mercoledì 21 dicembre 2016

"Un pensiero ogni qualche giorno" 14 - "Krypto note"

"Un pensiero ogni qualche giorno"

14 - "Krypto note"

Varcammo a braccetto la soglia
di Sessylvanya row.
Impazzavano le mode
ma noi indossavamo sempre
le stesse mutande di tweed.

Dai picchi del puro stupore
pencolavano a fronda
liane illimitate di tela di ragno
polverosa nel disilluso mormorio
di una brezza spirante
odori sulla cute nuda.

Sbocciavano i fior di pelle,
teorie di Bruni e Brune
scatenarono l'imbrunire,
mentre su impervie cime
innovate s'inerpicava
il modernista Alfonso Pino
detto Al.

Camminando barefoot in inglese,
si usa il piede
ma se vai scalzo in italiano
non ci metti foot.
La prassi non è acqua
disse il duro sesso al sasso.

Le parole sono più eccitanti
se le vestiamo di echi posteriori
invece d'infagottarle
in loro significazioni preventivate
per le quali non si ha di che stupire
nel pagamento della stoffa.

Hai più pensato a quel progetto
di importare la...
...PIADINA TIBETANA?

Quando il sole si riaffaccerà
di nuovo nel cielo per tornare
a baciare alla francese
i nostri culi caldi,
ricordami di ricordarti
di dimenticare che ci eravamo
scordati di tutto.

Come serpenti sotto i raggi
faremo la muta, desquamando
fra le erbe, mute parole
di una loquacità perduta.
Le labbra di attesteranno
sul limitar di dire.
Non è forse meraviglia pura
che squarcia il cielo
non capirsi affatto
nel parlarsi sotto un melo?
E sentire la potenza
dell'ultra-senso
invadere il petto,
montante torrida e languida
dalle profondità di un bacio
scoccato a fior di mai detto.

Questo è un lavoro per
Super De Man!
Entriamo tutti in cabina
a infilar le braghette
sopra i pantaloni,
e con la mantellina svolazzante
solchiamo tramonti e nubi
di un improbabile significante.

"Un pensiero ogni qualche giorno" 13 - "Nutrihegelismi"

"Un pensiero ogni qualche giorno"

13 - "Nutrihegelismi"

Allora, questo discorso me lo ha fatto qualche giorno fa NutriDialettico. Non solo non garantisco della sua scientificità (o di quale rigore filosofico ci stia dietro), ma tanto meno mi sentirei di scommettere sulla sua serietà. NutriDialettico abita nel fosso della sinistra hegeliana nutriale, e se non lo sapete, in quei paraggi sguazzano tipi davvero strambi.

NutriDialettico parte da una constatazione molto semplice: quando l'uomo agisce singolarmente o per piccoli gruppi, lo scopo che si prefigge viene solitamente raggiunto con una considerevole percentuale di ragionevolezza. Quando però aumenta il numero degli individui che si confederano per imbastire un obiettivo di portata più vasta, con beffarda "quasi regolarità" succede di ottenere giusto il risultato opposto rispetto a quello verso il quale ci si era mossi.

La realtà si nutre dei suoi opposti. È nella natura dell'essere, doversi alimentare continuamente del fuoco in cui ardono gli aspetti in contraddizione del reale. L'uomo, con la sua tendenza a "monodimensionare" di continuo, si illude di eludere il succo sostanziale del mondo.

NutriDialettico mi ha anche detto però che mai come in questo periodo storico aveva visto gli uomini cannare in pieno i propri obiettivi, anche quando vengono perseguiti da cerchie ristrette di persone. Al limite, anche da un sacco di persone, ciascuna presa però nella propria singola cella esistenzial-decisionale.

