mercoledì 31 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 156 - "Il sussurro e l'uragano"

"Un pensiero al giorno"

156 - "Il sussurro e l'uragano"

Del perché le parole sono piume, o mazzi di fiori, oppure macigni. Del perché possono far l'effetto di un bacio o di una bomba. Del perché queste nuvolette di fiato, o piccole macchie d'inchiostro, diventano ingenuità arruffona in mano a chi le usa maldestramente in buona fede, o malvagità pura e cinismo, quando vengono distorte ad arte.

Due modi di trattare la stessa notizia, in due diversi tg. Il fatto, tristissimo e tragico, è questo: una donna (l'ennesima, si è costretti sconsolatamente a dire) viene uccisa con modalità brutali; si sospetta (forse molto più di un sospetto) sia stato un suo stretto congiunto.

Ecco come riferisce l'accaduto un telegiornale della tv pubblica, nel corso di un servizio, durante il quale viene gradualmente preparato l'ascoltatore a questa terribile rivelazione: "...la donna, residente a XY, è stata uccisa con un violento colpo di coltello alla gola...".

Ecco invece con quale incredibile "tatto", il passo nevralgico dell'evento viene spiattellato nei denti, brutalmente "a secco", dall'annunciatore di una rete commerciale, nell'introdurre il relativo servizio: "...parliamo ora della donna sgozzata a XY...".

Ora, sono io il primo a non sopportare i giri di parole, il politicamente corretto forzato ai limiti del ridicolo, e gli eufemismi inopportuni. Non si può pretendere di parlare di "cibo visto dalla prospettiva della sua uscita", quando ci si vuol riferire alla merda.

Ma qui il punto è un altro. Qui stiamo parlando di un essere umano a cui è successa una tragedia, una cosa terribile, la più terribile. La delicatezza deve essere massima. Il rispetto, l'attenzione, la sensibilità, la comprensione, la compassione, la pietà. Ci vuole una cautela esagerata, una saggezza espressiva estrema, e poi non sarà mai abbastanza per affrontare il triste compito di riferire un'enormità del genere.

E tu mi vieni a berciare come un ignorante qualunque che è stata "sgozzata"?!?!?!

Si potrà dire che esagero, che la verità va denunciata nuda e cruda, anche quando fa male, per non passare sotto silenzio l'efferatezza di certi altri esseri umani, e così via. E poi, una parola non cambia certo la realtà...

Sarebbe tutto vero, se simili parole non fossero le spie di un fenomeno molto più ampio e subdolo. La Tv commerciale deve far vendere e per questo scopo si nutre di clamore a tutto spiano. Se per far questo, ci si attarda a ravanare un po' nel morboso e in un repertorio espressivo di forte effetto, con pugni verbali allo stomaco, è poco male, in quella logica. Alla fine devono tornare i conti e chi se ne sbatte dell'umana pietà.

Chi usa parole che verranno lette o ascoltate da migliaia o milioni di persone, è come se avesse fra le mani un potente velivolo che passa sopra le loro teste. Non può permettersi di fare voli radenti a pochi metri dai ciuffi della gente, solo perché così il suo fottuto spot funzionerà meglio. Non dovrebbe mai dimenticare che il rischio di causare molto male a quella folla, anche solo attraverso l'impalpabilità della parola, è sempre altissimo, troppo alto.



martedì 30 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 155 - "Svirgolate"

"Un pensiero al giorno"

155 - "Svirgolate"

Nella redazione del "Eco della Val Furbina", Sgommo Bozzardoni lavorava come ogni notte alla composizione del giornale da far uscire la mattina seguente. Come suo solito, aveva preparato una bella tazza grande di infuso di virgole bollenti, per sorseggiarlo mentre dava l'ultima controllata agli articoli già pronti per andare in stampa.

Visti i troppi pensieri che gli frullavano in testa, non usò la dovuta cautela nel primo assaggio, scottandosi subito la lingua. Per una reazione involontaria, Sgommo versò tutto l'infuso sopra una serie di articoli già confezionati, andandoli a rimpinzare di virgole che non servivano, nei posti più impensati delle frasi.

Si sarebbe potuto ovviare all'incidente, ripulendo di nuovo le colonne dall'eccesso di punteggiatura...se non fosse stato ormai così tardi. Inoltre, nello slancio ustore, Sgommo aveva anche pigiato per sbaglio il pedale di avvio delle rotative. "...Amen..." pensò, osservando le centinaia di copie del giornale che venivano fagocitate nella foga stampatoria della gran macchina inchiostrante.

La mattina dopo, la città di Furbinia venne inondata da questa marea di quotidiani iper-virgolati. Sgommo si era raccomandato coi distributori sui furgoni (che lo dicessero poi anche agli edicolanti e agli strilloni), di sbatacchiare per bene i pacchi e persino le singole copie dei giornali, prima della consegna ai clienti. In questo modo, molte virgole superflue si sarebbero scrollate dagli articoli, salvando il più possibile della loro integrità significante.

Ogni addetto alla vendita si attenne con scrupolo alla precauzione, ma così facendo, una nuvoletta diffusa e insistente di virgole brade si sparpagliò per tutti i quartieri. Non potendosi appigliare più alle frasi stampate, le virgole si appiccicavano alle persone, alle cose, ai fatti.

Le macchine ai semafori, quando scattava il verde, per l'interposizione di una qualche virgola volante, facevano nuove soste, ripetute e inattese, continuando a ingombrare gli incroci ben oltre il tempo dovuto. Il traffico s'intricò a dismisura, e gli automobilisti si inveivano contro a vicenda, mandandosi al diavolo con lunghe frasi contorte e colme di proposizioni incidenti, introdotte naturalmente da altrettante virgole.

Chi venne colto dal "vapore virgolare" mentre si preparava a uscire per recarsi al lavoro, si disperse in una minuzia di sotto-azioni secondarie, senza riuscire mai ad avviarsi verso la propria metà.

Andò molto meglio a quei "sorpresi" dal pulviscolo di virgole che per l'occasione erano ancora a casa in ferie, o magari avevano il permesso di recarsi in ufficio qualche ora più tardi. Ciascuno di loro poté vivacchiare e temporeggiare a iosa, intento in piacevoli attività, rese ancor più gradite dall'effetto riverberante dei neri segnetti punteggianti ribelli.

Fra questi indugianti domestici, il meglio del meglio lo gustarono coloro che avevano pensato bene di far fruttare i graditi scampoli di tempo gratuito rimasto, facendo l'amore con la propria donna o il proprio uomo. Non la finivano mai di scoprire nuovi angoli di appagamento vicendevole e rilanci improvvisi di argomentazioni amorose, grazie alla carica divagatoria delle virgole che avevano impregnato i loro corpi.

Il sindaco di Furbinia, da un bilancio statistico che non fu facile da stilare per la miriade di sotto-voci che continuavano a inserirsi, appurò che gli svantaggi dell'invasione di virgole superavano i vantaggi.
Incaricò allora squadre di "devirgolatori" professionali, di passare al setaccio ogni strada della città, muniti di appositi dizionari del tutto privi di punteggiatura. Questi, per le virgole disperse, sono più irresistibili del nettare per le api. Dopo non pochi passaggi a vocabolari dispiegati, i tomi si impregnarono delle dovute codine di inchiostro e l'emergenza virgolare venne dichiarata estinta.

Si mormora tuttavia che in qualche magazzino comunale, il sindaco (casualmente sorpreso pure lui quella mattina dalla nube di virgole, a letto, in indaffarata compagnia della adorata mogliettina) conservi ancora gelosamente quei dizionari. Questo allo scopo di farne buon uso personale nella reiterazione della bella esperienza virgolerotica, o per l'equipollente beneficio di ogni buon furbinese che ne facesse richiesta (previa compilazione dell'apposito modulo di domanda in carta bollata e ben virgolata).


lunedì 29 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 154 - "Lettore, ladro di ore"

"Un pensiero al giorno"

154 - "Lettore, ladro di ore"

Da appassionato di lettura, ho immaginato spesso tante metafore per questa "sacrale pratica". Una particolare similitudine mi è balzata alla mente, non so come mai, leggendo"Istanbul" di Orhan Pamuk. Ve la racconto in breve.

Ci sono dei libri che a leggerli è come stare a poltrire nel letto, al mattino, rubando ancora una manciata di secondi alla sveglia inesorabile.

Ci si deve alzare, c'è un impegno a cui non si può mancare, non è il giorno buono per stare sotto le coperte tutto il tempo desiderato. Eppure si cerca di barare sul tempo, si immagina l'attimo come infinito, si assapora la finitezza dell'istante come raramente succede, in altre circostanze. Si afferra tutto il senso più vero della preziosità del tempo. Come non mai.

Si sente che in quella porzione minimale di essere, risiede tutta la bellezza possibile. Non si vorrebbe abbandonarla per nulla al mondo. Si farebbero carte false, pur di rendere quegli istanti infiniti. Ma poi bisogna fare i conti col mondo fuori. C'è pure quello (purtroppo!).

Ci si deve alzare, ma fra le righe della nostra lettura rimane quel tepore, di cui avremo nostalgia per tutta la giornata, e al quale potremo per fortuna far ritorno, rincasando.

Nel leggere, è contenuta in qualche modo una nobilissima codardia (senza mai scordare che non mancano nemmeno dosi massicce di coraggio spicciolo). La lettura è l'inno di chi preferisce rimanere folle ancora un po', invece che coerente. Ma solo per quegli attimi di buio caldo e buono, prima di posare di nuovo i piedi sul freddo pavimento, sulla nuda Terra.


domenica 28 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 153 - "007, la spia che mi istruiva"

"Un pensiero al giorno"

153 - "007, la spia che mi istruiva"

Pensieri balzani, nati dalla visione estiva di alcuni episodi di 007: James Bond, il gran "ganassa" che ti surclassa.

Ci avrete fatto caso sicuramente: il birbaccione di turno contro cui Bond si ritrova a battagliare, ha spesso come scopo la distruzione dell'umanità.

Alla fine, non si capisce mai bene la motivazione. Magari è così incasinata, che subito intuiamo che non ce ne deve fregare. Quel che conta è che il cattivone vuol far sparire tutti gli uomini dalla Terra, giusto perché non li può soffrire.

Però, quello che quasi sempre ci è sfuggito, a noi spettatori distratti, era che nel frattempo, sin dagli anni di diffusione delle prime avventure di 007, l'umanità si stava già impegnando alla grande per distruggersi da sola.

Figurarsi, all'epoca c'era addirittura la guerra fredda, con gli arsenali nucleari zeppi come uova, poi la crescente incuria ecologica, guerre in ogni angolo del globo, ignoranza a tutto spiano come se piovesse, senza risparmiare nemmeno una latitudine.

Si sa, i birbaccioni bondiani sono alquanto privi di fantasia, perché se avessero fatto mente locale solo per un attimo su questo dettaglio, avrebbero capito che la vera, geniale mossa, per rompere le balle sul serio all'umanità, sarebbe stata non quella di distruggerla, ma di provare a salvarla.

Ecco allora che compito della SPECTRE, avrebbe dovuto essere agire a favore dell'umanità, andando contro il suo stesso pervicace desiderio di auto-annientamento: questo sì che sarebbe stato il più fastidioso dei dispetti!

Ernst Sapiens Conoscenzio, il cattivone numero uno dell'organizzazione SALINZUK (così si sarebbe chiamata la SPECTRE, tramutata da criminale in pedagogica) sarebbe stato un esimio docente universitario dalla cultura enciclopedica, e avrebbe combattuto in ogni angolo del globo per sconfiggere l'ignoranza, diffondere il sapere, la sensibilità, debellare il preconcetto, sradicare il pregiudizio.

Sarebbe stata la guerra più dura di tutti i tempi (altro che mettere due bombette atomiche per far saltare il pianeta...quello son buoni tutti!).

Considerata l'improbità del compito, anche James Bond si sarebbe schierato dalla parte dell'organizzazione SALINZUK. Gli sarebbero stati forniti incredibili gadget tecnologici da Q, il fedele capo laboratorio dei servizi segreti di Sua Maestà. Orologi da polso che si mutano in vocabolari; la classica Aston Martin che sputa correzioni grammaticali dai tubi di scappamento; corsi di anti-analfabetismo esistenziale solubili in un calice di champagne; e tanti altri mirabili ammennicoli studiati per combattere l'autolesionismo umano.

Sarebbe stato salvo anche il buon nome da playboy di Bond, perché fra tutte le professoresse necessarie all'impresa, non avrebbe avuto difficoltà a farsi onore.

Questa sarebbe stata la trama più logica: la SALINZUK che salva l'umanità. Ma noi invece no, siamo sempre rimasti fissati sull'idea che la SPECTRE dovesse distruggere il mondo.


sabato 27 agosto 2016

Silenzio

Oggi ha diritto di parola soltanto il silenzio...


venerdì 26 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 152 - "Il discobolo che mi ruotò lo sguardo"

"Un pensiero al giorno"

152 - "Il discobolo che mi ruotò lo sguardo"

Durante tutta un'esperienza scolastica da studenti, si incontrano piccoli, ma importantissimi attimi di "illuminazione conoscitiva". Si tratta di concetti importanti per la propria crescita culturale; a volte magari sono contenuti in un dettaglio che ad altri dice poco, ma risulta personalmente fondamentale per cominciare a guardare le cose del mondo da una differente prospettiva, facendoci nel contempo innamorare della materia in questione, o ancor più in generale, dell'atto conoscitivo in sé, della pura sete di sapere.

Per mia fortuna, ho avuto tante di queste illuminazioni, a partire dalle scuole elementari, fino all'università. Quella che forse ricordo con più affetto, mi si disvelò fra le trame della storia dell'arte.
In generale, è un'idea di cui si viene a conoscenza quando si studia il passaggio dall'arte greca arcaica, a quella moderna. Ma la fattispecie che me ne fece innamorare è circostanziata a una singola opera particolare, il discobolo di Mirone di Eleutere (V sec. a.C.).

Il concetto è semplice, ma gravido di tante implicazioni nello stesso tempo. Le sculture arcaiche tendevano a rappresentare la figura umana inquadrata per piani. In parole povere, la statua di un soggetto era declinata fondamentalmente secondo quattro punti di vista: fronte, retro, fianco destro e sinistro. Era come inscatolata in una visione a quattro scatti in successione.

Con l'avvento della statuaria classica, e in particolare col discobolo (per il quale il discorso è particolarmente evidente, ma valido anche per tantissime altre opere coeve), viene introdotta una rivoluzione: la scatola si spezza a partire da una nuova prospettiva centrifuga e centripeta insieme. Non ci sono più punti di vista limitati e in successione, ma lo sguardo si apre a un'infinita possibilità di osservazione da mille prospettive, collegate fra loro senza soluzione di continuità.

Quasi inutile dire che mi esaltai tantissimo per questa "scoperta", e la amai fin da subito come una meraviglia di bellezze. Non era soltanto un passo avanti nella mia progressione culturale, ma conteneva anche la miglior metafora del progresso conoscitivo medesimo: saper osservare le problematiche e i tempi nella loro complessità, tenendo conto dei mille punti di vista possibili. Questo voleva dire appassionarsi al sapere.

Dopo l'illuminazione avuta in dono dal discobolo, ebbi modo di godere di tante altre (ad esempio, la sua versione raffinata in prospettiva moderna da Picasso col cubismo); ma quella mi è sempre rimasta molto cara, per la carica "iniziatica" con la quale mi venne incontro.

Il discobolo mi confermò in un proposito che credo di aver avuto dentro da sempre. Ma ci voleva qualcosa o qualcuno (il mio prof di arte) che me lo tirasse fuori. Io volevo stare dalla parte di chi ama sapere: questo fu l'insegnamento più bello ricevuto da quel caro, vecchio, plastico, blocco di marmo (nella copia romana, perché l'originale era in bronzo).



giovedì 25 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 151 - "Giornalaggio"

"Un pensiero al giorno"

151 - "Giornalaggio"

Quando capita un evento tragico come il terremoto, si provano subito tutti i sentimenti normali in simili casi. Solidarietà con le persone colpite, paura, il senso del lutto, se sfortunatamente ci sono state vittime. È anche lecito il desiderio di avere notizie.

Ma quello di cui si farebbe volentieri a meno, stante l'ampia complessità già sussistente della situazione, è che si vadano ad aggiungere ulteriori guai, altrimenti evitabili con un po' di impegno e di tatto.

Uno di questi danni collaterali è la stupidità giornalistica. Mi è già capitato, anche in questa terribile circostanza, di vedere diverse cose che un minimo di buon senso dovrebbe far rifiutare, anche se dubito che queste mie poche righe, facciano un effetto diverso da una flebile vocina nel deserto.

Insopportabile: il giornalista in studio domanda all'inviato su uno dei luoghi più colpiti: "...hai avuto modo di chiedere qualcosa alle persone uscite dalle macerie? Cosa ti hanno detto?...". Sinceramente spero abbiano maledetto la tua idiozia o poco più.

Altra perla: l'inviata che affannosamente cerca di porsi a favore di telecamera, per l'inquadratura più drammatica possibile lungo una strada di auto e persone, incolonnate lì per scappare o portare aiuto, e intralcia, e rompe i coglioni al flusso, perché non guarda nemmeno dove sta andando.

Apoteosi dell'invadenza e della mancanza di misura: telecamere e microfoni incollati sui soccorritori a pochi metri, mentre scavano tra i detriti e parlano al cellulare alla persona rimasta sotto, con tanto di voce dello sfortunato trasmessa a tutto il mondo.

E questi sono solo pochi esempi, ma basta accendere la tele e si trovano decine e decine di simili esempi di insensibilità e di aberrazioni del normale senso di umanità, che soprattutto in questi casi ci si aspetterebbe veder rispettato.

Informare sui fatti è sacrosanto, ma si perde facilmente di vista tale obiettivo. Situazioni del genere vanno raccontate con estrema delicatezza e precisione, perché il giornalista sul posto o nelle redazioni deve svolgere un servizio, deve essere a suo modo di aiuto alle popolazioni colpite dalla calamità, magari anche raccontando storie di persone, oppure facendo sì che non cali l'interesse dell'opinione pubblica una volta finita l'emergenza, e le genti danneggiate non vengano dimenticate coi loro problemi.

Questo dovrebbe fare il giornalista. Ma la spettacolarizzazione, la ricerca della morbosità, l'amplificazione della disperazione, la drammatizzazione esasperata, il sensazionalismo, e tante altre brutte distorsioni simili, il giornalista, se desse un semplice sguardo al fondo della propria coscienza, dovrebbe già capire benissimo da solo dove deve andare a sbattersele.

Deve dare notizie, non scrivere la sceneggiatura di un film catastrofista hollywoodiano.


mercoledì 24 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 150 - "Istanbul"

"Un pensiero al giorno"

150 - "Istanbul"

Fra i diversi libri iniziati ultimamente (sperando di terminarne almeno qualcuno), c'è anche "Istanbul" di Orhan Pamuk. Del bravissimo scrittore turco ho letto solo altri due romanzi, "Il mio nome è rosso" e "Neve".

Questo terzo suo testo che affronto, al di là della piacevolezza confermata riguardo ai modi narrativi dell'autore, mi ha fatto pensare a una sorta di cartina di tornasole, adottabile nel valutare l'affetto nutrito verso questo o quell'altro scrittore.

"Istanbul" non è un romanzo. Lo si potrebbe definire una autobiografia intima. Nel senso che, nel corso della narrazione, Pamuk cerca di illustrarci come si è formata la sua personalità di uomo e di scrittore. D'accordo, un po' tutte le autobiografie fanno questa cosa. Ma in "Istanbul" l'operazione è particolarmente delicata e minuziosa. 

Pamuk si preoccupa di darci certi dettagli minimali, all'apparenza insignificanti, ma in realtà fondamentali. Ci racconta proprio il suo "provenire da un indistinto", ossia quel vago e sconfinato sentire che, con tutti i suoi paradossi, le contraddizioni e le illogicità, accompagna l'infanzia di ciascuno.

A quel punto (anche se sono ancora alle prime pagine) succedono due cose che sanno regalare non poca meraviglia. Primo, ci si accorge che, anche se non si sta leggendo un'opera di finzione dell'autore, le atmosfere assaporate nei romanzi sono già tutte lì, e lo stato d'animo narrativo generale ci è perfettamente familiare. Ci pare quasi di tornare in una casa visitata in passato, della quale conosciamo le stanze, il clima dei suoi ambienti, persino gli odori che si annusano lì dentro.

Secondo, desideriamo davvero ascoltare tutto sulla storia di quella casa. Chi vi risiede (lo scrittore medesimo), non solo lo sentiamo come un amico molto caro, ma ci sembra quasi un alter-ego personale, un secondo "me stesso", di cui ci preme sapere tutto il possibile.

I suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi punti di vista sul mondo, divengono anche i nostri, in qualche modo. E il cammino affascinante verso il mistero della sua personalità, si confonde, si accavalla, si incrocia con un addentrarci dentro noi stessi.

Per sapere dunque se si prova davvero un affetto speciale per un autore, lo dobbiamo sentire come un amico dal quale ascolteremmo raccontare qualsiasi cosa di sé, del mondo e della vita. Perché sappiamo già in partenza che così facendo, impareremo certamente qualcosa di noi.


martedì 23 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 149 - "Antieroismi banali"

"Un pensiero al giorno"

149 - "Antieroismi banali"

Ormai non credevo più che una canzone sarebbe riuscita ancora a farmi un effetto simile. Ne ho carpito due frasi alla tele, e mi ha subito detto qualcosa. L'ho ricercata sul web, si trattava di "Hero", un brano dei "Family of the year", del 2012. Illustri sconosciuti per me, fino a quel momento.

E se fosse per questo, nulla di particolare. Senonché, quando mi sono messo ad ascoltarla con le cuffiette, non sono riuscito a smettere di risentirla per tre ore di fila. Più o meno una sessantina di volte, forse più.

Com'è possibile, mi domando. Capisco io stesso che non sia nulla di eccezionale. La melodia rimanda a certe sonorità pop standard sentite in migliaia di altre canzoni.

Eppure il filo delle cuffiette mi sembrava, in quei momenti di ascolto e riascolto, un cordone ombelicale dal quale non volevo mai staccarmi. Ancora una e poi basta...ancora una e poi basta...ma non bastava mai.

La finestra era aperta sul buio luminoso della notte, una brezza salvifica mi spazzava via di dosso il peso di tutta l'afa estiva, e in quelle note mi sentivo completo. Un essere senza spazio e senza tempo. O meglio: con tutti gli spazi e tutti i tempi che sono stato, condensati in un unico momento non oltrepassabile.

Mi rendevo conto che non ho mai smesso di essere il bambino svagato di una volta, e nemmeno il frastornato ragazzino brufoloso che fui. Sono ancora tutti e due ben alloggiati dentro me. Si sono soltanto fatti da parte un po', ma rimangono lì, vivaci e lievi come un tempo.

Una sorta di commozione grandiosa mi ha colto e nel sapor lacrimale di ritorno per i sentieri nasali, ho sentito tutto il peso che svaporava delle centinaia di boccate di merda ingoiate a forza, insieme a tutte le delusioni, le frustrazioni, le disillusioni degli ultimi tempi. Come galleggiando in un liquido amniotico di note, mi tornavano alla mente e all'animo un'infinità di momenti. Belli, tristi, esaltanti, commoventi, deprimenti, gioiosi, di calma, di agitazione. C'era di tutto, e tutto in un soffio.

C'erano soprattutto le persone che mi sono state care e che magari non potrò più rivedere, ma so di portarle nel cuore per sempre. Uno struggimento di nostalgie gioiose. Quasi uno strazio dolcissimo.
E poi la notte nera mi è entrata tutta nei polmoni, umida e vasta come una foresta di fragilità umane. E quando alla fine ho deciso che sarebbe stato l'ultimo ascolto (forse il 63esimo o 64esimo), l'esperienza si è chiusa con un duplice pensiero, ad un tempo complicato e banale.

Mi sono infatti detto che erano stati momenti di vera e propria estasi, forse come pochi mai provati prima. Mentre un'altra vocina impertinente in sottofondo mi ricordava d'altra parte che si trattava solo di una semplice canzonetta.


lunedì 22 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 148 - "Pinhorror"

"Un pensiero al giorno"

148 - "Pinhorror"

Solo alcune piccole considerazioni su "Pinocchio", con riferimento al testo originale di Carlo Lorenzini detto Collodi. Chi, pensando alla favola del burattino di legno, corre con la mente all'ovattatura in stile disneyano, se la scordi pure.

Nel puro mondo di Collodi, capita ogni sorta di fatto truce. Per dire: il Grillo Parlante, che siamo abituati a immaginare come un elegante figurino verde in frac, cilindro e pince-nez, viene quasi subito spiaccicato contro il muro da Pinocchio. Con una martellata!!! Lo fa proprio secco, e non so se mi spiego.

Nella colluttazione col Gatto e la Volpe, travestiti da assassini che vogliono rubargli gli zecchini d'oro, Pinocchio dà un morso a uno dei due figuri mascherati, ritrovandosi a sorpresa in bocca uno zampetto di gatto staccato di netto!!! (quando si era aspettato fosse invece una mano...azz...).

In seguito, sempre coi due alle calcagna e scappando per chilometri, arriva a una casetta, alla cui porta bussa disperatamente. Dalla finestra, una bambina morta gli risponde che sta aspettando la sua bara!!! Poi le imposte si richiudono, il Gatto e la Volpe acciuffano Pinocchio e, per fargli sputare gli zecchini che teneva in bocca, lo impiccano a un albero!!! Minchia e straminchia!!!

Non paghi, dato che Pinocchio non cedeva e non sputava i denari (cito testualmente): "...si posero là, seduti sull'erba, aspettando che il burattino facesse l'ultimo sgambetto [...] ma il burattino dopo tre ore [...] sgambettava più che mai..."...!!!!!!!

Ora, sarebbe facile fare dell'ironia rispetto a un simile racconto. Questa tutto sembra fuorché una storia per bambini. Che riflessioni ci può suggerire?

Primo, ci parla di quanto sia cambiata la sensibilità nel giro di circa un secolo (Pinocchio è del 1883). In tutte le altre versioni di Pinocchio (di cui cinema e tv si sono impossessati a piene mani), non avevo mai sentito riferimenti a simili crudi dettagli.

Tutto ciò mi fa osservare un po' stranito una simile "edulcorazione", che a questo punto non so più bene se definire legittima difesa, o tradimento del testo.

Davvero, la storia originale non la farei mai leggere a un bambino. Piuttosto "Phenomena" di Dario Argento o "Profondo rosso", ma mai Pinocchio.

Si può dunque dire che Pinocchio era scritto soprattutto per gli adulti? O bisogna tristemente ricordare che nel periodo storico coevo al testo, l'infanzia viveva in condizioni talvolta tremende, e dunque si tratterebbe soltanto di uno specchio figurato della realtà?

Di fatto, sono sufficienti queste poche contraddittorie considerazioni per non stupirci di come nei decenni questa sia divenuta una grande storia popolare, che va a toccare archetipi dell'animo molto profondi.

Credo dunque di poter concludere che Collodi non scriveva né per i piccoli, né per i grandi. Scriveva per la grande e misteriosa arte dello scrivere. La quale non risponde a nessun'altra legge, se non al senso di stupore e talvolta paura e smarrimento, suscitati dal mondo e dalla vita.



domenica 21 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 147 - "Corpus Iuris Nutrianeum"

"Un pensiero al giorno"

147 - "Corpus Iuris Nutrianeum"

Art. 1 - Guarda con compassione a tutti gli esseri, animati e inanimati.

Art. 2 - Sforzati sempre di metterti nei panni degli altri.

Art. 3 - Coltiva il dubbio come faro nel cammino della vita.

