Questo è un classico della mia vita: vado in un posto pubblico, ho bisogno di andare in bagno; quando ho fatto, mi appresto a lavarmi le mani e zac…non c'è modo di vedersi in faccia.
Lo specchio è appeso sempre troppo in basso, oppure il mio muso è appeso troppo in alto, (dipende dalle opinioni), così che regolarmente il mondo mi ruba la testa e io, se fosse possibile, ogni volta la rivorrei indietro.
O forse no…
Sono nato alto, o perlomeno abbastanza oltre la media. Ma giuro che dentro di me, mi sono sempre sentito di statura normale, e da una vita faccio i conti con gomitate sbattute dove credevo ci fosse l’aria, ingobbimenti forzati, file troppo anguste di sedili al cinema o in corriera, water che mi sembrano turche, e così via.
La gente crede che essere alti sia bello, è opinione comune che dia dei vantaggi.
D'accordo, non dico di no, ha i suoi aspetti interessanti, con vari risvolti positivi, e tutto sommato sono contento dei miei centimetri in più, ma fa anche molto strano portarsi sempre in giro quel piccoletto interiore che vorrebbe esprimersi su raggi d'azione più normolinei, e invece è costretto a rimaner imprigionato in una “spilungonità” imprescindibile.
Non so se in ogni alto si nasconda un bassetto che desidererebbe sbocciare come tale, ma io personalmente mi sono sempre sentito così.
L’effetto elefante in cristalleria mi è molto familiare, almeno dai tempi delle scuole elementari, da quando cioè il mantra del “ma come sei alto” cominciò a fare da ritornello comune alle mie giornate.
Magari, mi sarebbe piaciuto tante volte dare più carezze a persone, animali o cose, ma credo che mi abbiano spesso frenato i due badili appesi ai polsi, al posto delle mani.
Mi sarebbe piaciuto entrare in punta di piedi in molte circostanze del vivere, ma le cassette da uva che mi ritrovavo alle caviglie consentivano tutt’al più una goffa comparsa sulla scena.
Chissà…forse è anche per questo che ha finito per piacermi così tanto questa faccenda dello scrivere.
Quando scrivo, posso probabilmente sprigionare il piccoletto che mi scalpita dentro.
Può piroettare con eleganza fra spazi risicati, fare un dribbling intorno a ostacoli nei quali, dal vero, mi incastrerei come un salmone fra zampe d’orso, può sgusciare con modi aggraziati in un mondo di movenze commisurate, laddove andrei a sbattere a ogni metro con tonfi disgraziati.
In generale, una certa tensione fra interiorità e mondo esterno può essere dunque faticosa, ma anche portatrice di fecondi slanci liberatori.
Credo che sia un sentimento comune, questo differenziale percepito, fra una condizione “di dentro” desiderata e una “di fuori” in qualche modo, per forza di cose accettata.
Ma questa tensione può essere volta in positivo, proprio in forma di un “tendere a”, se si riesce a farne motivo di ricerca di una propria strada espressiva, riequilibratrice della bilancia sui cui piatti posano aspirazioni e contingenze di fatto.
E la mia via è forse giusto la scrittura.
Quando scrivo posso sedermi sul quel water di misura mai conosciuto nella realtà, e lì finalmente riesco a dire tutto ciò che su quelli veri non ero riuscito a esprimere.
E il primo che si azzarda a dire che sono per l’appunto soltanto stronzate…
4 commenti:
Non mi cambierei con nessuno al mondo ma quando alle cose non ci arrivo e mi serve lo scaletto
mmmmmmm che nervuuus
:-)))) nemmeno io mi cambierei com nessuno, Cincia, ma a volte si è un po' malcontenti di esser contenti :-) o viceversa :-) quando ti scatta il milanese, le cose si fanno serie :-))))
Si si, il milanese scatta quando esce l'antipatica puntigliosa che è in me :-D
:-))))) non riesco a immaginarti antipatica :-)
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