NutriDialettico non ha mai avuto una gran fiducia nel genere umano, e l'ho sentito particolarmente preoccupato, per l'occasione. Dice che questa epocale svolta dell'umanità dalla sua connaturata dimensione tragica, a una simile inedita dimensione comica, in teoria dovrebbe farlo sorridere. Nella pratica degli eventi però, la cosa lo rattrista, perché indossando la sua bella pelliccia hegeliana-eraclitea, non può fare a meno di cogliere sempre in ogni cosa anche il suo opposto.

Infatti alla fine, nel salutarmi, mi ha pure detto: "...Va beh, ciao, meglio non pensarci...mi faccio una nuotata nel fosso per rilassarmi...", e si è incamminato con calma verso il piede dell'argine, a controllare se è proprio così come raccontano, che l'erba cresce più lenta d'inverno di quanto faccia in estate.

sabato 10 dicembre 2016

Un pensiero ogni qualche giorno" 12 - "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol"

Un pensiero ogni qualche giorno"

12 - "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol"

Nel dormiveglia mattutino, vengo colto talvolta da enigmatiche frasi. Scaturiscono direttamente dal subconscio, che più di così non si potrebbe. Si impone come prima cosa il loro ritmo, anche se il senso di quelle parole magari non è subito immediato. O forse, anche se un senso vero non lo avranno mai.

Una delle più belle di queste frasi mi è piombata in bocca stamattina. Come sia successo che sono riuscito a decodificarla, poi a tenerla viva in memoria, e dopo ancora ad annotarla, non lo saprei dire. Di fatto, mi sono ritrovato con una stranissima sequenza di parole, che era allo stesso tempo un titolo perfetto: "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol".

A quel punto, avevo il titolo, ma mi mancava la storia. Mi sono ricordato allora di un fatto minimale, di quando ero bambino. A quei tempi, ce la dovevamo vedere col fenomeno dei ragazzini di città, temporaneamente villeggianti in paese. Si trattava di nipotini di vari nonni o zii locali, che in certi periodi dell'anno, o per particolari feste, venivano a passare un po' di tempo in campagna, fra le terre di origine delle rispettive famiglie.

Queste presenze aliene non erano questione da poco, per noi mini campagnoli iper-provinciali. Il senso di inferiorità scattava abbastanza automaticamente. Il ragazzino di città era per definizione molto sveglio e scafato, rispetto ai nostri limiti panoramici rurali. Ne sapeva di sport, di giochi, e della vita in generale, molto più di noi, facendoci sentire spesso dei sempliciotti.

Capitava però a volte un cittadino particolare. Diciamo un po' sotto gli standard urbani tanto temuti. Ed erano quelle le occasioni di piccole rivincite morali. Uno di questi anomali metropolitani fu appunto Pippo lo Stupendo. Ai tempi naturalmente non sapevo ancora che si chiamasse così, ne sono venuto a conoscenza solo stamattina, quando quel titolo onirico mi si è rivelato.

Pippo lo Stupendo era il più ingenuotto e sprovveduto cittadino che ci potesse arrivare fra i piedi. Una vera manna sociopedagogica dal cielo. Leggermente grassotto, portava i classici occhiali da vista a culo di bottiglia; se non ricordo male, con addirittura la misteriosa fascetta di cerotto appiccicata attorno al ponticello che tiene insieme le due lenti. Completavano il ritratto, due dentoni roditoriali perennemente esposti in un sorriso che non brillava certo per intelligenza acuta.

Ricordo che su Pippo lo Stupendo si scaricarono diverse frustrazioni agricole da tempo immagazzinate negli animi di ciascun bambino in paese. Era uno zimbello perfetto, e il fatto che venisse dalla città aggiungeva una preziosità indicibile alla sua caratura di piccolo gonzo.

Ma la vendetta perfetta, si consumò un pomeriggio di domenica, nella sala del cinema locale, che allora rifulgeva ancora dell'azzurrino riverbero emanato dai fotogrammi della premiata ditta Hill & Spencer, o delle incomparabili grida del gran contabile di emozioni avventurose, il molto onorevole Lee ragionier Bruce.

