Mia zia era stata tanto tempo lontana dal paese, ma gli anni fondamentali della “formazione dialettale” li aveva vissuti qui.
“...Il linguaggio è la casa dell’essere…”, sosteneva il filosofo Martin Heidegger in una sua illuminante tesi (forse quella su cui si fonda il nucleo più genuino di tutto il suo pensiero).
Lo possiamo verificare quotidianamente, di persona: le parole sono la nostra abitazione più cara, perché nelle parole risiede il pensiero, e di conseguenza la personalità, l'identità e l'individualità di ciascuno.
Mia zia sapeva abitare il dialetto in modo molto elegante.
Non è un caso che un giorno la sentii pronunciare una delle frasi più belle da me mai sentite. Voglio dire, compresi tutti libri letti, i film visti, le poesie, le canzoni ascoltate, e così via.
Doveva essere una lontana frase detta dai nostri vecchi, ai tempi che furono, ma chissà quale ne era l’origine.
Suonava precisamente così:
“…La meravilia dal mond la düra trì dé: ier, incö e admán…”
(“…La meraviglia del mondo dura tre giorni: ieri, oggi e domani…”).
Mantenendo ovviamente le debite proporzioni, questa frase mi aveva fatto, e mi fa ancora, l’impressione di quando si legge un’opera letteraria del passato di un certo spessore, e si pensa: “…Toh! Ma guarda…sembra proprio scritta oggi…”.
Le nostre parole hanno fatto il gran “San Martino” epocale e sono andate ad abitare in massa, come pigionanti, nel labirintico edificio di internet per lo più, oppure nell’affollato condominio televisivo (“San Martino” = trasloco).
Come naufraghi dispersi fra i marosi dell'informazione, ci aggrappiamo alla zattera degli smartphone, dei pc, dei tablet, degli schermi full Hd.
La meraviglia di un’ondata di notizie ricevuta nei denti ieri, lascia ancora qualche sentore di salsedine in bocca oggi, ma già si smorza sull’orizzonte del domani, ormai ridotta a una lieve increspatura impercettibile sul pelo dell'acqua della consapevolezza.
Soprattutto in questo caso, non vale un bel nulla ripararsi nella cambusa del “andava meglio quando andava peggio”.
Se anche i nostri bisnonni avevano già capito che un certo tipo di meraviglia e di scalpore ha una data di scadenza, incalzante tambureggiando, come quella impressa sul cartone di un litro di latte fresco, vuol dire che probabilmente la natura dell’uomo non cambia così tanto, attraversando i vasti mari delle diverse circostanze storiche.
Se poi ogni tanto, si sente proprio il bisogno di posare i piedi sulla terra ferma, per una tregua dal senso incipiente di mal di mare patito fra gli sballottamenti della burrasca mass-mediatica (nella quale pure ci piace avventurarci), allora abbiamo a disposizione tante isolette felici.
Su queste isole ci sono dei fari accesi giorno e notte.
I guardiani di questi fari hanno nomi a tutti noi familiari: Omero, Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Miguel De Cervantes, William Shakespeare, Alessandro Manzoni, Mark Twain, Hemingway, Calvino, Pavese, Tolstoj, e così enumerando, quasi all’infinito.
Questi guardiani del faro si curano da decenni, quando non da secoli, di tenere viva la luce di una meraviglia che non scade mai, e rischiara le vicende dell’uomo con un tipo di attualità capace sempre di rinnovarsi fra le epoche in scorrimento.
Come qualche volta, anche a una modesta frase in dialetto, può capitare incidentalmente di fare.
4 commenti:
Si può studiare una lingua straniera, non un dialetto.
Il dialetto non si impara, ti permea per osmosi perché è multisensoriale.
Il grosso, infatti, lo incorpori cucinando e mangiando.
Di dialetti, spostandomi, cucinando e ascoltando, ne ho acquisiti tre ma solo uno è lingua madre ed è quello in cui sogno (e mi incazzo).
A me infatti esce come lava maledicendo gli automobilisti stronzi :-D grazie, Cincia, bel commento, come sempre centrato in pieno :-)
È sempre un piacere chiacchierare con te.
Pensa una chiacchierata fiume in dialetto stretto, ognuno il suo...
Nn'a futtimu a torr ri bbabbeli :-D
Ahaha :-) sarebbe un bel delirio divertente :-)
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