sabato 23 giugno 2018

Forzare il forziere


Fra le tante cose belle che mi fanno piacere la filosofia, ce n'è una particolare. La chiamerei “virtù della prova di rottura”.

L'immagine la prendo a prestito dal mondo dello studio dei materiali. Quando si vuole conoscere la capacità di resistenza di un materiale, lo si forza a condizioni estreme e si vede cosa succede: il momento in cui si rompe, dove sono i punti di maggiore criticità, dove la rottura ha inizio e per quali traiettorie si propaga, e così via.

Un esempio banale potrebbe essere quello di una trave in cemento armato: la si sobbarca di pesi, aumentandoli gradualmente e con l’apposita strumentazione si misurano gli effetti. Oppure un batiscafo: lo si sottopone a pressioni sempre più forti e si monitora cosa accade.

La filosofia, fra le altre sue prerogative, fa anche questo: forza i concetti, li conduce ai limiti (figurati) di stress argomentativo e registra gli effetti, i cigolii, gli allungamenti e nel caso persino le fratture.

In questo senso la filosofia è in grado di portare, praticamente sempre, il limite di rottura sino alle estreme conseguenze (si veda ad esempio il celeberrimo caso del “cogito” cartesiano, che ha infranto la tenuta stessa del senso di realtà).

Ma l’importante è quanto si può osservare dopo la frattura: andando a ritroso lungo le linee di fessurazione, valutando i margini rimasti di due monconi di concetto strappati, rilevando i punti precisi dove lo sfaldamento ha preso il via, si possono trarre molti insegnamenti e stimoli di riflessione.

La filosofia insomma smentisce il  più classico dei proverbi e ci consente di dire che la sua pratica può gratificare con un bel “chi rompe viene ripagato”.

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