giovedì 27 settembre 2018

Schiavi del godere


I buoni libri sono fecondi di riflessioni, e a questa pregiata regola non sfugge il classico saggio socio-psicologico di Herbert Marcuse, “Eros e civiltà” (1955-1966).

L’uomo, fin da quando poté definirsi tale, è sempre stato preso nel mezzo (come individuo e come specie) da due fondamentali principi: quello di realtà e quello di piacere.

Come nostra tendenza ideale, intima, se fosse possibile, ci tufferemmo fisico e mente nel godimento completo e assoluto. Mangiare, bere, gozzovigliare, far l’amore, ubriacarsi, drogarsi, scherzare sempre, dormire, giocare…immaginate tutto quello che nella vita tende al piacere…cosa ci impedisce di votarcisi completamente, senza risparmiare nemmeno un milligrammo di energia goduriosa?

Ce lo impedisce il fatto che dopo tre giorni (per i migliori quattro) ci autodistruggeremmo. Ecco allora che evolutivamente la nostra specie ha imparato ad edificarsi un antidoto per evitare di annientarsi con le proprie mani.

Questo paracadute è il principio di realtà, e si compone di senso del dovere, misura, senso di colpa, lungimiranza, prudenza, rispetto, laboriosità, impegno…sono tutti quegli ingredienti che rendono sì la vita meno gaudente, più faticosa, dura, difficile, ma ci consentono di poter continuare a chiamarla vita, anziché morte.

Ora, dopo secoli che principio di piacere e di realtà stavano nei loro rispettivi posti, cos'è successo con l'avvento della cosiddetta civiltà consumistica?
In una società che ha elevato la produttività a suo primario valore, facendo passare tale fondamentale obiettivo attraverso la macina del consumo, il piacere per forza di cose si è visto tramutato in dovere.

Per produrre di più, serve consumare sempre più, ma il consumo va sollecitato. La miglior molla di convincimento in quel senso la si può ritrovare in tutti quei meccanismi interiori che sono di pertinenza del principio di piacere: appetiti, desideri, voglie, golosità, bramosie, invidie persino.
Il martellamento pubblicitario è la dimensione principe in cui far crescere rigogliosa tutta quella messe di “solleticanti”.

Ci ritroviamo così con le carte in tavola alquanto sparigliate. Laddove il dovere si sforzava di arginare il piacere, ci accorgiamo che è il piacere a far strabordare il dovere.

Con gran rassegnazione, accettiamo la stramba sentenza: per poterci rettamente osservare nel profondo della coscienza e vederci qualcosa di “giusto”, sentendoci a posto, siamo stati condannati a godere.

E di tale stravolgimento dimensionale, non c'è più efficace immagine di quella del gioco d'azzardo statalizzato, non del tutto dissimile a una sorta di masturbazione praticata con guanto di carta vetrata.

Nessun commento: