Questo film parla di alcune arti minori.
Dell’arte della pigrizia. Dell’arte di fare flanella, passando tempo non-utile con gli amici. Dell’arte di lasciar vivere. Dell’arte di saper stare da soli, anche, forse.
È un film per tipi ai quali il mondo a volte fa paura, ma dopo ci mettono poco ad accorgersi che quasi tutto il male, prima o poi, degenera in aspetti grotteschi.
È un film sulla libertà di essere, sul prenderla con calma, sul riconciliarsi coi propri fallimenti.
È un film di raffinata intelligenza comica, laddove si intenda la comicità come chiave interpretativa spesso utile per capire la vita.
C'è un ridere che nasce dalla pancia. Un altro dal cervello. Altri tipi ancora, dal cuore, dalla gola, da un mignolo del piede (non se mancante, però).
“Il grande Lebowski” suscita un ridere sorgente da ogni estremità del corpo, che poi implode dentro, infrangendo il labile muro del non-senso, per sfociare nel paesaggio puro della fantasia.
Da questa storia, non si farebbe fatica a trarre la logica conseguenza che tutto ciò che è demenziale è reale. Ma allora si sarebbe dovuta intitolare “Il grande Hegelowski”.
Il ritmo e i tempi in questa storia sono fondamentali quanto la sua leggerezza. Per questo, in un film così occidentale, è contenuta anche una non trascurabile dose di oriente.
2 commenti:
Uno dei miei preferiti in assoluto!
:-) grande film, e grande Cincia :-)
Posta un commento