mercoledì 14 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 170 - "Una specie di sipario"

"Un pensiero al giorno"

170 - "Una specie di sipario"

Care amiche, cari amici, con questo piccolo commiato, si interrompe momentaneamente la serie di "un pensiero al giorno". Non saprei dire quanto questa sospensione durerà. Forse un giorno o due, forse di più, forse non so.

Ringrazio tutti per la fedele presenza, siete stati miei cari lettori stupendi, anzi, soprattutto lettrici meravigliose. Spero di tornare a scrivere presto. In ogni caso, quando gli dei della narrativa, e le nutrie, vorranno. 

Bacini del giorno a tutte, cari abbracci a tutti e...vogliate molto bene alle nutrie.


martedì 13 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 169 - "In-opinante"

"Un pensiero al giorno"

169 - "In-opinante"

Oggi non so cosa dire. Spero venga apprezzato, nel gran magma degli opinanti, uno che non ha argomenti.

Non avere un'opinione, non è in fondo così male, ha qualcosa di nobile. Ci si pone nell'atteggiamento di estrema umiltà, di chi ammette di non poter aggiungere una virgola a quanto viene detto nel mondo.

Il non dire mio, lascia spazio al dire altrui. Ogni giorno milioni di persone accorrono attorno alla grande ruota di internet e ci incastrano dentro la propria più o meno grande fetta di dire. La ruota s'intasa, barcolla, si sbilancia qua e là, ma continua a girare.

Il non dicente si assiepa al bordo della ruota, ma osserva e basta. Non fa variare di un grammo l'equilibrio della gran rotante, ascolta soltanto.

C'è una grande probabilità, se non quasi certezza, che il proprio "non detto" venga triturato, calpestato, macinato, o persino ignorato. Ma questo è il destino anche della maggior parte del "detto".
Tutti si vogliono far sentire, c'è uno sconfinato bisogno di essere ascoltati. Chi è senza ascolto al mondo, semplicemente "non è". Ecco, si può dire che il non dicente rechi alla ruota il proprio bisogno di essere ascoltato "allo stato puro".

"...Non ho niente da dire, ma ascoltate il mio bisogno d'ascolto..." sembra dire il non dicente.

Il non dicente non corre il rischio di parlare di argomenti di cui non sa nulla, perché non argomenta affatto. Non si atteggia a pseudo esperto di materie che mai ha studiato, perché non si addentra in nessuna materia.

Il non dicente non si cimenta con una comicità che non farà ridere, con una satira che potrà offendere o mancare grossolanamente l'obiettivo, con una velleità letteraria o poetica che scaturirà in esiti di mediocrissima qualità. Proprio perché non si cimenta con un bel niente.

Il non dicente non dice e in qualche modo dice, fregandosi con le sue stesse mani. Il non dicente è l'altra faccia della medaglia del dire. Perché tanti possano continuare a dire, ci vuole pur qualcuno che la smetta di dire.

Credo che dovreste essermene grati, almeno per oggi.


lunedì 12 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 168 - "Niki Lista"

"Un pensiero al giorno"

168 - "Niki Lista"

Non voglio più essere qui
non voglio più che sia adesso
non voglio più essere io
non voglio ciò che è stato
non voglio ciò che sarà
non voglio il mio passato
non voglio nessun futuro
e non ne son sicuro
ma non voglio questo insistente
fottuto mio presente
non voglio più vedermi
non voglio più sentirmi
non voglio più ascoltarmi
non voglio più parlarmi
non voglio più annusarmi
non voglio più toccarmi
non voglio desiderare
non voglio non volere
non voglio aver ragione
non voglio avere torto
non voglio sperare niente
non voglio disperare
voglio solo deflagrare
in milioni di milioni
di atomi non volenti
che non sappiano più
di esser stati,
nel lontano passato
di pochi attimi fa,
quella cosa chiamata me!


domenica 11 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 167 - "Brodesìa"

"Un pensiero al giorno"

167 - "Brodesìa"

M'è caro solo
il cavolfiore che non digerii,
la rima cuore-estintore,
l'orsetto lavatore
che eterno in me sentii
e il presente, e vivo,
e la centrifuga di lui.
Ognuno sta, piolo,
sul gran scalone della terra,
ed è subito gruviera.
Tanto cortile e tanto Ernesta pare
la donna mia
quando non mi saluta
che ogni cagnara divien,
tremando, muta.
Fosti non fatte a rider come duchi...
Fotti voi faste a seder come buchi...
Fatti voi foste a viver come fuchi
e a inseguirle tutte...e resilienza.
Dagli altri muscosi
dai fori che han denti
scemiamo in gran schiera
noi tutti perdenti.
Chi dice "m'ha"
gran cornuto è, si sa.
Chi non lo dice
si fa la Bice.
Trenta nonni ha Nettuno,
tutti gli altri trotterellano in uno.
Si vispa Teresa, para bellum,
absit anguria verbis,
penuria non olet,
ma fa male se la pigli.
Il cielo è sempre più giù,
chinarsi non conviene
se alle terga un po' si tiene.
Io vorrei, non vorrei, ma se buoi,
paesi e suoi che stan sulla collina,
distesi come un secchio
addormentato, ti lascio, piglio, vado
via, ma preferivo baciar tua zia.


sabato 10 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 166 - "Chicchi di donna"

"Un pensiero al giorno"

166 - "Chicchi di donna"

Quando fu chiaro che Perfezia non sarebbe stata come tutti gli altri bimbi, l'uva sopra i tralci era quasi pronta da cogliere. Nel venire alla luce, non aveva pianto, ma lasciò andare solo un lungo soffio profumato di rose, e si mise a respirare come se l'avesse fatto da sempre. Non cercava mai la tetta, non faceva cacca, né pipì, eppure cresceva bella florida e in salute.

Fin dalla prima sera su questa terra, si addormentò alle dieci e trenta, e si svegliò alle otto del mattino. Lo stesso fece tutti i giorni successivi. Non beveva mai, non mangiava mai, eppure si faceva sempre più grande, carina e piena di vita.

Al momento debito, iniziò a camminare, poi a parlare e a imparare le cose, anche se nessuno le insegnò mai nulla. A tre anni infatti di mise a scrivere su un foglietto di carta, eseguendo anche operazioni matematiche, senza averle mai viste da nessuna parte. Presto si comprese che Perfezia non aveva bisogno di insegnamenti e che la conoscenza si formava in lei spontanea, per auto-generazione.
Così prese ad andare a scuola, ma solo per fare qualcosa. Ascoltava distratta le parole delle maestre, perché spiegavano sempre cose che le si erano già formate in testa da qualche giorno. Durante la ricreazione, non faceva merenda e stava volentieri in compagnia degli amichetti, però poteva anche farne a meno.

Col passare del tempo, il panorama della personalità di Perfezia si disegnò con precisione: non aveva bisogno delle cose del mondo, così come non aveva bisogno degli altri, né dell'esperienza che solitamente ogni persona deve fare. Perfezia non amava, non soffriva, non gioiva, non pativa. Viveva semplicemente come un essere imperturbabile.

Diventò grande e si fece proprio una meravigliosa giovane donna. I ragazzi impazzivano per lei, e Perfezia si concedeva ogni tanto per storielle passeggere, senza perdere mai la sua assoluta autonomia da tutti e da tutto.

Per caso, scoperse che il batiscafo a tenuta stagna della propria indipendenza da ogni realtà, aveva una curiosa falla. Non poteva stare alla presenza, né alla vista, di grappoli d'uva matura pronta da cogliere, ancora sulla vite.

In simili circostanze, Perfezia diventava bisognosa di tutto: cibo, acqua, vino, vicinanza umana, amore, gioia, conoscenza, e anche di tutte le altre paure e le soddisfazioni di cui si nutrono gli esseri umani.

La mamma glielo aveva sempre raccontato: quando era nata, le viti avevano donato agli uomini i grappoli più grandi e sugosi mai visti. A Perfezia tornò alla mente questo ripetuto racconto, la prima volta che, avvicinandosi a un filare d'uva matura, si era resa conto del suo segreto.

Da quel giorno, attende ogni nuovo periodo di vendemmia, per poter ripetere l'esperienza di capire cosa vuol dire avere esperienza, essere donna maturata insieme all'uva, sentire il sangue che scorre dentro come vino corposo, far ubriacare un amante abbracciato stretto sotto i tralci, con soavi baci che sanno di chianti e amorosi aliti al profumo di rosa.



venerdì 9 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 165 - "La figura e i numeri"

"Un pensiero al giorno"

165 - "La figura e i numeri"

Oggi solo una piccola considerazione su un altro incanto matematico. Mi sto rivedendo la cara e vecchia trigonometria, "ad ausilium nipotinae", ossia per la cara nipote che si appresta a battagliare con questo insidiosa fetta del numerico sapere. E, al contrario della mala opinione nutrita dallo studentato o studentame medio in genere, sto riscoprendo la bellezza di questo argomento. Sin da dove tutta la storia ha inizio.

La trigonometria nasce infatti da questa piccola costruzione magica: si prenda un piano cartesiano definito dai due assi orientati delle "x" (ascisse) e delle "y" (ordinate). Si pigli il compasso e lo si punti sull'origine "O" degli assi (dove si hanno x=0 e y=0). Si tracci una circonferenza di raggio 1.

Ora, considerando qualsiasi punto della circonferenza, esso sarà già di per sé posizionato sull'estremo dell'ipotenusa di misura 1 (la quale altro non è che uno dei raggi, per l'appunto) di un triangolo rettangolo. Per esempio: prendiamo un punto della circonferenza nel quarto di piano delimitato dalle x (verso destra) e dalle y positive (verso l'alto), detto primo quadrante (quello in alto a destra).

Tracciando, da un qualunque punto della circonferenza in questo quadrante, una perpendicolare all'asse delle x, ecco apparire il famoso triangolo rettangolo. In virtù di quella meraviglia che va sotto il nome di teorema di Pitagora, la somma dei quadrati dei suoi cateti, sarà uguale all'ipotenusa al quadrato.

Ma nel nostro caso, essendo l'ipotenusa coincidente col raggio, e misurando sempre 1, misurerà 1 pure se elevata al quadrato, e questo per tutti i raggi considerati.

Ecco dunque che se chiamiamo x e y, le generiche coordinate di ogni punto della circonferenza, che variando lungo l'orbita circolare, danno vita a infinite accoppiate di cateti, si può scrivere un'equazione generica in x e y, in grado di descrivere, con una sintesi suprema di commovente bellezza, ogni possibile comportamento della circonferenza stessa.

Quell'equazione è:

X^2+Y^2=1 ("X" alla seconda + "Y" alla seconda = 1).

Prendendo uno qualsiasi dei punti "ruotanti" lungo quella circonferenza, e inserendo le sue coordinate in tale espressione, essa funziona.

La figura funziona come i numeri; i numeri parlano della figura. Il pensiero e la forma si sposano in un amplesso concettuale, foriero della più alta soddisfazione estetico-sostanziale.

Ora, non pretendo di essermi spiegato a meraviglia. So anche che queste nozioni si trovano su ogni modesto manuale scolastico a tema, raccontate sicuramente meglio. Ma quello che mi domando è: come fa la gente a non diventare matta di bellezza per questa roba? Perché continuano a drogarsi, quando esistono invece sostanze così potenti come la trigonometria? Perché non la trasmettono alla tele in prima serata, con naturale, conseguente picco assoluto di ascolti?


giovedì 8 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 164 - "Vestito di aria"

"Un pensiero al giorno"

164 - "Vestito di aria"

Mi sono messo
a braccia larghe
e gambe aperte
le dita spalancate
i piedi puntati a terra
per frenare il tempo.

Mi è riuscito
di fermare
soltanto un'evanescente
sagoma d'aria
sfilacciata.

Sono nato mediocre
mediocre cresciuto
ho desiderato da mediocre.

Avrei voluto
tanto
amarti coi capelli corti
che non coprissero
nemmeno un istante
la luce fabbricata
dal tuo viso
ma hanno fatto a tempo
a diventar lunghe
le ragnatele negli angoli
di questa stanza
rabbuiata da un'ombra
di chiuso
mediocre.

Nei film
mi fanno fremere
le storie dove lui
desidera lei
con la forza travolgente 
e candida
che ti coglie
quando scappa la cacca.

Però lei è inarrivabile
sta troppo in alto
e tutto quello
che lui riesce a carpire
è una boccata calda
del suo alito 
come la medaglia
di legno
per cui si è
corsa la gara
arrivando ultimo
dopo i titoli di coda.

Stringo in pugno
solamente
qualche folata del tuo sorriso
come il ladro
scappato troppo
presto
al rincasare dei padroni
con la margherita
rubata dalla coppa d'oro
sulla credenza
intarsiata di diamanti.

Mi son messo 
contro tempo,
spalancato
come Vitruvio m'ha fatto
Per fermarne 
almeno un briciolo
col solo
risultato di
filtrarlo,
renderlo fine e
lasciarmelo così
alle spalle
ancora più carico
di desiderante
nostalgia.


mercoledì 7 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 163 - "Cavare arte dal già esistito"

"Un pensiero al giorno"

163 - "Cavare arte dal già esistito"

Un tratto di saggezza che mi sembra sempre più necessario acquisire, riguarda la familiarità con la ripetizione, la dimestichezza con il noto e l'ampiamente frequentato.

Abbastanza il contrario di come vengono invece intese le dinamiche esistenziali oggi giorno.

L'uomo è per sua natura un essere "differenziale", è affamato di novità. Ma se questa propensione viene resa una tendenza assoluta, si ottiene l'unico scopo di sprofondare nell'insoddisfazione perenne.
Ecco allora quanto diventa importante saper osservare le persone e le cose note, sempre con sguardo rinnovato. Aiuta a radicare la propria identità, ad ancorare i propri punti di riferimento, a conoscere più nel profondo.

Serve tuttavia guardarsi anche dal rischio opposto, che ci fa scivolare, assecondando tale via, nella staticità assoluta.

Direi dunque che occorre avere la giusta elasticità d'animo. Più che "averla", occorre "crearsela", coltivarla, farla crescere. Riscoprire il meraviglioso nel già conosciuto. Spremere stupore attraverso la curiosità sempre rinnovata anche sopra oggetti e soggetti di conoscenza, frequentati mille volte. Dare ascolto alla novità, che può fare capolino dalla situazione mai vista, così come da quella più che mai familiare.

In fondo, era proprio questo l'intimo intento di ricerca perseguito da un Claude Monet, nel suo ripetitivo ritrarre ninfee, o da un Mark Rothko, con le sue tele monocromatiche, all'apparenza tutte uguali, ma differenti per quell'infinitesima porzione dimensionale che di per sé valeva un'intera rivoluzione dello spirito.


martedì 6 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 162 - "Passeggiate nasali"

"Un pensiero al giorno"

162 - "Passeggiate nasali"

Una delle cose simpatiche dell'estate è andare in giro in bici per le strade con le narici "sulle ventitré" e annusare l'aria tutta intorno. Anche qui, come in tante altre circostanze, è questione di ascolto. Se si presta la dovuta attenzione alle sfumature, capiterà infatti di poter attraversare decine e decine di stanze olfattive, veri e propri prolungamenti di tutte le domesticità assiepate ai bordi delle vie.

Dalle finestre aperte, dai balconi, dalle porte, dalle verande, filtrano i più svariati odori di casa. Intimità assortite si protendono verso il fuori, che si muta in un interno preterintenzionale visitato da ogni naso curioso di passaggio.

Senti odori di salotto buono o di soggiorno, di pavimenti lavati, sensazioni fresche di bucato, atmosfere un po' stagnanti alle quali è stata data la stura come a una bottiglia di quello stagionato. Annusi aromi di letti e di sonno ben gustato, stratigrafie vaporose di soffritto, invisibili tensostrutture rette da solidi afrori al ragù, proclami di rivoluzione proletaria acclamata a botte di zaffate di frittata con le cipolle.

La privatezza tanto pazientemente custodita si estroflette, si pubblicizza, con quattro capriole dimensionali diventa un costrutto di fantasia raccontato sulle note di decine di scale cromatiche odorose.

I fiori sulle piante, magnolie, caprifogli, gelsomini, glicini, gli sfalci freschi dei prati, gli arbusti speziati negli orti, si uniscono al coro, a rendere ancora più articolata la polifonia.

Allora sì che ti sembrano davvero fondersi insieme il selvatico e il domestico, l'artificiale con la sua spontanea continuazione nel naturale. E a quelle concrete, si vanno ad aggiungere tante nuove architetture impalpabili, anche loro messaggere di affascinanti racconti che ti si spalancano quasi inafferrabili, tanto sono evanescenti, fino a giù, nel profondo dell'immaginazione.

La vita fluisce fuori al di là delle capacità di controllarla, corre oltre, uomini e donne si rivelano esseri frementi e pulsanti, denudano le proprie invisibilità attraverso le storie cavalcate dai loro odori, indomabili fuggiaschi che si mescolano all'azzurro, al verde e alle multi-cromie luminose del giorno, in un barocco lussureggiare di sensazioni.

Eppure, allo stesso tempo, tutto è così fine e quasi impercettibile, che dura un attimo e la pedalata dopo te lo sei già scordato.


lunedì 5 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 161 - "The fool on the strip"

"Un pensiero al giorno"

161 - "The fool on the strip"

Ho riflettuto parecchio sulle famigerate vignette satiriche francesi riguardanti il terremoto. Ho letto varie opinioni e insulti assortiti; reazioni ponderate e sfoghi di repulsione genuina.

Ci ho riflettuto tanto, che non saprei cosa concludere; se non, per riassuntivo impulso, prendere atto di tutto il fenomeno nella forma di uno degli agglomerati di contraddittorietà che contraddistinguono le organizzazioni sociali complesse.

Poi però mi è venuta in soccorso la letteratura, come spesso capita. Mi ha offerto un nuovo spunto, che se non sarà utile a dire l'ultima parola sulla questione, perlomeno ne avrà arricchito le sfumature.

Ho pensato al re Lear di Shakespeare, e al suo Matto, "the Fool", un personaggio importante, nella logica dell'opera. Il giullare di corte era infatti una figura articolata sotto l'aspetto umano (si veda anche il Rigoletto verdiano). Non si trattava di un semplice intrattenitore, ma svolgeva un ruolo critico molto intenso e urticante, per il sovrano e per i componenti della corte. Egli doveva stimolarli a riflettere, metterli di fronte a realtà sgradevoli, servendosi al limite anche dell'offesa. Rappresentava quasi una personificazione beffarda della loro cattiva coscienza.

La reazione del re e dei cortigiani tuttavia andava di conseguenza all'intensità con cui il nervo scoperto veniva toccato dal Matto. Re Lear minaccia varie volte di farlo frustare, di man in mano che sciorina le sue insolenze. E chissà quante volte in passato lo ha fatto frustare per davvero. Il Matto sapeva che faceva parte del suo personaggio.

Nella questione vignette francesi, ci ho letto tante suggestioni simili. È sbagliato a mio parere continuare a dire che non volevano offendere. La vignetta voleva offendere, eccome. Mi sbaglierò, ma voleva offendere "anche" i morti, e non solo la "mafia". Li volevano offendere come persone che non hanno avuto la forza di opporsi in qualche modo alla mafia (come se fosse cosa facile...).

Soprattutto questi creatori di satira estrema, cercano il pugno nello stomaco, buttano più sale che possono sulla ferita. Che la gente si offenda, s'incazzi e li consideri individui meschini, fa parte della logica di tutto il meccanismo.

Ci ricordano, ricorrendo persino ai mezzi più odiosi, che nella vita, oltre alle visioni idilliache e ideali, esiste anche la merda, intesa sia come entità fisica, sia come retrobottega lurido di certe dimensioni dell'esistere.

Bisogna vedere poi se simili interventi satirici sono mirati davvero a suscitare un'indignazione "costruttiva", o se talvolta non sprofondino nel baratro dell'offesa pura (nel qual caso non hanno ragione di esistere).

Guardando alla fattispecie, l'idea che mi sono fatto è che con la prima vignetta abbiano pestato un discreto merdone. Non perché magari non fossero presenti feroci inviti alla riflessione, ma perché questi erano così affondati nella porzione offensiva, da risultare difficilmente leggibili. Infatti, lo ha mezzo dimostrato il codone di paglia che si son sentiti subito dopo attaccato dietro, e che li ha spinti a dover fare una seconda vignetta per spiegare la prima.

Che alla fine si guardi ai vignettisti come a persone un po' spregevoli, fa parte del rischio che loro stessi decidono di correre praticando questa impervia strada espressiva. Non vuole suonare come un giudizio, questa mia frase (anche se sembrerebbe). Più che altro, vuole essere una constatazione. A questo mondo serve anche chi maneggia la merda. Niente di più facile però che ne esca sporco, caricato di insulti, contro-offese e reazioni irrazionali.

