martedì 7 maggio 2019

Librarsi


Nel capolavoro di Wim Wenders “Il cielo sopra Berlino”, per certi tratti del film si sentono i pensieri delle persone, invece delle parole dette a voce alta.

Succede per la presenza di due angeli, Damiel e Cassiel, capaci di ascoltare ciò che scorre nelle menti degli altri personaggi umani ordinari.

Questa scelta narrativa lascia un po' spiazzati, ma se ci si pensa è molto più “naturale” dei normali dialoghi.

Perché anche nella realtà in effetti (eccettuata la presenza degli angeli, sulla quale non ci si può pronunciare), quando siamo in presenza di altri, la parte di cose pensate da ciascuno rimane sempre molto più grande rispetto ai pensieri che emergono in superficie cavalcando le parole.

Questa cosa mi viene spesso in mente quando entro in una libreria. È un luogo in cui i pensieri della gente mulinano nell’aria in fretta e gioiosi.

I libri sono generatori di pensieri, estrattori di riflessioni, casse di risonanza di impressioni interiori.

Lo fanno in due modi (forse tre).

Quando leggiamo, ripetiamo in pratica le parole scritte con la voce silenziosa della mente. Non si tratta però di una pedissequa ripetizione “a pappagallo” del pensiero dello scrittore o delle immagini da lui proposte.

Leggendo rielaboriamo già, interpretiamo, amalgamiamo in un nuovo impasto quelle lettere e sillabe che sembrano risalire dalle pagine come suffumigi mentali, molto efficaci nel liberare le vie respiratorie di un senso dell’altrove immaginato.

Il secondo modo in cui i libri creano pensiero, è quando solleviamo un attimo lo sguardo dalle righe appena lette, e tutta quella ventata meditativa ed emotiva ricevuta, continua a scompigliarci il ciuffo delle idee e delle rielaborazioni personali.

I libri sanno poi suscitare una terza via “all'insinuazione mentale”.

Semplicemente rimanendo chiusi e in bella mostra davanti a noi, magari con la possibilità di poterli soppesare, toccarne le copertine, sbirciare al volo qualche frase.

Già solamente facendo questo, stando lì in bella mostra, producono tantissime aspettative (soprattutto se a ronzarci attorno sono degli appassionati lettori-ape, golosi di pagine come i gialloneri insetti a pungiglione di fronte a un vasto campo fiorito).

Tutte queste belle sensazioni in libreria si amplificano rispecchiandosi all’infinito fra uno scaffale e l’altro.

Dalle scansie, sale caldo un vapore buono di pensiero, un profumo di bellezza invisibile, che finisce per confondersi con quello della carta.

Ed è bello stare lì, immergersi in tutto quel lavorio mentale potenzialmente nascosto nelle migliaia di pagine chiuse, e anche in quello prodotto da tutti gli altri avventori presenti, nel loro desiderio di lanciare un sentiero nuovo fra voglia di sapere e future letture.

E quando vai alla cassa col libro alla fine scelto, e il commesso chiede: “…Vuole un sacchetto?...”, a me viene sempre quasi naturale rispondere di no.

Non tanto per quei pochi centesimi risparmiati (anche).

Ma per poter gustare il piacere, una volta uscito, di spargere tutta quella messe di infinito pensiero possibile, custodito fra le pagine, anche per le strade e in ogni angolo della città.

Nessun commento: