Mettiamo che debba venire a casa vostra un tipo per spiegarvi una cosa.
Lo fate accomodare in salotto, gli offrite pane con salame, un bicchiere di lambrusco, e appena si è deterso bene la voce, lui comincia a dire: “…Allora per spiegarti la cosa che ti dovevo spiegare, te ne spiego un’altra…”.
Non stento a credere che subito vi verrebbe da sbottargli in faccia: “…Ma cu’ sìt, sémo?...” (Ma cosa sei, scemo?).
Temo che sbagliereste. Perché non avreste riconosciuto in quel tipo, niente meno che “l’omino delle metafore”.
Per dirla in parole molto povere (anzi, poveracce), una metafora consiste proprio nel tentativo di spiegare una cosa, raccontandone un’altra.
In questo modo continuerà a sembrare una roba da “sémi”, ma a far bene mente locale ci si accorge che praticamente tutta la vita, o quasi, è una metafora: tutto “funziona” metaforicamente.
Metafora deriva dal greco “metaphorà” (trasferimento), composto da “meta” (oltre) e “phero” (portare).
Ogni cosa ci “porta oltre”, ossia ci parla di altro.
Alcuni esempi.
Il gioco, e dunque lo sport, ci parlano delle relazioni fra le persone: giocando, si simulano situazioni di confronto con gli altri, modi di rapportarsi che poi succedono nella quotidianità. Si fanno prove “a parte”, per non scannarsi a vicenda (in teoria…).
Il lavoro è una metafora della lotta per la sopravvivenza, trasportata in una forma definita da regole…sempre per non scannarsi a vicenda (sempre in teoria…).
Il linguaggio è una metafora totale delle cose che ci circondano, la gran metafora di tutte le metafore.
La lingua in senso stretto (l'italiano, l'inglese, il dialetto, ecc.) è un insieme di segni e suoni appiccicati a dei significati su cui ci siamo messi d'accordo.
I segni non sono le cose che indicano (naturalmente), ma “portandoci oltre”, ci conducono ad esse.
A partire dal linguaggio in senso proprio, sono metafore anche tutti i linguaggi in senso esteso, come l’arte, la poesia, la letteratura.
Il pittore, con un suo quadro, rimanda a una serie di significati che “stanno oltre” i quattro segni e colori sulla tela.
Il romanziere, con la storia raccontata, rimanda a sensi e contenuti “ulteriori” rispetto alle vicende (più o meno complesse) di cui parla la trama.
Fin qui può essere abbastanza comprensibile, ma si può anche esagerare col concetto e dire che lo stesso atto di mangiare, di cibarsi, funziona metaforicamente.
La sostanza del mangiare è trarre nutrimento dagli alimenti per vivere.
Ma il suo importante aspetto metaforico ci rimanda ai gusti, al piacere dell’assaporare, a una serie di gradevolezze conviviali, tipo lo stare insieme, oppure anche tutti i riti della preparazione del cibo, e così via.
Lo stesso nobilissimo gesto del fare l’amore, è una metafora importante.
Di per sé, si impongono per evidenza tutti gli aspetti “gòsineschi” (maialevoli: voce del verbo “gòsinare” = maialare) della cosa (belli, eh…per carità, chi dice di no…).
Ma anche il far l’amore è un vasto “riferirsi ad altro”, alla più ampia tendenza a una fusione fisico-spirituale con la persona oggetto dell’attenzione erotica del momento.
Tutto è metafora allora, tanto che propongo di indire la GMM, la Giornata Mondiale della Metafora. La individuerei nel 32 marzo. Essendo dedicata alla metafora, ossia all’arte del “rimandare a”, non potrà trattarsi di un giorno effettivo dell’anno, bensì dovrà essere un giorno a cui perennemente si rimanda.
Per farla breve: avete visto? Volevo raccontare cosa sia la metafora, e per spiegarmi non ho fatto altro che creare metafore tutto il tempo.
Non c'è niente da fare, non se ne esce: nessuno può sfuggire al vastissimo, onnicomprensivo, abbraccio caldo del gran metaforizzare universale.
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