E ciò corrisponde, per i vignettisti, alle frustate che toccavano in sorte ogni tanto al Matto di re Lear.
Poi, da tutta l'operazione, c'è la possibilità che ne sortisca uno shock positivo, oppure soltanto un gran polverone. Ma questo non lo può mai sapere nessuno, prima.


domenica 4 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 160 - "Estetica, bell'etica"

"Un pensiero al giorno"

160 - "Estetica, bell'etica"

"...Ciò che è importante per un pittore non è la realtà, ma la forma degli oggetti, così come ciò che è importante per un romanziere non è la successione degli eventi, ma il loro ordine, e ciò che è importante per lo scrittore di ricordi non è la precisione del passato, ma la sua simmetria...".

("Istanbul" - Orhan Pamuk - 2003)

Questa è la cosa bella dei grandi scrittori: senza che tu glielo abbia chiesto, ti vengono a spiegare la tua vita. Una cosa del genere l'avevo sempre sospettata, ma ci voleva la disarmante linearità di Pamuk per potermela far osservare in tutta la meraviglia del suo incanto.

Noi esseri umani siamo attratti dalle "belle forme", c'è poco da fare. Ed è quasi sempre nel nome di esse che agiamo, facciamo le nostre scelte, esprimiamo giudizi e teniamo in sostanza la rotta del nostro esistere.

Forma, ordine e simmetria non sono gli strumenti esclusivi del pittore, del romanziere e dello scrittore di ricordi. Sono gli attrezzi esistenziali di tutti.
Questo, ripeto, nel bene e nel male.

Sull'attrattiva di una bella forma, ordinata e simmetrica, quasi tutti fondano un proprio più o meno architettato progetto di vita. Salvo poi magari scoprire che gli aspetti compositivi non erano sufficienti, mentre il quadro creato delude e smentisce ogni aspettativa.

Stiamo parlando di armi un po' a doppio taglio, insomma. Stranamente, nel caso della pittura, della narrativa e delle storie di ricordi, queste armi possono condurre a una notevole profondità. Nel caso della vita vissuta, invece, possono farci invischiare in una temibile superficialità.

È importante allora tenere sempre ben chiara la distinzione fra i due piani. Anche se sembra banale dirlo, non lo è nella effettività delle cose.

Succede soprattutto coi ricordi, che molto spesso non sono altro che una sequela di fatti abbastanza slegati.Eppure, il senno di poi della ricostruzione mnemonica ce li fa apparire rivisitati in una struttura coerente, che andrà a formare la nostra identità in itinere, e il nostro proprio "riconoscerci come noi stessi".

In questo senso, ciascuno inganna sempre un po' se stesso (in senso buono e in buona fede), e questo è forse uno dei modi migliori di impiegare la nostra naturale tendenza a interpretare il nostro mondo sulla base prioritaria di valori compositivi (in altre parole, seguendo l'amore per le "belle forme").

Per contro, chi non riesce a delineare il proprio tempo vissuto entro la cornice di un racconto dalla forma coerente, rinnovando quotidianamente questa sapiente pratica, si trova come disperso in una indefinitezza che disorienta, spiazza, obnubila.

Giova insomma al buon vivere, saper essere un po' pittori, un po' romanzieri, un po' scrittori dei ricordi di se stessi. Senza scordare che in questo caso, i colori, la tela, i pennelli, le penne, l'inchiostro e la pagina bianca, siamo sempre, e ancora una volta, noi.


sabato 3 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 159 - "Matemaffettività"

"Un pensiero al giorno"

159 - "Matemaffettività"

I numeri sono davvero così freddi e distaccati? Credo che se consideriamo la matematica come una particolare modalità con cui il nostro sguardo si posa sulla realtà, ne possono uscire piccole scoperte molto "umane". A partire da certe regole molto basilari.

Prendiamo ad esempio quello che si deve fare per sommare delle frazioni. Le frazioni sono numeri imperfetti, per così dire, parziali. Sono quel che si ottiene dopo aver diviso l'unità in determinate parti, e averne raccolte solo alcune.

Il problema, ma anche la cosa bella, è che le frazioni parlano spesso fra di loro lingue diverse. Una frazione che tratta dei trentesimi (es: 1/30) non dialoga molto bene con un'altra che parli invece il linguaggio dei ventiquattresimi (es: 5/24). In altre parole, stante la situazione com'è, non si possono sommare o sottrarre fra loro, per via della incomprensione che le rende estranee a vicenda.

Per poterle far parlare fra loro, occorre che trovino un terreno d'intesa. Devono inventarsi una nuova lingua, creata col contributo di entrambi. In questa nuova lingua, rimarrà sempre il retrogusto della lingua natia di ciascuna frazione, ma con essa si sarà formato un nuovo habitat adatto alla convivenza.

Questo nuovo idioma si chiamerà "massimo comune denominatore" (M.C.D.) e si ottiene facendo il "minimo comune multiplo" (m.c.m.), tra i diversi denominatori delle frazioni da sommare (come tutti sanno). 

Il m.c.m. fra due o più numeri si trova scomponendo tali numeri in fattori primi, poi pigliando i fattori comuni e non comuni, presi una sola volta, col massimo esponente, e moltiplicandoli fra loro.
Riprendiamo le nostre frazioni che non si capivano fra loro, e proviamo a sommarle: 1/30 + 5/24.

Scomponendo 30 in fattori primi, 30=2x3x5.

Scomponendo il 24 invece, 24=2x2x2x3 (2 "alla terza" x 3).

Prendiamo il 2, il 3 e il 5, una volta sola col massimo esponente (il 2 alla terza, cioè 8, e gli altri alla prima) e li moltiplichiamo: 8x3x5=120.

Ecco, le due frazioni che all'inizio non si capivano, hanno scoperto di avere dentro sé un valore intorno al quale possono intendersi: i centoventesimi.

1/30 può dunque presentarsi come 4/120, e 5/24 può assumere i panni di 25/120. La loro somma sarà allora 4/120+25/120=29/120.

Trasponendo il tutto in forma di metafora e adattandolo alle relazioni umane, non pare anche a voi di scorgere qualcosa di veramente bello?

Per avere punti di contatto con gli altri, ciascuno deve sforzarsi di vedere se stesso scomposto in fattori primi, ossia guardarsi dentro e cercare di capire i valori di fondo della propria identità. Poi deve confrontare quali fra le proprie forze, messe in circolo con quelle dell'altro, possono andare a creare i termini di una nuova armonia. La moltiplicazione finale sfocerà nell'esito di un nuovo territorio comune della sintonia reciproca. E i due (o più) che all'inizio non si comprendevano, ora possono fare operazioni insieme, parlare su frequenze condivise, approdare a un risultato che fonde le loro identità originarie.


venerdì 2 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 158 - "Un jumbo in giardino"

"Un pensiero al giorno"

158 - "Un jumbo in giardino"

Ieri, mi è atterrato un jumbo jet in giardino. Era un jumbo sovrappeso, con un po' di baffetti sul muso e i reattori rauchi. Senza pensarci troppo, sono salito a bordo. Quando si è chiuso il portellone, mi sono accorto che in tutto l'aereo c'era soltanto il pilota. Era un gorilla, con regolamentare divisa. E berretto. Non sapendo cosa fare, gli ho detto la prima cosa che m'è venuta in mente: "...Presto, portami a New York, vado a sposarmi con Michael Stipe, il cantante dei REM...".

Lui, molto professionale, si è messo ad armeggiare con la cloche e ha decollato. Ho visto che passavamo sopra le Baleari e mi sono rassicurato: "...Ha capito!!!...bene...".

Dopo il tempo che ci è voluto, siamo atterrati a New York. Prima di scendere, ho abbracciato il pilota: "...Grazie, hai guidato benissimo...". "...Woof..." mi ha risposto.

Ho preso un taxi con la carrozzeria di cartone e i finestrini in Domopak. Mi ha portato in Garibaldi Square, angolo Mazzini avenue. Michael Stipe mi aspettava sulla porta della sua villetta in stile vittoriano.

Siamo corsi in comune, dove l'assessore al verde pubblico ci ha sposati (il sindaco era impegnato in Nino Bixio Street, a inaugurare un'enoteca municipale). Un minuto dopo, passando all'ufficio a fianco, c'era l'assessore alla nettezza urbana che ci ha divorziati subito.

Per festeggiare, siamo rincasati sempre con lo stesso taxi di cartone (solo che adesso aveva legati dietro grossi batuffoli di ovatta e sputava bolle di sapone dalla marmitta), mentre Stipe canticchiava "Night swimming" dei REM.

Ho salutato Michael sulla scalinata di casa sua. Ci siamo detti di rivederci presto per "sposorziarci" di nuovo, che è stato bello.