Art. 4 - Credi nella gentilezza.

Art. 5 - Impara a piegare i piaceri a tuo vantaggio, in modo da non divenire loro schiavo.

Art. 6 - Non sottovalutare l'importanza fondamentale dell'ozio, assunto nelle giuste dosi.

Art. 7 - Osserva la vita con occhio filosofico.

Art. 8 - Ricorda che nel fatto di essere nato in un certo punto della Terra, in un determinato tempo storico, non è contenuto nessun merito tuo.

Art. 9 - Cerca di vedere l'aspetto ironico e paradossale dei fatti del mondo: molto spesso lì si cela la verità.

Art. 9 bis - La verità è costantemente un lavoro in corso.

Art. 10 - Ascolta sempre.

Art. 11 - Rivolgi ogni tua azione, impegno, pensiero e intenzione in direzione della bellezza.

Art. 12 - Innamorati almeno dieci volte al giorno (anche della stessa persona o della stessa idea, per anni di fila).

Art. 13 - Compi o pensa ogni tanto una piccola follia, purché non vada a danno personale, né degli altri: il tuo equilibrio ne avrà giovamento.

Art. 14 - Lavati le mani di frequente (e anche il resto).

Art. 15 - Ricorda che mettere in pratica tutti i presenti precetti è spesso cosa molto ardua. Nondimeno, ci si deve provare.

sabato 20 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 146 - "Pensierini nutrienti"

"Un pensiero al giorno"

146 - "Pensierini nutrienti"

Nella classe di nutriette di terza elementare, oggi è un giorno emozionante. La maestra Nutriveffa ha dato da fare un tema. Titolo: "La mia strada racconta...".

Nutrifolino, allievo un po' vivace della classe, ha presentato questo svolgimento:

<<...Lungo il nostro fosso di famiglia c'è la strada provinciale. Mio zio NutriSchietto mi ha spiegato che si chiama così perché ci passano sopra degli stronzi provinciali. Ci sono anche gli stronzi nazionali, gli auto-stronzi e i superstronzi, ma quelli viaggiano su altre strade, mi ha detto sempre lo zio. Ma già lo avevo mezzo immaginato anche da solo.

Basta infatti stare lì lungo il ciglio, osservare con un po' di pazienza, e subito si vedranno passare tanti coglioni (forse lo zio ha detto "ciglioni", perché li vedi dal ciglio...ma non ricordo bene) che guidano reggendo il cellulare in una mano e il volante nell'altra, a volte addirittura fumando nel frattempo; che, sempre senza mollare il telefono, fanno manovre impegnative con trattori e rimorchi giganteschi, camion, tir; che gettano dal finestrino cartacce, buste di plastica, lattine, bottiglie di vetro, bottigliette, involti in cellophane delle sigarette, contenitori in tetrapak. Meno la cosa è biodegradabile, più la buttano in giro.

Sempre lo zio NutriSchietto, mi ha raccontato che fanno così perché sono dei contestatori, ribelli e frettolosi.

Devono correre a casa, a piazzarsi davanti alla tele, a maledire il governo, l'opposizione, a inveire contro la Chiesa, il Papa, gli immigrati, gli stranieri, il sindacato, il patronato, l'abigeato, il bue muschiato...che rovinano l'Italia...che invece loro (gli stronzi provinciali) no, che sono bravi cittadini, e che pagano le tasse...

"...E dove andremo a finire..." dice sempre lo stronzo provinciale, agguerrito tribuno assiso sul suo scranno ante-televisivo, "...se nessuno rispetta più le regole e fa quello che gli pare? Una volta andava molto meglio, c'era meno per tutti, ma la gente si voleva più bene, era più unita...".

Che alla fine, lo stronzo provinciale è un gran sentimentale, e quando gli scatta la gran nostalgia dei bei tempi andati, per sfogarsi deve salire in macchina e girare intorno, gettando rifiuti dal finestrino e parlando al cellulare con tanti altri stronzi provinciali, raccontandosi a vicenda che razza di brutto mondo è diventato, e come si stava meglio quando si stava peggio.

Devo dire che ci sono affezionato, alla mia strada, perché sopra ci puoi veder passare tanti stronzi provinciali. E non mi interessa nemmeno di andare a conoscere quelli nazionali...>>.


venerdì 19 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 145 - "Quando non avevo, già ero"

"Un pensiero al giorno"

145 - "Quando non avevo, già ero"

Quando non avevo Facebook
Quando non sapevo cos'era un blog
Quando non usavo word
Quando non usavo internet 
Quando non conoscevo il pc
Quando non avevo un cellulare
Quando non guidavo l'auto
Quando non avevo la Tv a colori
Quando non avevo cento canali
Quando non avevo la Tv 
Quando non sapevo scrivere
Quando non sapevo parlare
Quando non conoscevo Noia
Gioia
Indifferenza
Letizia o
Mestizia
Quando non pedalavo in bici
Quando non avevo amici
Quando il sole non si era
ancor mai levato
né tantomeno era tramontato
Quando l'aria mai avevo respirato
Quando ancora non avevo bevuto
Quando non ero ancora nato,
la stessa persona che ora sono,
già da sette eoni ero stato 
La stessa forza che mai ho avuto,
già sette leoni mi avevan carpito
Niente venne 
mai principiato 
Ogni principe
da sempre spodestato
Il bimbo, l'adulto, il vecchio
Il germoglio, il fiore, l'occhio
Le ore, lo stupore, l'odore
Il turgore, l'onore, l'amore 
Non hanno inizio
Non hanno fine 
Non hanno un fondo 
Sempre si distillano nel
liquore del nostro mondo
Noi ieri
Noi "adessi"
Noi "sempri"


giovedì 18 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 144 - "Marinità"

"Un pensiero al giorno"

144 - "Marinità"

Anche se non lo faccio più da tantissimo tempo, mi è sempre piaciuto un sacco camminare sul bagnasciuga.

