sabato 12 gennaio 2013

Wassily Kandinsky: e non c’è niente da capire…


Da molto, troppo tempo, trascuro la mia rubrichetta d’arte. Oggi mi è venuto voglia di riprenderla con un autore molto impegnativo: Wassily Kandinsky (Mosca, 1866- Neuilly sur Seine, 1944). Il criterio col quale ho scelto di volta in volta gli artisti intorno alla cui opera mi sarebbe piaciuto un po’discettare, è sempre stato molto banale: semplicemente, le creazioni dell’autore in questione dovevano e devono piacermi, dovevano e devono dirmi qualcosa. Le note dolenti iniziano poi esattamente da qui, ossia dall’istante in cui mi debbo mettere a spiegare in cosa consista quel “qualcosa” che l’opera del tale artista mi sta dicendo, mi sta comunicando.

Ma facciamo un passo indietro, riportiamoci per un attimo alle fondamenta dell’atto conoscitivo medesimo, ponendoci alcuni quesiti che vengono prima, molto prima del compito stesso di dover spiegare ed argomentare. Un’opera d’arte si può davvero “capire”? In un’opera d’arte c’è veramente “qualcosa da capire” (come nella famosa canzone di De Gregori)? Quello di “comunicare” è davvero lo scopo primario, l’obiettivo principe, di un’opera d’arte? Mi sembra che la risposta possibile da dare a queste domande sia alla fine sempre la stessa: sì e no.

E’ chiaro come l’intenzionalità più intima di un artista prenda le mosse dal desiderio, dalla brama quasi, di entrare in sintonia con il sentire degli altri. Ma la via artistica viene solitamente intrapresa ad iniziare da quel punto in cui ci si rende conto dell’impotenza dei normali canali di trasmissione di significati relativi al mondo e alla vita. Quando i codici assodati e perfettamente condivisi delle varie forme di linguaggio a disposizione per trattare “operativamente” i significati del vivere (in primis la lingua del “senso comune”, ossia tutte le parole che ci consentono di “dire” con la certezza assoluta di essere capiti, e per le quali “cane” vuol dire “cane, “gatto” vuol dire niente più di “gatto”, e così via), quando questi codici, dicevo, si rivelano impotenti ad inglobare in sé la complessità di significazioni di grado superiore che si intende trasmettere, ecco che entra in scena il fare artistico. Ad esempio: voglio dire quanto sono turbato dal senso dell’infinità del tutto? Voglio proclamare un sentore nascosto e remotissimo che mi pare di aver intuito nei meandri più sotterranei del vivere? Voglio abbracciare la complessità delle cose con un solo sguardo sintetico che ne renda conto in misura umana? Ecco che in tutte queste circostanze, l’uomo si è sempre affidato al mezzo artistico, come solo in grado di coprire la vastità di simili compiti “comunicativi”.

Allora sì, è vero: un’opera d’arte “comunica”. E’ vero: in essa c’è qualcosa da “capire”. Ma saranno sempre un “comunicare” ed un “capire” dai confini assai labili, amplissimi, sconfinati. Un’opera d’arte è un congegno comunicativo a significazione aperta. Ha poco senso dunque, in questa ottica, la classica frase che si sente dire spesso: «…Ma io l’arte moderna non la capisco…ma cosa vuol dire questo quadro?...». O meglio, sono dubbi legittimi, ma hanno poco senso nel caso ci si attenda un tipo di “capire” limpido, lineare ed onnicomprensivo, che non lasci fuori “scarti di senso” alcuno, come quello di pertinenza ad esempio di una farse del tipo «...il gatto ha bevuto tutto il latte nella ciotolina...». Se è questo il tipo di “capire” di cui si va in cerca, si rimarrà per sempre delusi e non si capirà alla fine mai nulla. Nemmeno il critico più acuto e geniale potrà mai capire un’opera d’arte con quella precisione e completezza, con quella assoluta biunivocità fra “significato” e “supporto linguistico atto ad esprimerlo” (colori e linee in pittura, marmo nelle sculture, fotogrammi nel cinema, ecc.) che ci si attende da un comunicare del tipo “operativo” e lineare utilizzato invece nella quotidianità.

Dopo aver detto queste cose, parandomi tra l’altro anche stavolta un po’ le spalle per tutte le castronerie che mi capiterà di scrivere nel proseguimento del discorso, posso tornare al tema di Kandinsky. I ragionamenti fatti sopra calzano bene riguardo a tutto il senso del fare artistico, ma per di più cadono abbastanza a fagiolo soprattutto per quel che concerne la poetica dell’artista russo.



Per capirci qualcosa, è utile partire dalla metafora offerta dalla musica, spesso frequentata non a caso dallo stesso Kandinsky. In cosa si differenzia la musica rispetto a tutte le altre forme d’arte? In questo: la musica è del tutto astratta, ossia non ha riferimento od aggancio alcuno ad “elementi sensoriali presenti in natura”. Il discorso è sottile e va chiarito bene. D’accordo, anche la musica si serve di suoni, che sono pur sempre entità fisiche tratte dalla realtà. Certo, anche la musica è un “linguaggio” e si deve pur basare su qualche tipo di “segno” o supporto materiale, che nel suo caso è appunto il suono. Ma il suono, in musica, non “imita” nessun elemento del reale. O se lo fa, lo fa in misura estremamente “traslata”. Ad esempio, è vero che le “Quattro stagioni” di Vivaldi offrono un’immagine riflessa di un certo senso della naturalità. Tuttavia i “segni” di cui quelle melodie si servono per fare questa operazione evocativa sono del tutto avulsi da riferimenti diretti agli elementi reali e sensoriali delle stagioni vive e vere. Il suono di un violino non imita nulla di reale, se non se stesso, e così si può dire di tutti gli strumenti. La musica rappresenta dunque la forma di linguaggio più pura ed avulsa dall’imitazione di elementi sensoriali tratti dalla realtà. Per questo riesce ad introdurci dentro atmosfere così “metafisiche”, talvolta, o a farci sfiorare dimensioni così alte e lontane.

Ora, l’indagine poetica di Kandinsky, da un certo momento in avanti della sua avventura artistica (si può addirittura fissare una data: dal 1910 in poi), è tutta incentrata su questo obiettivo: cercare di capire se un tipo di “purezza linguistica” simile a quella musicale sia evocabile e praticabile anche attraverso gli strumenti espressivi dell’arte figurativa (in parole povere e nel senso più comune: con gli strumenti della pittura).

«Primo acquerello astratto» 
Wassily Kandinsky - 1910


Per intraprendere questa operazione di finissima levatura intellettuale (ancor prima che tecnica), Kandinsky si rende conto della necessità di azzerare ogni tipo di conoscenza riguardante la realtà. Non a caso ho detto prima che il mio discorso introduttivo generale si attaglia bene anche al ragionamento particolare su Kandinsky. L’operazione che Kandinsky attua con il suo «Primo acquerello astratto» del 1910 (data di un fatidico spartiacque per l’artista, come già accennato) sta infatti nel riportarsi idealmente alla fase mentale (e percettiva, e delle sensazioni) che precede ogni tipo di acquisizione conoscitiva. Kandinsky prova ad esplorare quale esito figurativo possa derivare dal gesto artistico puro, spogliato di ogni sapere acquisito con l’esperienza. Kandinsky si propone la realizzazione di un gesto pittorico che preceda ogni fase successiva di comprensione, ogni forma di “capire” derivata in seguito dall’esperienza. Si sarà insomma già capito come Kandinsky persegua l’intenzionalità di riportarsi ad una dimensione infantile (e proprio per questo “pre-conoscitiva”) del fare artistico figurativo.

“Il prima” di ogni “capire”; “il prima” di ogni “sapere”; “il prima” di ogni rappresentazione riguardante il mondo e le cose, che con l’esperienza ci si forma: è quella dimensione che Kandinsky intende andare a cogliere a partire dal suo «Primo acquerello astratto» del 1910. Sicuramente si trattava di un programma estremamente arduo, al limite dell’utopico. Spogliarsi della consapevolezza adulta ormai stratificata ed assodata appare come un compito pressoché impossibile. Ma il senso dell’operazione del maestro russo non è così ingenuo e banale: l’intento non sta nel riprodurre una vaga idea di “infantilità”, alla ricerca di un qualche senso di spontaneismo fine a se stesso e non meglio precisato. In gioco c’è invece una scommessa filosofica ben più profonda. C’è un confronto con tutta l’indagine speculativa dei grandi pensatori moderni, in primis Arthur Schopenhauer.

