L’opinione comune rappresenta di solito una media delle idee più diffuse.
Purtroppo, non di rado, il passo dalla medietà alla mediocrità è alquanto breve.
Capita allora che si formino opinioni dalle fragili radici, sostenute soltanto dall'ingannevole forza di una miope autoconvinzione artificiosa.
Secondo una delle convinzioni comuni più fuorvianti, l’immaginazione sarebbe roba da sognatori, che non porta da nessuna parte, se non a ritrovarsi con la testa fra le nuvole.
Nel tempo, mi sono andato persuadendo proprio del contrario: l’immaginazione è una componente fondamentale dell’esistenza e senza di essa l'umanità sarebbe rimasta molto più povera.
Anzi, di più: senza immaginazione, probabilmente non si potrebbe parlare dell'umanità per come la conosciamo.
Ora, se così la pensassi solo io, sarebbe ben poca cosa. Ma il bello è che l’hanno pensata allo stesso modo fior fior di menti del passato, e quando si sta in compagnia di simili “sponsor”, la faccenda diventa molto più confortante.
Due meravigliose citazioni sul tema, le ho scoperte leggendo l’illuminante saggio del professor Umberto Galimberti, “La casa di Psiche” (Feltrinelli, 2005).
Parlo ad esempio di come la pensava in merito uno dei più importanti filosofi di tutti i tempi, Immanuel Kant (1724-1804), che nel suo fondamentale testo “Critica della ragion pura”, scrisse: “…La conoscenza percettiva sarebbe impotente senza l’immaginazione…”.
Oppure, più vicino a noi, un altro esimio pensatore tedesco, padre della fenomenologia intesa in senso moderno, Edmund Husserl (1859-1938), che in modo ancor più “spregiudicato”, sosteneva: “…La finzione è la sorgente da cui la conoscenza delle verità eterne trae il suo nutrimento…”.
Kant parla di immaginazione, Husserl addirittura di finzione.
Immaginare, proiettarsi nel non ancora esistente, fingersi nella mente mondi che ancora non sono, o addirittura mai saranno. Si tratta di pratiche molto familiari ad artisti, poeti, scrittori, pittori, attori, persone di teatro in genere, e così via. Ma anche ai bambini o alla gente comune, quando giocano e si lasciano andare ad attività non finalizzate a uno scopo preciso, se non a quello di “esplorare il possibile”.
L’immaginazione, la fantasia, la finzione, il raffigurarsi scenari potenziali, la dimestichezza coi territori “inutili” della mente, la pratica del vagabondaggio fra le “gratuità” del pensare: sono tutti atteggiamenti fondamentali per poterci dire umani.
Hanno la medesima importanza della razionalità, del calcolo, della lucida progettazione, del rigore scientifico, attestati dall’altra parte della barricata.
L’uno e l’altro ambito si completano e compenetrano a vicenda.
E laddove si verifichino scompensi in un senso o nell'altro (verso un pensiero esclusivamente calcolante, o al contrario, verso una mente troppo immaginifica), nascono spesso dei guai.
Immaginazione e ragione, dunque: strumenti a pari merito essenziali per la nostra umanità.
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