Non sono mai stato un gran tipo da mare. Forse da spiaggia sì, esistenzial-metaforicamente parlando. Ma da mare, no. Stare al sole, lì fermi per accogliere dal cielo la manna bronzea, non fa tanto per me. Per tenermi inchiodato su una sedia sdraio (pur sempre al riparo umbratile dell'ombrellone) ci sono solo due mezzi: o un bel libro, o una vicina di ombrellone calamitante a sufficienza.

Sotto l'ombrellone, con un libro in mano, si crea una sorta di cilindro spaziotemporale. Se la bellezza della storia ti prende molto, ti isoli da tutto il contesto, che non scompare tuttavia, ma diviene un sottofondo piacevole a rinforzo della sensazione di completezza fisica e intellettuale assaporata lungo le righe.

Una delle più belle esperienze che ricordi in tal senso, è la lettura di "1984" di George Orwell. La sedia a sdraio divenne un razzo interplanetario che mi trasportò lontanissimo. La risacca del mare, il più bel rombo di motori. Il vocio in secondo piano, asteroidi e stelle fuggenti che scorrevano fuori dagli oblò del mio velivolo immaginativo. D'altra parte, come non riconoscere la suggestione di una parentela fra l'andirivieni "bustrofedico" dell'occhio sulla pagina e l'eco lontana delle onde?

In alternativa, camminare sul bagnasciuga, da soli, conduce a esiti di "estraniazione integrante" molto simili. Gli altri non scompaiono, ma si sublimano in presenze lievi. Non importa se schiamazzano, scorrazzano, snuotazzano, levano schizzi. Tu passi e sei costantemente oltre. Quei chiassosi fantasmi fanno di volta in volta al massimo simpatia.

Il camminatore da bagnasciuga è un equilibrista fra due mondi. L'umano a sinistra, e il marino a destra (di ritorno alla tua spiaggia, scivolano poi uno di lato all'altro).

Si scorre lungo una tensione. La sabbia semi-indurita dal rifrangersi dell'acqua, offre un continuo invito al piede. La puoi marchiare meglio se accentui lo scarto con le dita, e ogni passo è una gommosità piacevole impressa dall'avanzata.

Il vento c'è quasi sempre, non può mancare. L'orizzonte vasto del blu spianato dà un altro elemento indispensabile alla sensazione di limite in atto. Una coda dell'occhio verso il mare ci parla di un tendere alla potenzialità. La coda opposta, verso riva, sa di concretezza del realizzato. E noi nel mezzo, minimali viaggiatori aperti a ogni possibile, ci gustiamo mille pensieri iodati, col cervello altrove mai così imbevuto di respiri puliti, che dentro ci rinnovano il nostro sé, a ogni nuovo ingresso di fiato in corpo.



mercoledì 17 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 143 - "Yawnhaiku..."

"Un pensiero al giorno"

143 - "Yawnhaiku..."

Oggi le nutrie, un po' fiacchette, stancamente hanno prodotto soltanto alcuni indolenti nutrihaiku del non-agire.

1 - Mi meraviglio
del fiore, il petalo
lento non colgo

2 - Sono più care
le azioni mai fatte,
infuturate

3 - Il desiderio
rumina tanto sogno,
otto praterie

4 - Non ero bravo
a condividere i
momenti belli

5 - L'ape ronza,
impollina di noia
il pomeriggio

6 - Contemplo vuoto
lo specchio che rimanda
un tizio nuovo

7 - Muovere solo
la peluria del braccio,
un soffio sale

8 - L'albero cresce,
il silenzio lo nutre,
chioma del tempo

9 - La notte rode
tintinna il pendolo
la talpa scava

10 - Il medio lento
circoletta il ventre,
attesa d'oltre

11 - S'allitterano
le lingue quando preme
il desiderio

12 - La sconosciuta 
sorride a sorpresa:
mi albicocco

13 - Levo in alto
il calice del nulla,
trabocca dubbi

14 - Leggo sul libro
del vento circonfuso 
parole d'aria

15 - Fluttua il gatto
nella tinozza lieve 
si finge cane



martedì 16 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 142 - "Quer ferragostaccio..."

"Un pensiero al giorno"

142 - "Quer ferragostaccio..."

Ferragosto con C.E.

Con Certificazione Europea, chiederete voi? No: con Carlo Emilio.

Gadda.

Sto leggendo "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana", e non perché lo dico io, ma è davvero un gran libro.

"Quer pasticciaccio..." è...contorto, intricato, intorcinato, barocco, ridondante, ironico, erotico, eronico, irotico, malinconico, beninconico, burocratico, onnicratico, pre-alberto-sordeggiato, rionale, metropolitano, verboso, sontuoso, misterico, esagerato, elegante, liberty, art-nouveau, art-vecchieau, iperboli-kitsch, delicato, indisponente, crepuscolare, albuscolare, mezzogiornolare, pomeriggiolare, aristorozzo, italiettistico, criptico, funambolico, anatomo-palpologo, grandufficioso, granguignolesco sanguinaccioleggiante, patologico sanatoriale, sensualasettico...

"Quer pasticciaccio..."...è come sguazzare in un pantano che ti ammalia tutto il corpo...è come divorare un vocabolario e ruttare fumetti rimescolati...è come correre i cento metri con l'enciclopedia Treccani sulle spalle...è mestizia postcoitale euforico-pre-puberale...è uno scoppiettio di petardi neologistici...è una foresta fronzuta di parole, ghiribizzi linguistici, trilli ornito-grammaticali, fogliame espressivo, liane e rovi semantici...un ortomercato di verze rugiadose, insalate allusive, carciofi sudati, sedani lubrichi, candidi cetrioli, pesche setolose, susine morsicate, angurie leccate...è come udir la contessa petare e la serva Dante declamare...