Per Schopenhauer il mondo come pura Rappresentazione umana non può non rivelarsi altro che nelle forme di un’illusione. Mentre è nella Volontà del mondo di procrastinare se stesso, che risiede la vera essenza del reale. Kandinsky intuisce allora che la pittura può dire qualcosa riguardo alla vera essenza del reale, soltanto se si spoglia di ogni pretesa di rappresentazione, di imitazione della realtà (così come, per riprendere la metafora introdotta prima, la musica già fa “per sua natura”). In questo (perlomeno da come l’ho capita io) risiede il nucleo più intimo ed essenziale della poetica di Kandinsky.

Va detto che già altri insigni artisti prima di lui avevano preparato la strada all’astrattismo, ma nessuno come Kandinsky era riuscito a condurre il discorso ad estremi di “radicalità” così spinti. Con Kandinsky la purezza della “non-figurazione” si fa assoluta. La pretesa di dire ciò che esiste “prima”, “al di qua”, della rappresentazione è totale.

Ci racconta Giulio Carlo Argan: «...Kandinsky si è proposto di riprodurre sperimentalmente il primo contatto dell’essere umano con un mondo di cui non sa nulla, nemmeno se sia abitabile. E’ soltanto qualcosa d’altro da sé: un’estensione illimitata, non ancora organizzata in spazio, gremita di cose che non hanno ancora un posto, una forma, un nome. [...] Indubbiamente il bambino percepisce, riceve sensazioni dal mondo esterno: ma la percezione non si precisa in nozione, si traduce in un insieme di moti istintivi, con il quale il bambino prende ciò che lo attrae, respinge ciò che teme. Se dispone degli strumenti necessari, trasforma quei gesti in segni, che a loro volta vengono percepiti; e poiché il mondo esiste per lui in quanto lo percepisce, facendo qualcosa che si percepisce afferma la sua volontà di fare realtà, di esistere. Kandinsky  non si propone di dimostrare che così il bambino vede il mondo e così lo rappresenta, sarebbe un assunto insensato. Si propone di analizzare, nel comportamento del bambino, l’origine, la struttura primaria dell’operazione estetica...».

L’arte moderna. 1770 / 1970
Giulio Carlo Argan - 1970

Ecco allora come Kandinsky cerca di spogliarsi di ogni sapere, nel tentativo di esprimere solamente l’essenza di ciò che è “pre-conoscitivo”. Le linee non sono dunque contorni che delimitano figure conosciute, ma solo prolungamenti di una volontà gestuale pura. I colori non raccontano la fisicità di superfici note, non riproducono volumi di cose riportate sulla tela attraverso una “interpretazione” dei relativi stimoli provenienti dalla realtà. Come dice ancora Argan, l’insieme dinamico della composizione non intende riprodurre delle “forme” (tipico prodotto di una “rappresentazione”), ma piuttosto una coralità di “forze” (esito di una “Volontà”) in gioco.

A questo punto, innumerevoli altri approfondimenti sarebbero necessari per meglio tratteggiare il senso completo della poetica di Kandinsky. Tanti altri quadri andrebbero analizzati. Ma siccome mi pare di aver già abusato fin troppo della pazienza del lettore, per oggi reputo pietoso e doveroso terminare qui. Sempre pronto, s’intende, ad incassare la fatidica conclusione da parte di chiunque abbia avuto bontà di arrivare sino a questo punto nella lettura del mio sproloquio: «...Va beh, sarà: ma io alla fine, nell’arte moderna continuo a non capirci una mazza...».

13 commenti:

Cristina Berardi ha detto...

