Definirei questo film un diamante fragile. Chi lo guarda si aspetti di sentirsi infrangere qualcosa nel proprio intimo. Se ne esce con non pochi cocci rotti, con vari sentimenti acciaccati, ma con un strana impressione di “convalescenza dell’animo”.
Ne esce male soprattutto la figura maschile, fatta passare attraverso il tritatutto di varie meschinità.
Fulcro di tutta la storia è la perturbabilità potenziale dell’energia erotica e affettiva, concentrata nella fattispecie nelle fattezze di una Claudia Cardinale in stato di grazia.
La narrazione è a tratti delicata, diventa cinica, a volte spietata, poi assume sfumature trasognate e ingenue, però si rimane immersi per tutto il film in un’aura poetica indefinita, determinata soprattutto dalla tensione recitativa che si innesca fra gli attori, più che dall’intreccio della trama.
Il contorno è l'Italia anni sessanta di un boom già alquanto scoppiato e disilluso, anche se piccoli barlumi di candore, di cui sono capaci alcuni personaggi, aiutano a non lasciar morire del tutto una certa fiducia in un qualche tipo di riscatto.
La sensazione che rimane dopo l'ultimo fotogramma, è di aver fatto un viaggio lontanissimo. Di essersi addentrati nell’animo umano, tanto profondamente quanto non mai. Di aver lì osservato aspetti della vita che ci hanno turbato e inquietato. Che le cose belle si pagano care. Ma anche una indefinibile contentezza per aver visitato quei luoghi dello spirito così ineffabilmente complessi.
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