I più fini psicologi avevano da tempo capito che se volevi prendere un piccolo cittadino, non solo in contropiede morale, ma anche per il culo, dovevi punzecchiarlo direttamente sull'orgoglio. Se poi si trattava di aver a che fare con la gonzitudine pura conclamata, il gioco si faceva ancor più raffinato. Facendo credere alla vittima che fosse da gran tipi accettare stupide sfide, si otteneva in un sol tempo il duplice esito di deridere il malcapitato, illudendolo anche di aver compiuto chissà quale impresa eroica.

Non so più come la cosa ebbe inizio, ma qualcuno doveva aver iniziato a insinuare nella zucca facilotta di Pippo lo Stupendo, che non sarebbe stato capace di mettere in bocca più di un certo numero di Big Babol, le famigerate ciccone ipertrofiche, molto apprezzate allora per le loro proprietà "pallonifere" notevoli.

Punto sul vivo, non sospettando nemmeno di striscio l'aria di gran sfottuta che si andava apparecchiando alle sue spalle, Pippo raccolse senza meno il guanto della sfida. 

Ricordo che iniziò ad infornare Big Babol che ancora dovevamo entrare in sala, e a pochi attimi prima dei titoli del film, ne aveva forse già introiettate una decina. E non dava il minimo cenno di voler fermare la fatale voracità.

Credo che lo spettacolo di quell'essere sprovveduto, intento a ruminare siffatto bolo rosaceo mastodontico, sia servita da riscatto morale per tutte le forme di snobismo cittadino subite in ogni epoca da ciascun ragazzino di campagna del mondo.

A un certo punto, Pippo lo Stupendo reggeva fra le ganasce un ammasso tale di cicca, che mi mosse quasi un'ilare compassione. Sudava, biascicava, rimuginava spropositi gommosi, mentre le spesse lenti gli si annebbiavano nel sovrumano sforzo mandibolare.

Alla fine, forse addirittura con rammarico, dal suo gonzo punto di vista, nel dover abbandonare a metà la sfida, espettorò quel gran moloch di conglomerato ciccoso, che rimase poi per tutta la durata del film, a fare bella mostra di sé sul pavimento della sala, kubrickiano monolito di chewing gum, a perenne monito di tutti i potenziali irrisori urbani futuri.

E fu così che si compì la vicenda di "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol".

Un pensiero ogni qualche giorno" 11 - "La parola è: fragile"

Un pensiero ogni qualche giorno"

11 - "La parola è: fragile"

Fragile la foglia
accartocciata,
secca, dentro al pugno.
Costringe la mano
a fare i conti
poi
con lembi attaccaticci
di vegetalità frantumata.
Come brandelli
di foglia,
stritolato, il debole,
dall'angheria,
rimane incollato
al palmo
della solitudine
prepotente.
L'Epulone esistenziale prosciuga
il mondo per averlo
intero ai suoi piedi.
E non s'avvede
del deserto
tutto intorno
che ne nasce.
Beata l'epoca
rispettosa
di una foglia.
Infelice l'epoca
raggrumata, misera,
in un pugno stretto.

lunedì 5 dicembre 2016

Un pensiero ogni qualche giorno" 10 - "Scrittura, plurale, femminile"

Un pensiero ogni qualche giorno"

10 - "Scrittura, plurale, femminile"

Certi giorni, ho come l'impressione di aver smarrito la grazia narrativa. Non trovo più il mio "genius scribendi", quel guizzo situato a metà fra il fisico e l'incorporeo, nel quale a mio avviso si cela la molla capace di innescare la buona scrittura.

È difficile capire le dinamiche di un simile meccanismo. Per fortuna, viene da aggiungere. Perché diversamente, la scrittura non sarebbe la strepitosa magia che invece in realtà è.

Quello che saprei dire in merito, sono soltanto impressioni molto evanescenti.

Uno scritto riuscito poco bene, mi nasce maschio. Quando invece le parole affiorano naturali, spontanee, senza bisogno di evocarle troppo, talmente tanto sono "subito lì", quasi già sbocciate per una volontà propria interiore...beh, in quei casi le parole mi escono dalle dita decisamente femmine.

La differenza la noto sia nell'atto dello scrivere, ma anche parecchio nel rileggere. Nel caso di uno scritto venuto male, o così così, mi sento come di fronte a un uomo col quale ho appena avuto un certo dialogo, magari anche interessante, ma che mi ha lasciato dentro un senso monodimensionale, di piattezza.

A riguardare uno scritto venuto bene invece, mi sembra di rimirare una donna di gran fascino, la quale, fra le tante sue caratteristiche belle, reca con sé un'impressione molto appagante di pluralità.

La bella scrittura si sprigiona dal gioco del sedurre e del lasciarsi sedurre dalle parole. Si corteggiano i pensieri, si solleticano le immagini, ci si danno pizzicotti vicendevoli con le metafore, si scambiano baci molto intensi con la forma, il ritmo, la musica delle frasi.

Queste considerazioni sarebbero però parziali, se non precisassi un aspetto importante. Il bello scritto, credo nasca femmina, sia provenendo dalle mani di un uomo, sia da quelle di una donna. Indipendentemente dalla specificazione sessuale che la sorte ha assegnato a ciascuno in termini esistenziali spiccioli, lo scrivere rimane sempre atto di fusione con l'universale femminile.

La scrittura è un lasciarsi accogliere, è tensione verso una completezza. E queste cose si possono rintracciare solamente ponendo se stessi contro uno sfondo femminile del reale, del mondo, dell'essere tutto. La scrittura ci contiene, ci riceve, ci ingloba in sé: solo così può essere buona.

"Un pensiero ogni qualche giorno" 9 - "Rastr an' Strell"

"Un pensiero ogni qualche giorno"

9 - "Rastr an' Strell"

Un giorno, facevo dei lavoretti in giardino. Mi garbava abbastanza farli e così mi sono messo a canticchiare "One" degli U2. 

Sapete, "...have you come here to play Jesus...", e giù così di melodia.

Ho immaginato per un attimo come sarebbe stato ad essere io, invece di me stesso, Bonovox in persona. A parte che non son sicuro che Bonovox rastrelli le foglie in giardino. Ma mettiamo che ogni tanto lo faccia, così, per distendersi un po' e tirarsi fuori dallo stress dello star-system.

Se capita dunque a me di cantare, (para-toto-cutugnamente) con il rastrello in mano, volete che non scappino un paio di gorgheggi anche a Bono? Allora ho pensato che la cosa più forte, in questo caso, sarebbe per i suoi vicini di casa.

Se ne starebbero magari sotto il porticato, a pochi metri dal giardino di Bono, e si gusterebbero un bel concerto unplugged-unrastrelled. Perché immagino che Bono non canterebbe solamente "One". Lui ha tutto in mente il repertorio degli U2, e tempo di riempire due o tre carretti di foglie da portare al cassonetto del verde, ti avrebbe già sciorinato un paio di cd storici della band.

Poi, ho detto Bonovox, perché per caso m'è capitato di cantare "One". Ma lo stesso si può immaginare con Bruce Springsteen, o con Bob Dylan.

Sarebbe il massimo, per il vicino di Bob, magari proprio il giorno che ha dato buca al nobel, sentirlo canticchiare col forbicione, mentre pota la siepe.

Questo dovrebbe succedere, in un mondo in cui le rockstar fanno lavoretti in giardino, e hanno vicini di casa, normalmente, come capita alle persone comuni.

Invece, in questo mondo che non concede tregua agli idoli della canzone, assediati e assillati dai fans per la loro notorietà, i normali vicini si devono accontentare. Mentre le rockstar fanno soldi a palate, ma sognano di reggere in mano ogni tanto un semplice rastrello.

"Un pensiero ogni qualche giorno" 8 - "Bumano, troppo bumano"

"Un pensiero ogni qualche giorno"

8 - "Bumano, troppo bumano"

In una remota galassia, molto simile alla Via Lattea, esiste una stella, molto simile al sole, attorno alla quale orbita un pianeta, molto simile alla Terra, popolato da esseri molto simili all'uomo. La differenza sta nel chiamarsi quella galassia Vialatta, la stella Bole, e il pianeta Zerra, habitat naturale dell'essere Bumano, anche detto Buomo.

Per un complesso meccanismo rotatorio della Zerra intorno al Bole, anziché a partire dalla trama del ritmo circadiano, su quel pianeta la vita si è sviluppata sulle cadenze del ritmo circannuale. Il Buomo e la Zonna, sulla Zerra, abitano il tempo di un anno intero, distribuendo lungo di esso le medesime attività che sulla Terra occupano una sola giornata.

Il Buomo dorme grosso modo quattro mesi di fila. Va a coricarsi sul finire di ottobre e si sveglia ai primi di marzo. Se nel sonno si accorge di dover fare pipì, magari verso la metà di gennaio, si alza e la va a fare, ma ciò lo impegna come minimo sei o sette ore (e ne può fare litri).

Il Buomo e la Zonna sognano praticamente tutto il periodo di febbraio. Fanno sogni lunghissimi, esaltanti ed estenuanti insieme. Questa attività onirica molto intensa procura al Buomo una ricarica emotiva spropositata, e asciuga totalmente il suo fisico.

Il Buomo e la Zonna si risvegliano infatti il 2 o il 6 di marzo, coi corpi depurati in veri e propri fasci di nervi, asciutti e muscolosi, disegnati a cesello in ogni fibra.

Contemplandosi a vicenda, in questa sbalorditiva forma, appena desti, il Buomo e la Zonna provano l'uno per l'altra un'attrazione irresistibile. E nonostante quattro mesi di sonno nell'alito, non possono fare a meno di tuffarsi a capofitto in una sessione erotica che li impegna dalle due alle tre settimane ininterrotte.

Bisogna infatti sapere che sulla Zerra, proporzionalmente alla tempistica relativa generale, l'acme del piacere sessuale può durare varie ore.

I Buominini (piccoli di Buomo) fanno sempre i capricci per alzarsi da letto, come tutti i cuccioli dell'universo. A volte mamma e papà riescono a farli schiodare dalle lenzuola che già aprile ha fatto buona parte del suo corso. Per non parlare poi dei giovanotti e delle signorine, che magari sono stati in discoteca fino a inverno inoltrato, e hanno fatto i giorni piccoli, rincasando verso Natale o giù di lì.

Quando tutti sono svegli e hanno passato vari giorni in bagno per le abluzioni mattutine, inizia la colazione, generalmente verso fine aprile. Qui gli Buomoni sono capaci di ingurgitare quintali di zabaione o litri di caffelatte, migliaia di cornetti alla crema o panini imburrati, con marmellata, e così via.

Per il loro particolare metabolismo zerrestre, ad ogni pasto riescono infatti ad assimilare l'equivalente di tutte le colazioni di un anno umano. E così capita per il pranzo e per la cena. Gli Buomini pranzano di solito nei primi quindici giorni di giugno, e cenano l'ultima settimana di agosto (a cena, è meglio star leggeri, si sa).

Un Buomo può lavorare poi decine e decine di giorni senza sosta, anche se risale solamente all'epoca moderna la conquista sulla Zerra del diritto sindacale al settembre libero.

Il mese di ottobre è infine dedicato agli "svaghi serali", sulla Zerra detti "autunnali". Buomini e Zonne vanno magari a ballare, lanciandosi in danze che possono andare avanti per giorni (una canzone zerrestre dura in media tre ore). Oppure, molto frequentati sono anche i zinema, dove si proiettano zilm i cui titoli di coda compaiono quattro giorni dopo la sigla iniziale.

Una volta rincasati, Buomini e Zonne (o anche assortimenti diversi di essi), fanno ancora l'amore per qualche giorno, oppure guardano la zelevisione, prima di inoltrarsi di nuovo nei loro lunghi mesi di sonno (pare sia molto in voga fra gli Buomini assopirsi davanti a una trasmissione zv, condotta da Zigi Zarzullo).

Certe volte si accorgono di essersi scordati di portare il cane a fare il suo giretto serale. Allora si alzano, magari il 10 ottobre, e fanno il giro dell'isolato con la bestiola per sei giorni. Ma alla fine arriva il meritato riposo plurimensile. L'importante, per gli Buomini, è non caricare mai la sveglia. Se non vogliono sentirla suonare sette ore, verso il finire di febbraio.

giovedì 1 dicembre 2016

"Un pensiero ogni qualche giorno" 7 - "Auto-elogio della mutanda"

"Un pensiero ogni qualche giorno"

7 - "Auto-elogio della mutanda"

A volte mi capita di domandarmi come mi sentirei se fossi le mie stesse mutande. Il ruolo psicologico e sociale della mutanda è forse uno dei più cruciali immaginabili, e al tempo stesso uno dei più trascurati, sottovalutati.

La mutanda è una barriera fisico-emotiva nei confronti della realtà. Contiene, argina e culla le avanguardie del nostro subconscio. La cortina delle mutande frappone la più sottile pretesa di riservatezza fra il sé profondo e la dimensione pubblica (arginando quella pubica).

La mutanda si sobbarca tutte le preterintenzionalità fisiologiche. A seconda dei casi, nel suo ruolo di diga a ciò con cui rima, o di anti-strapazzo d'un propagarsi mutevole e pazzo, la mutanda segna confini strategici alla persona.

La mutanda si fa carico di responsabilità insostenibili per qualunque essere umano. Per questo non è nemmeno pensabile pretendere di volersi mettere nei suoi panni. Assorbe tensioni estreme, consentendoci di continuare a presentarci impassibili, anche quando entro il suo attillato sipario vanno in scena veri e propri psicodrammi intimi in miniatura.

Bisognerebbe essere dei pazzi (con la "p") o delle anime fatate (con la "f"), per trovare il coraggio di impersonare una mutanda al giorno d'oggi (tra l'altro dissimulando sempre l'iniziale..."p" a far le veci di "c", e dove la "p" andrebbe, confonderci in mezzo una "f").

In virtù di tutti questi strabilianti antefatti, suona inaudito immaginarsi mutanda. Personalmente, riesco a stento a pensarmi come il mio proprio paio di mutande. Solo in questo cortocircuito identitario mi posso immedesimare.

Essere mutanda, e individuo in quella mutanda contenuto. Ispirare odore, nel mentre che si traspira amore. Coprire l'andata e ritorno del pudore in un unico viaggio. Sostegno e sostenuto, recipiente e ricevuto. Principiare in un "io" e declinare in un "anda": pochi portenti al mondo ci possiamo raffigurare di simile portata.

Vedere all'unisono cosa accade fuori di sé e nei pressi più ravvicinati del dentro di sé. Vestire il più patente aspetto di civiltà, ma sentirsi specchiati sul più diretto contatto con l'animalità.

Andare in giro nudi-vestiti, abbigliati-spogliati. Intessere dialoghi di segrete tangibilità, sostenute in ogni caso dal punto di vista interiore. Toccare il tocco stesso: niente meno che tale privilegio viene concesso a chi vive in qualità di propria medesima mutanda, continuando ad essere anche persona.

Facciamoci mutande di noi stessi dunque: nessuna rivoluzione potrà presentarsi mai più radicale di questa.

Diveniamo guaina sguainabile di contro-accoglienza mutevole: a sentirla pelle di calore, inguainato da peli di cotone, una mutanda auto-immedesimante salverà il mondo!
Inauguriamo l'alba di una nuova umanitanda!