suo marchio senza veli, ossia la condizione temporale che è parte così lampante ed evidente della nostra essenza di uomini. “Fuori dai peli” è un piccolo calembour per richiamare l’espressione “fuori dai piedi”, riecheggiando nel contempo il riferimento alla pelliccia introdotta nelle frasi precedenti. Il marchio del tempo è “senza veli”, sia in riferimento alla sua evidenza estrema, sia perché questa allocuzione suggerisce l’impotenza della nostra “nudità conoscitiva” di fronte al tempo che ci segna indelebilmente.

Se alla fine, a dispetto di questa mia piccola auto-esegesi, ciascun lettore che avrà avuto la pazienza di leggersela, continuerà ad ogni modo a sostenere: boh, sarà, ma io ci avevo capito tutt’altre cose…beh, ne sarò ancor più lieto, perché vorrà dire che si tratta di una composizione aperta alla multi-significazione e non mono-direzionata su un binario interpretativo unico.

10 commenti:

Occhi blu ha detto...

Senza le tue esaustive delucidazioni non avevo capito, caro Gilli poeta, cosa ci fosse esattamente dietro i tuoi versi.
Avevo avvertito, tuttavia, una certa inquietudine (sgomento, gravosa, sospende), scontentezza (incompiuto, vattene), preoccupazione (masso, tonfo, marchio, veli), un turbinio di sentimenti contrastanti e dilanianti (ammirazione frenante, assenzio sublimato, glabra pelliccia), insomma, un certo "mal du vivre".

Gillipixel ha detto...

@->Occhi Blu: grazie che mi chiami poeta, dear OuBee :-) sì, insomma, una scontentezza che credo sia comune a molti...più altro però mi interessava cogliere un sentire universale: partire dalle mie emozioni e cercare di individuare in esse i tratti comuni che ci possono essere con quelle di chi legge...non so se ci sono riuscito, ma già l'operazione della scrittura, col suo sforzo ed il "rimacinio" di idee a cui ti costringe, è stato qualcosa di positivo per me :-)

Bacini rimacinati :-)

MR ha detto...

Il tema è decisamente spinoso. Ora più chiaro nell'esposizione che ne hai fatto. Sai, Gilli, è un momento in cui questo argomento lo sento fortemente, e mi verrebbe da dire "vattene tempo" ma senza far abbandonare il campo alla vita. Credo sia un tema molto delicato nel quale quando ci si incappa dentro se ne sente l'enorme portata e l'insostenibile peso. Baci

Vanessa Valentine ha detto...

Poetare è sempre magnifico.
E tu sei bravo, nel comporre e nell'esser lucido rivelatore.:)))
Le poesie fanno emergere così tanto di noi...siamo veramente bocche divine, da noi esce il profondo tutto delle cose.;)

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: sono contento, cara EmRose, di essere riuscito a far apparire un po' meno oscure le mie parole :-) La parola poetica per sua natura non può essere che aperta ad una significazione plurima...altrimenti, si usa il linguaggio del senso comune, che dice pane al pane e vino al vino :-)

La forza del linguaggio poetico sta proprio in quello, infatti: nel suo saper suscitare sensi quasi inafferrabili, ma condivisibili universalmente...ecco, questo non è una consolazione alla pesantezza di certe sensazioni che mi dici essere anche tue...ma tant'è, la condivisione della consapevolezza è pur sempre una crescita :-)

Bacini non spinosi :-)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: grazie, Vale :-) mi fa piacere che hai apprezzato il mio poetastrare :-) è vero, se lasciamo fluire il pensiero, sospendendolo fra conscio ed inconscio, ne possono uscire vaticini interiori inattesi e sbalorditivi...e non parlo dell'impepata di cozze, eventualmente rimasta sullo stomaco :-D

Bacini lucidi e rivelatori :-)

ross ha detto...

Che bella l'idea della forma della poesia... la scrittura è una sagoma di clessidra .Morandi dipingeva le bottiglie ... e tu scrivi una clessidra.Lo vedo il granello di sabbia.Parte da "mezz'aria nella clessidra , scende attraverso la strettoia di "so-spen-de e arriva in "ammirazione frenata.Quando si dice
Forma e contenuto .Bello.

Gillipixel ha detto...

@->Ross: grazie, Ross :-) come ho scritto, si tratta di uno stratagemma compositivo già sfruttato da ben più autorevoli autori :-) però mi sono divertito ad inserirlo a modo mio...non è mai detto che una cosa, perché l'hanno già fatta dei grandi, non la possa ripetere anche un piccolo :-)

Bacini a clessidra :-)

ross ha detto...

E'questo a modo tuo che mi è piaciuto.Ogni tanto anch'io scrivo poesie brevissime . tipo"M'ILLUMINO D'IMMENSO "Oppure" ma non so , adesso non mi viene ..lo so, lo so, altri usano questo stratagemma di sintesi poetica in concentrato.Però ,dai . M'illumino d'immenso ,dai è carino

Gillipixel ha detto...

@->Ross: "M'illumino d'immenso"?...uhm, sai che non mi suona nuova questa, Ross :-D

Ancora grazie per i tuoi cari commenti :-)

Bacini illuminati di senso :-)