Caro Gilli, molto interessante :=)
Mi sorprendo sempre più di quante cose abbracci :=)
Recentemente , a un seminario di omeopatia a cui ho partecipato, ho scoperto il valore dell'Analogia aristotelica, ...strumento potentissimo a me molto utile.

Un forte abbraccio

Gillipixel ha detto...

@->Cristina: grazie, Cri, del tuo caro commento...è vero, ci sono così tante cose da sapere che non si sa dove pendere :-) è bello essere sempre curiosi e lasciare che il sapere ci attraversi :-)

Bacini analogici :-)

MR ha detto...

Caro Gilli, io restò sempre più incantata dalla tua curiosità che Sto arrivando! Spaziare in diversi campi, e da come riesci ad entrare dentro ognuno di questi campi. In ciò che hai scritto c'è molto di interessante ma, ahimè, anche diverse cose a me incomprensibili, sempre perché vi ravviso quella filosofia a me tanto ostica. Ti invidio... Bonariamente. ;)

MR ha detto...

Uffa, questo iPad! Errata corrige: dalla tua curiosità che sa spaziare...

Marisa ha detto...

Beh! Devo confessarti che io amo e sottolineo amo solo la pittura contemporanea per cui Kandinsky occupa i primi posti nella classifica di gradimento.
Mentre nella musica che è esplosiva, invadente e ruffiana le consonanze sono molto più gradevoli della dodecafonia della musica contemporanea, nella pittura i tratti appena abozzati, i colori netti e decisi li trovo più avvolgenti di una mega scena di caccia alla Paolo Uccello.

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: grazie di cuore, cara EmRose, ti dirò che trovo bonariamente stupendo essere bonariamente invidiato da te :-)

Lo so, i passaggi riguardanti la filosofia risultano sempre quelli più ostici...credo che nell'affrontare certi artisti, siano inevitabili ed il fatto è che ci vorrebbe troppo spazio per sviscerare come si deve tutti i retroscena legati al pensiero filosofico...aggiungici che sicuramente io non sono un esperto, ma solo un appassionato, per cui le mie spiegazioni filosofiche risulteranno magari in certi punti ancor più lacunose...insomma, spero almeno che quello che sono riuscito a comunicarti, sia stato ad ogni modo cosa buona :-)

Bacini lusingati con piccoli abbracci filosofici :-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: grazie del tuo appassionato commento, cara Mari :-) non a caso, da brava musicista, apprezzi di più l'arte moderna e contemporanea, perché solo a partire da esse si comincia ad indagare le strutture "indipendenti" del fare arte, in modo simile a ciò che succede da sempre nel mondo della musica...solo certi visionari del passato riuscirono ad introdurre anticipazioni a questo discorso: Paolo Uccello è senz'altro uno di quelli, ma possiamo ricordare anche Goya, El Greco, oppure Parmigianino, Cosmè Tura...un discorso radicale in questo senso si ha però solo con l'arte moderna, e con Kandinsky soprattutto :-)

Bacini esplosivi :-)

Marisa ha detto...

Ti racconto un episodio dei primi anni in cui ho cominciato il mio lavoro qui a Firenze.
L'allora maestro del coro, molto bravo sì, ma altrettanto insicuro perché fondamentalmente timido e impacciato che per sciogliersi un po' beveva sempre qualcosina prima di affrontare l'arena della sala coro, tutti i giorni si documentava alla men peggio sui paralleli che la musica del momento gli ispirava.
Era, si può dire, ciclico, cioè gli prendeva delle fisse che poteva essere appunto la pittura, la lingua francese (come dimenticare le biche che lui tradusse le bisce che strisciavano...).
Nella fase pittorica o pittoresca, tra il "fondo oro" e i "chiaro oscuri" (facile eh?) disse: "Signori, per favore più Mantegna e meno Paolo Uccello" che tradotto poteva avere un solo significa to, per noi ovviamente: "Signori, non cantate a c..." ;-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: ehehehhe, buffo il tuo aneddoto, Mari :-) già, questo grandissimo autore è destinato per sempre a veder associato il suo nome all'eterno doppio senso :-) ad ogni modo, come dicevamo già in occasione della grande diatriba su Franco Simone :-) l'ironia ci aiuta sempre a saper sorridere di tutto e ad esser seri con misura e proporzione :-) per cui, pur continuando a stimare immensamente la grandezza dell'opera di Paolo Uccello, rimane inevitabile fare un beffardo pensierino a quell'altro risvolto anatomico, ogni volta che si sente dire il suo nome :-)

Bacini ornitologici :-)

ross ha detto...

