È normale che risentendo certe canzoni ascoltate e amate con forte intensità nel passato (in particolare nell’infanzia), tornino alla mente sensazioni sommerse molto remote, echi di stati d’animo dati quasi per dispersi, ma nondimeno ancora presenti e pienamente vivi nelle profondità di sé.
Più inusuale che canzoni mai sentite nella loro epoca di appartenenza, riescano a ottenere lo stesso effetto di trasporto temporale ed evocativo.
Mi succede ultimamente con uno strepitoso brano di Lucio Battisti: “Vento nel vento” (1972).
Sono quasi sicuro di non averla mai ascoltata nel periodo in cui uscì il disco o giù di lì, quando passava nelle radio e in ogni caso era più diffusa, magari nei jukebox. L’ho conosciuta soltanto poco tempo fa e l’ho trovata incredibilmente capace di farmi tornare alla mente ricordi e sensazioni di momenti noti, ma che nemmeno io sapevo di aver depositati sul fondo della memoria.
A tanto può arrivare la potenza della musica: fa rivivere momenti non vissuti.
Credo che nel caso di “Vento nel vento”, questo fatto succeda perché si tratta di un brano così intensamente “battistiano” (e “mogoliano”) da recare con sé una carica poetica sconfinata.
Ci sono i falsetti impervi, le note straziate a sfiorare l’eroica “sgraziatura” e subito dopo ricomposte in una perfezione sublime, il fascino di certe dissonanze spigolose, le vaste distese sinfoniche, ma soprattutto c'è l’energia melodica di questo sconfinato autore, sempre capace di nuove invenzioni armoniche che ti fanno esplodere l’animo di rapimento lontano, nei territori del sogno amoroso e della infinita sete di completezza del proprio essere, sempre ricercata nell’agognata fusione con la persona-soggetto idealizzato del desiderio.
Battisti non è il solo, ovviamente: la storia della musica è piena di incredibili talenti in grado elevare l'ascoltatore alle più alte vette dello spirito.
Ma lui mi è caro in modo particolare perché indelebilmente fuso al periodo della fanciullezza, quando i fili scoperti della sensibilità sono sempre pronti ad accogliere le sconvolgenti scosse che anche la minima fonte di bellezza sa regalare.
Poi ho scoperto una curiosa affinità. La musica di Battisti mi suscita emozioni straordinariamente simili a quelle nascoste nei quadri dell’immenso pittore svizzero-tedesco Paul Klee [(1879-1940), nella piccola immagine riportata, una sua opera del 1923: “Der seiltänzer” (Il funambolo)].
Entrambi questi artisti, anche se così lontani per ambito creativo, epoca e complessità culturale, sanno farci penetrare in una dimensione della memoria che pur non appartenendoci personalmente, sentiamo in ogni caso “nostra”.
Sono creatori di ricordi nuovi, plasmatori di barlumi di reminiscenza che non hanno nessuna base, in nessun “dove” e in nessun “quando” strettamente personali, eppure li sentiamo appartenere a noi con una densità quasi sconvolgente.
Entrambi hanno saputo avventurarsi nei territori del “profondo”, laddove i sentimenti di trovano in uno stato magmatico talmente puro da riuscire a far male.
E ne sono ritornati più volte, pagando anche con acciacchi e scottature personali, per riportare, a noi rimasti ad attenderli con trepidazione di qua dal guado, il dono delle indicibili verità dell’anima intraviste “laggiù”.
2 commenti:
Immenso Klee!
Ma sai che anch'io non l'ho mai sentita?
Per quanto ci sia stato un tempo in cui Battisti ha dilagato nelle nostre vite di adolescenti
(Ben oooooltre il 1972, sia chiaro ;-) )
A me tutto questo capita in sogno.
L'emozione ed i fatti che si sono fatti ammaliare dalla canzone come dalle sirene e vengono a galla, così, notte tempo, insieme.
Prova ad ascoltarla e mi saprai dire, Cincia :-)
Beh, i sogni sono un capitolo a parte...è come quando Obelix prende la pozione magica :-) super spettacolo evocativo estetico semi estatico :-) invece le canzoni sono come Asterix, che la pozione la deve prendere...non so se la metafora era chiara, ma ti mando in ogni caso una sporta di sorrisi :-)
Posta un commento