Ho letto “Grottesco” (1989) di Patrick McGrath.
Una storia caustica, corrosiva, cinica, sardonica, elegante, beffarda, sulfurea, architettonicamente raffinata, dai ritmi incalzanti, giusti per mantenere il lettore nel costante desiderio di sapere cosa si nasconderà dietro il prossimo angolo narrativo.
Una trama che puzza di maiale e sanguinaccio, umida di brughiera inglese e aliti alcolici, strana e sorprendente al palato come una pietanza della più tradizionale cucina british.
Un racconto che mette vivamente e bizzarramente in guardia rispetto a tutto quanto in teoria dovrebbe rassicurare, in virtù delle sue fondamenta tradizionali.
Il lettore viene introdotto fin da subito in quel sorprendente labirinto che è la mente della voce narrante, il baricentrico protagonista dell'azione narrata, Sir Hugo Coal, paleontologo per passione.
Sino all'ultimo pagina, non riusciremo mai a stabilire se ci si debba fidare fino in fondo di quanto ci racconta. E anche una volta letta l’ultima frase, non riusciremo ancora a renderci conto se siamo usciti dal labirinto del suo rimuginare, o se ci siamo rimasti irrimediabilmente impigliati.
“Grottesco” ci conduce attraverso una rassegna di memorabili caratteri sontuosamente tratteggiati: ciascuno a suo modo iperbolico nella propria, di volta in volta, meschinità, imperscrutabilità, diabolicità, sensibilità, ottusità preterintenzionalmente nobile, lealtà inspiegabilmente tetragona.
“Grottesco” è una sorta di “giallo-beffa”, che pur sfociando in un suo “naturale” termine, non si può dire si risolva fino in fondo. La storia alla fine si compie quasi con la precisione di un teorema, ma di cose da dimostrare ne rimangono parecchie. E anche questo è un forte elemento di fascino, fra i tanti contenuti in questo romanzo.
2 commenti:
Recensione allettante, mio caro Gilly! Me lo segno sübit!
Spero che sia una lettura coinvolgente, come la è stata per me, Ade :-)
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