Sempre da “I Vicerè” di Federico De Roberto, un'altra preziosità linguistica stavolta virante verso sfumature trivial-comico forbite.
Padre Don Blasco Uzeda è il più sulfureo e strabordante personaggio del romanzo.
Costretto a entrare in convento, fra i benedettini, per via di atavici e distorti meccanismi familiari che fra gli aristocratici destinavano a tale sorte i figli cadetti, è il vero e proprio “anti-frate” per partito preso e per ripicca socio-esistenziale sempre perseguita.
Don Blasco è un omaccione godereccio, collerico e attaccabrighe, dedito al gioco d’azzardo; “schiavazza” a destra e a manca per il quartiere intorno al convento, dove ha coltivato nel tempo una sua rete di ganze di fiducia, affezionandosi in particolare alla prediletta, la “Sigaraia”, alla quale ha pure dato un paio di corpulente figliole che sono la sua immagine sputata; si fa ricevere regolarmente anche in veste ufficiale a casa della Sigaraia, dove alla presenza del cornutaccio del marito, gli sono tributati tutti gli onori e il sommo rispetto religioso e gastronomico.
Don Blasco è un reazionario borbonico della più tignosa specie, e con i confratelli più propensi a una visione progressista e liberale, intavola furiose litigate verbali, sempre a rischio di sfociare in risse vere e proprie.
Nel corso di una delle più virulente di queste discussioni, invitato da un altro frate a leggere i giornali per informarsi meglio sui recenti “fatti risorgimentali”, don Blasco esplode in una sguaiata reazione:
“…Leggere i giornali?...Leggere i vostri giornali? […] …Ma dei vostri giornali io mi netto il fondamento!...Ah, no? Non volete capire?...Me ne netto il fondamento, così…” e fece il gesto…
Che superba definizione di un vile atto, per i più “fortunati”, quotidiano. E noi che lo avevamo sempre chiamato “pulirsi il c…”.
Nossignori, da oggi in avanti, molto don-blaschianamente, siamo tutti invitati a “nettarci il fondamento”, perché il domani sia migliore sin dai primi attimi del giorno.
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