Il bello dei libri è che insegnano cose.
Ma ancor più bello è che spesso dai libri si possono imparare cose che vanno oltre l'argomento diretto in essi contenuto e trattato.
Sto leggendo un bellissimo saggio che in teoria sarebbe destinato agli studiosi di Storia. Si intitola “Sei lezioni sulla storia”, è stato scritto nel 1961 da Edward H. Carr (1892-1982).
In pochissimi nella vita faranno gli storici di professione, ma il libro di Carr è illuminante riguardo a un tema che interessa a tutti: osservare la realtà con occhio il più possibile onesto.
Lo storico è in pratica uno studioso di fatti accaduti. Anche vivere, in un certo senso, significa confrontarsi continuamente con dei fatti.
La correttezza con cui i fatti vengono “trattati”, è fondamentale sia per lo studioso, sia per il “normale vivente”.
Afferma Carr: “…I fatti storici non ci giungono mai in forma <<pura>> […] ma riflessi nella mente di chi li ha registrati…”.
Una meccanismo del genere interessa anche i fatti del vissuto di ciascuno.
Innanzitutto, le vicende raccontate da altri (anche in perfetta buona fede) che arrivano a interessare la nostra vita, sono sempre in qualche modo già filtrate dall’interpretazione di una certa sensibilità particolare.
Lo stesso succede con i fatti che ci succedono in prima persona: noi stessi li filtriamo sulla base della nostra sensibilità.
Con questo non si vuol dire che sia impossibile guardare alla realtà in modo oggettivo. Però si introduce un importante criterio di cautela. L'oggettività non è mai assoluta, ma sempre parziale e da costruire e verificare in continuazione.
Con un gioco di parole allora, anziché di modo “oggettivo” di guardare alle cose, è preferibile parlare di modo “obiettivo”, nel senso che la realtà non riusciamo mai a coglierla nella sua pienezza definitiva, bensì soltanto come continuo “obiettivo” di ricerca.
Carr stesso, d’altra parte, invita contemporaneamente a porre estrema attenzione al rischio di cadere in un relativismo che tutto appiattisce: “…Il fatto che una montagna assuma forme diverse a seconda dei punti di vista dell'osservatore non implica che essa non abbia alcuna forma oggettiva, oppure un'infinità di forme…”.
Si legge ancora nel testo di Carr: “…lo storico deve possedere la [capacità] di rappresentarsi e comprendere la mentalità degli uomini che studia…”.
Calarsi nei panni degli altri: questo è fondamentale in ogni frangente del vivere, per sforzarsi di capire tutto ciò che è “altro” da noi.
Ultima citazione dal saggio di Carr che mi piace riportare (ma questo libro è una fonte grande di intuizioni riguardanti di riflesso una certa idea di “democrazia del vivere”): “…noi possiamo guardare al passato e comprenderlo soltanto con gli occhi del presente: lo storico vive nel suo tempo…”.
Trasportata sul piano del confronto personale con la realtà, questa considerazione ci mette in guardia sul fatto che la nostra visione del mondo si evolve sempre.
Noi non siamo dei meccanismi di “registrazione fissa”, ma osservatori “innestati” in una propria vicenda biografica e umana personale, e a seconda della posizione in cui ci siamo trovati o ci troviamo, lungo la linea di questa vicenda, il nostro punto di vista si modifica.
Il confronto con la realtà si basa dunque su un dialogo incessante con essa: non ci si deve mai stancare di interrogarla, e di rimanere in ascolto delle sue risposte col massimo della disponibilità a capire ed entrare in sintonia col loro senso più complesso.
Questi erano solo alcuni spunti, parziali, di riflessione tratti da un libro di grande interesse, anche al di là del tema specifico affrontato.
Giusto per dire che un buon libro riesce sempre a raccontare molto di più di quanto non sembri a una lettura “stretta” del suo testo.
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