“…Fa tanto bene pensare che dentro di noi c'è uno che sa tutto, vuole tutto, fa tutto meglio di noi…”
Demian (1919) - Hermann Hesse
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Germaglio realizzò ad un certo punto del proprio srotolarsi nel vivere, che qualcosa di meglio del pensare, al mondo, non gli era mai riuscito.
Naturalmente, come tutti, anche lui nel tempo si era arrabattato di continuo ad incidere con più o meno evidenza l’hard disk della quotidianità.
Aveva lanciato ponti verso gli altri, aveva frequentato tutti i sentieri espressivi così cari agli uomini.
Aveva ingravidato le menti altrui con semi di amicizia, quando gli era stato possibile. Si era auto-vampirizzato fino al profondo del proprio capirsi, nello sforzo spasmodico di risucchiare tutto il senso di sé per trasfonderlo nell’interiore vastità sensuale e affettiva di donne amate.
Aveva vissuto, seppur in tono minore, facendosi segno applicato sopra gli avvenimenti.
Ma il meglio di Germaglio, era lui stesso a saperlo per primo, sarebbe rimasto per sempre nel suo intimo, inestricabile, non estraibile, conservato perfetto e da nessun altro mai visto, come un diamante inarrivabile, sotto le profondità della Terra.
Germaglio rimaneva tuttavia convinto che quel nucleo caldo di “pensato”, in qualche modo poteva traspirare fuori e andarsi a confondere col Vero.
Un pensiero pensato, nel momento stesso in cui nasce, entra a far parte della realtà. Da allora in poi non è più un nulla, ma un qualcosa. E la sommatoria di tutti questi pensieri pensati, ma mai tradotti in segni comunicabili, doveva pur rimanere, in un qualche luogo, forse non fisico, ma pur sempre inspiegabilmente esistente.
La realtà, allora, non può che essere tutta satura di pensieri fluttuanti, di un’inconsistenza di fatto inafferrabile, ma non meno veri, al pari della materia oscura, o antimateria, ipotizzate dalla fisica…pensava Germaglio...
In queste riflessioni si smarriva, si impauriva. E lo preoccupava il suo impaurirsi, perché ipotizzava che ogni sfumatura non buona del sentire interiore inesprimibile, poteva andare ad aggiungere peso negativo alla materia oscura pensata vagante per il mondo.
Ma poi si rasserenava subito, se solo gli capitava di ammirare la miriade di cappelle sistine e di Partenoni della mente, dimoranti nel proprio sé.
Non trasmissibili, certo, non condivisibili con chicchessia.
Ma pur sempre incredibilmente nutrienti da contemplare e da sentire coincidere con l’Io, con l’Es, e col proprio vero.
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