“…Ci sono più cose in un tagliar di forbice, Talpazio, di quante ne sogni la tua filosofia…”.
<<Talpleto principe di Danitalpa>> -
Talpilliam Shakespeare
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Muniti di un buon paio di forbici, avete mai provato a tagliare qualcosa con la sinistra, se siete destrimani, o con la destra, se siete mancini?
Tornando poi subito alla “mano familiare”, vi sarete così accorti che il nucleo del gesto non sta tanto nell’applicare la pura forza necessaria a far richiudere le lame (che per altro talvolta è davvero minima, come ad esempio nel caso in cui tagliamo un foglio di carta).
La dinamica è molto più sottile.
Stringendo la forbice, sembra quasi di sentire come una sommatoria di micro-aggiustamenti di forza, di mini-compensazioni muscolari, di lievi risposte di pollice e indice alle reazioni del materiale tagliato, in base alla pressione che stiamo facendo. In pratica, è come sentir fluire l'intensità della forza applicata e variamente distribuita, dalle dita, attraverso occhielli, manici e lame della forbice, per andare infine a impattare con la resistenza più o meno intensa del materiale che stiamo sforbiciando.
A voler stare ancora più attenti nella “auto-auscultazione” delle sensazioni, si noterà che il flusso del gesto inizia ben più a monte, nella nostra mente addirittura, nell'intenzionalità “centralizzata” da cui parte l’impulso a stringere gli occhielli della forbice e ad applicare nel corso del taglio, i necessari correttivi di moto e peso, lungo l’inesorabile cammino rotatorio di chiusura dell’affilato morso.
Dalla punta del nostro pensiero, dunque, a quella delle lame, facciamo innescare un atto continuo e fluido, che diventa un unicum gestuale integrato.
Qualcosa di simile avviene, anche solo metaforicamente parlando, in tanti comportamenti quotidiani e comuni, più o meno importanti.
Soprattutto quando abbiamo a che fare con gli altri.
Pensate soltanto a una parola, un sorriso o altra espressione, a un atteggiamento, rivolti a qualcuno.
Anche qui si tratta sempre di sequele di intensità interiori che convogliamo verso un obiettivo su cui applicare in un certo senso una sorta di cambiamento, o perlomeno un influsso.
Lo stesso avviene (anche se in una dimensione ancor più fuggevole, a livelli ancor più impalpabile e sfuggenti) per ogni nostro atteggiamento rivolto verso il mondo, per ogni nostro disporci più o meno propositivamente verso lo scorrere delle cose.
Anche in questi casi, agiamo come se azionassimo una forbice.
L'intenzionalità interiore deve poter scorrere fluida lungo noi stessi. La sensibilità della stretta deve essere soppesata, calibrata, adeguatamente aggiustata a seconda delle risposte dei materiali incontrati. Il giusto abbandonarsi del taglio alla nostra regolabile stretta diventano un tutt’uno di azione e reazione, che percepiamo non solo sulla punta delle dita, ma nel corpo intero e nel pensiero.
Fra le cose del mondo e la mente corre un’energia in comunicazione.
Come in un tagliar di forbice, tra i mutamenti del mondo e le nostre intenzioni, possiamo far scorrere un dialogo, un discorso di botta e risposta, un flusso di ascolto e reazione molto sottile.
Certo, non sarà sempre cosi semplice come tagliare un foglio di carta. Ma già impugnare la forbice con la giusta sensibilità potrà aiutare a predisporsi bene verso una risposta adeguata degli eventi.
Magari, spesso la forbice si incepperà, le lame si accavalleranno, la carta farà grinze inattese.
Però rimarrà in ogni caso fondamentale sentire e ascoltare, come in quel contatto delle dita con gli occhielli della forbice, si concentri un nucleo decisivo e fondamentale di energia da ben interpretare e gestire.
2 commenti:
Gli strumenti, gli aggeggi, i macchinari sono prolungamenti, amplificatori, finalizzatori dei nostri corpi, delle nostre facoltà, delle nostre intenzioni.
Si, direi di si.
@->CirINCIAMPAI: Questo e molto di più volevo dire, Cincia :-) c'è l'amplificazione offerta, ma deve esserci anche predisposizione ad amplificarsi :-) tensione, intenzione, disposizione...è un processo integrato :-)
Bacini prolungati :-)
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