Nell’antico regno di Bimaronia, vivevano in lieta prosperità due tribù.
La tribù dei Godifrutti aveva stabilito il proprio villaggio sotto le maestose fronde di un albero secolare.
Allo stesso modo, si era accasata poco lontano la tribù dei Floriligi, all’ombra di un altro vetusto mastodonte vegetale.
Sull'albero dei Godifrutti, spuntavano tutto l’anno delle succulente bacche molto gustose. Avevano la particolarità di cambiare sapore ad ogni stagione, e nel momento della maturazione, emettendo un lieve “pop”, si staccavano dai rami in una delicata pioggia esplosiva, planando dolcemente davanti alle capanne del villaggio.
Sull’albero dei Floriligi sbocciavano invece tutto l'anno meravigliosi fiori dagli stupefacenti colori. Anche questi fiori, dopo un buon periodo a far bella mostra di sé lassù, sfidando la tavolozza dell’arcobaleno, si staccavano dalle fronde con un armonioso “sbuff”. Vorticavano a milioni nell’aria e si depositavano gentili a terra, a disposizione dei Floriligi.
Sì, perché anche i fiori di quell'albero erano buoni da mangiare, e in base alla tonalità del manto dei loro petali, cangiante a ogni mutar di stagione, il gusto al palato dei Floriligi cambiava ogni volta.
Floriligi e Godifrutti vivevano in armonia, orgogliosi dei loro rispettivi alberi. I rapporti di vicinato erano ottimi, le visite nel villaggio altrui erano frequenti e cordiali.
Si era scoperto che le bacche del primo albero raddoppiavano in bontà, se mangiate col condimento dei fiori del secondo. Questo rese ancor più intensa l’amicizia fra i due villaggi, che si scambiavano fiori e bacche durante i giorni della festa degli “sbuff”, o della sagra dei “pop”.
Nessuno aveva mai capito se ciascuno degli alberi avesse un termine, là in alto verso la cima, perché le chiome parevano innalzarsi all’infinito, a bucare le nuvole nei giorni meno assolati, o a grattare i piedi dell’azzurro, quando l’aria era limpida e perfettamente tersa.
Su entrambi gli alberi si posavano di buon grado stormi numerosi di Sleppobeffi, graziosi uccellini viola dal becco giallo, che facevano la spola da un villaggio all’altro, quasi un simbolo svolazzante della fraternità fra le due tribù.
Forse solo gli Sleppobeffi, il cui volo poteva sfidare le più ardite distanze in altezza, sapevano se i due alberi avevano o no una fine sulla punta. Ma non lo rivelarono mai a nessuno. E d'altra parte, né i Godifrutti, né i Floriligi glielo chiesero mai.
Trascorsero molte generazioni di florida serenità per i due villaggi, fino a quando entrambe le tribù si ritrovarono come capi due giovani baldanzosi, dal carattere irruente.
Compe Tizio guidava i Godifrutti, mentre Iperatt Ivo stava alla testa dei Floriligi.
I due nuovi capi villaggio sostenevano la rivoluzionaria teoria secondo la quale non si doveva più attendere la naturale caduta di bacche e fiori. Si poteva e si doveva invece passare al taglio dei rami più bassi, per accelerare i raccolti, aumentando sempre più il benessere.
I primi tentativi furono goffi, perché gli sprovveduti boscaioli improvvisati segavano il ramo stando seduti dalla parte più lontana, frapponendo il taglio fra sé e il tronco.
Questo causò iniziali piogge a “sbuff” e “pop” di gran coglioni matricolati a scroscio sopra i tetti delle capanne, che per fortuna erano fatti di soffici strati di migliaia di foglie, sufficientemente morbidi da attutire le cadute.
Una volta però affinata la tecnica, rami, bacche, foglie e fiori cominciarono a piovere per volontà dell’uomo, senza più sottostare ai ritmi del tempo.
Dapprima ci si limitava ai rami più bassi, ma vedendo che il metodo funzionava in modo così evidente, si passò a segare più su, e poi ancora su, e più in alto dell’alto.
Timide minoranze di Floriligi e Godifrutti protestavano che in quel modo lo spettacolo delle fioriture e del rigoglio di bacche diventava sempre più lontano da vedere, mentre la dolce musica dei pop e sbuff si sentiva ormai a malapena, solamente tendendo l’orecchio nel silenzio assoluto.
D’accordo, c’era stato un arricchimento nelle cose, ma si era perduto molto in immagini e fantasia.
Simili fioche obiezioni da nostalgici, venivano però spianate dal rullo della nuova parola d'ordine: segare sempre più rami, salendo sempre più su. L’altezza spropositata a perdita d’occhio delle due cime sarebbe stata garanzia di raccolti abbondanti a non finire.
E così si proseguì, sulle ali di un’entusiastica foga “segatoria”…fino al fatale giorno in cui i fusti dei due alberi, indeboliti dal continuo rosichio, non ressero più il peso delle piante, che rovinarono sconsolatamente al suolo.
L’albero dei Godifrutti crollò sopra il villaggio dei Floriligi, e viceversa, quello dei Floriligi precipitò fra le capanne dei Godifrutti.
Per fortuna nessuno rimase sotto il peso dei tronchi, ormai così assottigliati nella parte bassa, da cadere con precisione lungo i corsi principali di ciascun villaggio, senza toccare una capanna.
Magra consolazione, sottolineata anche da un nugolo impetuoso di Sleppobeffi infuriati, che per la prima volta nella storia, svolazzarono in un vasto stormo dispettoso sopra le teste delle sbalordite tribù, cagando a più non posso una copiosa nemesi merdosa dal greve puzzo pedagogico.
2 commenti:
Bimaroneide:-D
Effettivamente far legna non è una passeggiata di salute.
Ci hanno provato da noi a renderla appetibile fissando come unità di misura della legna "la canna",
Ma non è stato sufficiente...
PS Ci sino probabilità che i due alberi ricrescano rigogliosi altrove, lontani da seghe inopportune?
Noi ci speriamo sempre, Cincia...che un giorno si torni ad ascoltare le ragioni degli alberi e a imparare ancora da loro :-)
P.s.: La legna in foto l'ho segata tutta io a mano...puff, pant :-)
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