Ogni primavera, nella notte dell'ultimo sabato di marzo, “un’ora” ci viene fatta evaporare fra le dita.
Tra le due e le tre, si forma un piccolo vuoto nel tempo, che crediamo di oltrepassare in un attimo, ma in realtà ci costa un invisibile scarto di incalcolabile “non essere”.
Quell'ora svanita via, moltiplicata per i milioni di uomini, donne, marmocchi, a cui è stato impedito di viverla, si trasforma in giornate intere, mesi e anni di tempo messo in forse.
Dove se ne va a finire tutto questo mucchio di ore “legalmente” sottratte ai legittimi proprietari?
Se non esistesse più nessun uomo al mondo a percepirlo, il tempo come noi lo intendiamo, continuerebbe a esistere? Probabilmente no, ci ha messo in guardia Kant.
Per analoga motivazione esistenziale, è sempre il tempo desiderato quello che rimane più caro nel cuore. Molto più di quello effettivamente vissuto. Su questo ci mise in guardia d’altra parte Leopardi.
In virtù di queste due umanissime motivazioni, tutto il malloppo di ore personali messe in sospeso con lo scatto d’orario estivo, rimane a veleggiare a mezz'aria, in una dimensione non meglio precisata, molto simile a una sorta di vasto “stato d’animo collettivo” mancato, a cui tutti possono guardare con una strana forma di malinconia affacciata su “tutto ciò che poteva essere ma non è stato”.
In quel gran marsupio di ore non spese, ci sono momenti di amore non fatto, sogni non proiettati, sonni non ronfati, parole nel dormiveglia mai pronunciate, libri non letti, riflessioni non pensate, odori notturni non annusati, fotogrammi di film non guardati, suoni non ascoltati, strade non guidate, appuntamenti mancati.
Quando poi quell’ora, a noi dovuta per naturale diritto marzolino dello scorrere del tempo, in ottobre ci verrà restituita, la ritroveremo ormai slavata e mezza biascicata, consunta dal gran lavorio che ci avranno fatto sopra per mesi le mascelle desideranti di mezza popolazione mondiale.
La logica delle cose avrebbe voluto che la potessimo trascorrere almeno in giugno, quell’ora messa in parentesi, o in buona compagnia sotto una serenata di stelle agostane fra lieti stridii di grilli e frulli di falene.
Invece ci sarà resa tutta scolorita dal gran sciacquio di voglie estive andate a vuoto.
Cosicché alla fine, ben che vada “ce la godremo” in novembre, quando non c'è nessuno in giro e tirando la coperta dal freddo ai piedi, il massimo che si ottiene è di scoperchiare il culo.
2 commenti:
A novembre il mio umore vira al grigio topo, sarà il dormire col culo scoperto.
Di quest'ora mi manca il non dormirla, sono onesta.
E sempre lì torno, per vivere serena devo dormire. Almeno otto ore. Come i bimbi. Se no faccio pure i capricci, oh!
Il non dormirla non è poco, Cincia :-) anzi è un gran furto che ci viene fatto, di sonno e sogni...se la coperta è gelata e l'estate è finita, cerchiamo almeno di coprirci il sederiello :-)
Posta un commento