Non so nemmeno perché scrivo le seguenti righe, talmente contorte che le capirò, forse, solamente io. Eppure, mi sentivo di scriverle.
Le persone, il più delle volte, le incontri sulla superficie del loro “esistere”.
Ne nascono anche scambi cordiali, c'è stima reciproca magari, piacevolezza del vedersi, parlare, scherzare forse.
Ma non si scatena mai “l’andare oltre”, non se ne sente la necessità: l’involucro esterno di quelle persone è tutto ciò che interessa vagamente sapere, riguardo a loro.
S’incontra poi la luminosa miracolosità di un “raggio verde”.
(Prendo a prestito l'immagine del fenomeno ottico naturale da cui deriva il titolo di un romanzo minore di Jules Vernes, poetizzata poi nel languido film di Eric Rohmer: "Il raggio verde”, appunto. La reinterpreto tuttavia per tratteggiare i termini qualificativi di certe persone speciali).
Un “raggio verde” è una persona che ti viene incontro direttamente col profondo del suo essere.
Ti si mostra fin da subito come essenza inafferrabile da cui ti senti come risucchiare dentro.
La persona, sul cui “esistere” scivoli tangenzialmente di sfuggita, potremmo allora ribattezzarla “raggio giallo”.
Mentre il “raggio verde” è puro “essere” che ti calamita, promessa di bellezze alle quali senti di tenere tantissimo.
È il lato oscuro della propria luna interiore, perché riesce a far emergere aspetti del proprio intimo che non si credeva di possedere, oppure si presumeva fossero occultati nel buio di territori non di nostra competenza.
L'incontro con un “raggio verde” è anche oneroso, perché assorbe forti dosi di risorse emotive: svuota, illanguidisce, macera in eroici sapori di dubbio, esaltazione, donchisciottismo utopico.
Un “raggio verde” ti spalanca porte sull’immenso, fa viaggiare a velocità dell’animo talmente elevate da sentirsi continuamente sorpassati dal desiderio di volerne sapere sempre di più riguardo alla sua luminosità.
Un “raggio verde”, col solo fatto di esserci nel mondo, e di averlo incrociato lungo i sentieri del vivere, ti prende per mano e ti accompagna fino ai confini del non dicibile.
E adesso che ho scritto, senza nemmeno sapere io bene cosa, vi auguro di incontrare almeno una volta un “raggio verde”.
Oppure, di essere a vostra volta un “raggio verde” per qualcuno.
Solo così, magari, se vi tornerà alla mente il guazzabuglio di questo mio scritto, ne coglierete forse il senso, sussurrando fra voi e voi: “…Però, al gh’ava ragióŋ, cùl siucàt là!...” (però, aveva ragione quello sciocco!).
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