Bello, bellissimo quello che hai scritto.La mia riflessione riguarda la parola infans.Questo aggettivo latino significa che non può parlare,muto.Questo termine in origine si riferiva al periodo intercorrente tra la nascita e la comparsa del linguaggio. Oggi è usato in maniera impropria ;i bambini nella scuola d'infanzia ,parlano e quanto parlano....Penso a un bimbo di 2 ,3 mesi... preverbale, infans .Come percepisce la realtà?come organizza la luce , le ombre,i colori , gli oggetti?Non è in grado di organizzarli in categorie e quindi etichettarle ...con parole ..Non ci sono oggetti e nemmeno parole nel suo mondo .Penso che se un bimbo di 1,2 mesi potesse per assurdo rappresentare graficamente questo mondo percepito pre label, disegnerebbe come il grande artista.Insomma, credo che Kandinsky,non so come, abbia rievocato nella sua mente quel mondo pre-io,pre verbale ,indiferrenziato, il tutto possibile .

Gillipixel ha detto...

@->Ross: grazie mille, cara Ross, per il tuo bel contributo all'insieme di idee che ho cercato di inseguire parlando di Kandinsky :-)

Kandinsky poi è anche molto altro rispetto a tutto ciò, ma questo aspetto della sua poetica è forse quello che affascina di più: riandare alla purezza originaria del fare estetico, cercare di ipotizzare una dimensione iniziale...forse una sfida impossibile da vincere in pieno, ma
assai stimolante da ingaggiare :-)

Bacini infanti :-)

Kika ha detto...

Ciao Gillipixel, scrivo a nome mio e dell'associazione culturale di cui faccio parte. Sono incappata nel tuo bello e approfondito articolo in virtù dell'interesse per Kandinsky. L'hai scelto come perfetto esempio della tua argomentazione: chi più di lui, in quanto padre dell'astrattismo e fautore dell'arte come "necessità interiore", potrebbe rappresentare il concetto dell'impossibilità di "capire" l'arte?
Ora che ti ho scoperto vorrei farti conoscere un mio piccolo contributo proprio su Kandinsky: si tratta di un gioco-racconto (presente i vecchi librogame?) che si trova gratuitamente online sul sito della nostra associazione, a questo indirizzo: http://www.portodarti.it/ilrisveglio_kandinsky.html

Se ti incuriosisce e vuoi provare a leggerlo, fammi poi sapere cosa ne pensi!
Ti lascio anche la pagina Facebook che abbiamo creato per scambi e commenti sul tema: https://www.facebook.com/kandinskyconspiracy

Grazie e buon proseguimento col tuo variopinto blog!

Gillipixel ha detto...

@->Kika: grazie, Kika, che bella sorpresa questo commento ad un mio scritto lontano :-) è bello quando qualcuno infrange l'appiattimento internettiano sul tempo presente...un blog sembra sempre e soltanto fatto dall'ultimo articolo scritto, e invece c'è tutta una marea di roba dietro, ma la dura legge del web pare cancellare il passato, in modo perverso...insomma, grazie :-) per fortuna che ho il cicalino in mail :-) che mi avvisa dei commenti, altrimenti non avrei mai visto questo tuo...

Darò un'occhiata senz'altro a tutti i tuoi link...Ho visitato intanto il tuo blog, le muse di Kika e mi è piaciuta un sacco questa tua idea di riscoprire gli abiti attraverso le opere d'arte...davvero molto bello, ti seguirò :-)

Grazie ancora...mi accomiato, rendendoti partecipe di una regola aurea del mio blog: ogni commento proveniente da commentatrice femmina :-) viene salutato con bacini finali variamente declinati...non puoi essere esentata da tale usanza :-) per cui ti dico ciao e:

Bacini art nouveua :-)