Mi sono incamminato per un vialetto che costeggia Camillo Benso conte di Cavour park. Bellissimi esemplari di tigli formavano come un lungo tunnel vegetale, e sotto passeggiavano ragazze, signore, donne giovani e più mature. C'erano solo femmine a parte me, che ero io. Ho fatto cinquantasette passi e mi sono innamorato sessantatré volte.

In fondo al viale, seduto su una panchina, vedo il gorilla pilota, in borghese. Stava sfogliando il New York Times. Mi sorride e mi fa: "...Dura la vita, eh?...". E io: "...Ma allora sai parlare?!?!?...".
"...Sì, ma mai quando sono in servizio...".
"...Ah...capito. Io mi faccio un altro giretto sotto i tigli. Buona lettura...".
"...Woof...".

Al quarto andirivieni lungo la strada alberata e "onni-gineceizzata", mi ero già innamorato duecentoquarantadue volte. Per una giornata mi sembrava abbastanza.

Ho telefonato a Michael Stipe, se per caso gli avanzava un posto per la notte, in una delle camere degli ospiti.

Michael mi dice: "...Ho già un sacco di gente, ma se ti accontenti di stringerti un po' nel lettino con Sharon Stone, puoi rimanere...".

"...Grazie Mikie, vedrò di fare uno sforzo per stanotte...ma non è che la Sharon russa?...".

"...Non saprei...so per certo che si sveglia sempre con l'alito profumato di gelsomino...dovrai correre il rischio...".

E mentre pensavo che il rischio lo avrei corso, ecco passare a proposito il caro taxi di cartone, pronto per condurmi verso la inusitata insidia di potenziali fusa floreali hollywoodiane.



giovedì 1 settembre 2016

"Un pensiero al giorno" 157 - "Est modus in sgrattus"

"Un pensiero al giorno"

157 - "Est modus in sgrattus"

Si può imparare qualcosa da ogni gesto spicciolo quotidiano. Anche dall'atto di grattugiare il formaggio.

Un tempo mi pesava, questa piccola incombenza domestica. Mi concentravo troppo sulla forza necessaria, la investivo tutta nella rapidità, per fare in modo che l'insieme del lavorio durasse il meno possibile.

Stringevo forte la grattugia con la sinistra, il grosso pezzo di formaggio nella destra, e davo energiche sfregate contro la scabrosa superficie dai denti bucherellati, calcando bene per far scendere più velocemente possibile l'aromatica nevicata.

In questo modo, trattavo il tutto come un impiccio da sbrigare, col risultato di stancarmi quasi subito in pochi minuti.

Pian piano ho imparato che, sforzandosi di vederci invece qualche aspetto piacevole, cambia tutto il modo di considerare il compito.

Lo scorrimento può essere fatto più leggermente, apprezzando come variano i diversi tipi di attrito sotto la pressione della mano. L'energia è meglio dosarla lungo il tempo, senza fretta di accumulare alla svelta il monticello di spessa polverina bianca.

Nel frattempo, si può anche osservare come questa cada dolcemente di sotto, a ogni rinnovato tocco del nostro ritmico armeggiare. Se il pezzo di formaggio è un po' friabile, ogni tanto si staccheranno dei pezzetti più grossi, non adatti a figurare come grattugiati, e che quindi vanno fatti onestamente sparire, sbocconcellandoseli via, con conseguente sosta di riposo.

Approfittando della pausa, mentre il buon sapore familiare impregna le papille, ci si può annusare la mano che ha tenuto il pezzo e si è cosparsa di quel gradevole impuzzimento untuoso, così caro a chi apprezza il formaggio.

Poi si riprende, sempre con ritmo e dosaggio di forze e tempi. E si può andare avanti senza tanta fatica, sino al raggiunto quantitativo necessario di esito "grattoriale".

Insomma, da impegno noioso e poco gradito, da spicciare alla bell'e meglio sfuggendone via, è divenuto un momento notevole di "consapevolezza e presenza". Senza voler esagerare, è un po' come suonare uno strumento musicale, dal quale, oltre a un delicato tappetino di note grattate (quel sottofondo di simpatici "grunz, grunz" di sfregamento), si traggono fuori anche melodie olfattive e promesse gustative a venire.

Morale della favola formaggera: più si interroga la realtà, più questa ci risponde che mente e azione, quando procedono in armonia, si esaltano a vicenda.