"Quer pasticciaccio..." è un temporale di immagini, un fortunale allegorico, una gragnuola di lampi, tuoni, squarci di sole, acquazzoni, schiarite, gelate, sereni e meravigliose botte d'afa come questa:
"...Donna Manuela, con un tremolio de zinne che j'abbottaveno tutta la camicetta, liberò merulani sorrisi...".


lunedì 15 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 141 - "L'ultima parola sul Tutto"

"Un pensiero al giorno"

141 - "L'ultima parola sul Tutto"

Un'avvertenza: quella che vi apprestate a leggere è la Teoria Definitiva Riguardo Al Tutto (Te.De.R.A.T.).

Regolatevi dunque di conseguenza, se vi aggrada conoscerla, oppure se volete rimanere col gusto della suspense e della sorpresa, continuando semplicemente a contemplare lo scorrere del mondo tale e quale.

La Te.De.R.A.T. nasce in principio da una riflessione sul tempo. Sappiamo tutti benissimo che il tempo si pone come uno dei più grandi paradossi, per la mente umana. Il passato non è più; il futuro non è ancora; e il presente fa dell'inafferrabilità la sua principale prerogativa.

Ed ecco qui entrare in scena la Te.De.R.A.T. Per sciogliere il nodo gordiano della crono-paradossalità, l'ipotesi più plausibile, secondo i teorici della Te.De.R.A.T., risiede nell'ammettere la coincidenza fra attimo ed eterno. Il momento e l'eternità sono la stessa cosa, essi coincidono.

Considerando dunque un "attimo" (preso piccolo fin che si vuole), "constatiamo" (almeno così assicurano i Te.De.R.A.Ttologi) come in esso stia contenuto tutto il tempo possibile, ossia l'eterno (unica quantità di tempo razionalmente concepibile, per dribblare l'intoppo filosofico del provenire di un qualcosa dal nulla e del suo farvi ritorno).

Questo sistema le cose, anche riguardo alla faccenda della difficoltà nella suddivisione definitiva di un attimo. Quanto possiamo suddividere un attimo? All'infinito. Pur continuando a pensare attimi sempre più piccoli, a oltranza, non ne scoveremo mai uno così piccolo da essere l'ultimo. Ce ne sarà sempre uno oltre, ancor più piccino.

I teorici della Te.De.R.A.T., a questo punto della loro trattazione, sono soliti intercalare il discorso con la seguente buffa domandina retorica: E questo non ti suggerisce nulla, oh Quagliarulo?

Se c'è sempre un attimo più piccolo, questo non ci suggerisce forse che ogni momento ne contiene infiniti, ossia è esso stesso eterno?

Se poi si traspone il ragionamento sul piano spaziale, come non cogliere il parallelismo con quanto accade nell'ambito delle distanze materiali? Continuando a dividere la materia, e andando sempre più nel profondo, non è forse vero che l'uomo non ha fatto altro che scovare particelle via via più ridotte?

E così si chiude il cerchio della Te.De.R.A.T., impianto teorico capace di coprire le paradossalità del Tutto spaziotemporale. Così infatti come nell'attimo è contenuto l'eterno, allo stesso modo nello spazio minimale sta contenuto quello infinito. I miliardi di anni sono dunque tutti dentro il micro-nano-mini-cicci-secondo, come i giga-mega-tera-fantastilioni di chilometri sono tutti concentrati nella particella subatomica minima immaginabile.

La Te.De.R.A.T. risulta essere dunque una teoria molto affascinante, con l'unico inconveniente di non cambiare di una virgola l'andamento delle nostre vite. Non provate nemmeno a sognarvi infatti di andare di filato, al rientro dalle ferie, dal vostro capoufficio o superiore in genere, a spiattellargli in faccia: "... Che me frega a me? L'attimo è eterno, il minuscolo è infinito e la tu' moglie l'è 'na maiala...". I teorici della Te.De.R.A.T. sconsigliano vivamente una simile scelta, perché in quel caso non potranno davvero fornirvi nessun supporto argomentativo a sostegno della terza parte del vostro enunciato.


domenica 14 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 140 - "Biblio-benessere"

"Un pensiero al giorno"

140 - "Biblio-benessere"

Cosa ci si aspetta dalla lettura di un libro? L'interrogativo è sconfinato e piccolino al tempo stesso. Se infatti si parte annoverando la motivazione fondamentale, la più semplice, stranamente ci si accorge di aver già contemplato in essa anche tutte le più complesse possibili.

La motivazione più semplice e insieme onnicomprensiva è questa: un libro, lo si legge perché ci fa stare bene. Come accennavo già, si può vedere che tutte le altre motivazioni vanno a convergere in, e sono foriere di, tale "motivazione miliare". Si legge allora per il piacere di conoscere, per emozionarsi, per migliorarsi come persone, per trascorrere bei momenti, ecc., ecc. Ma tutti questi obiettivi sono presupposti dallo scopo del sentirsi bene (e insieme lo rendono possibile).

In questa prospettiva, il genere di libro scelto risulta quasi un dettaglio. Un romanzo è capace di far stare bene tanto quanto è in grado di farlo un saggio filosofico, un reportage giornalistico, un testo scientifico e così via.

Ciò che fa la differenza è una certa sapienza narrativa dell'autore. Nei casi più felici, essa è indipendente da generi, contenuti e modalità espressive. L'autore che possiede quel certo ineffabile modo di saper arrivare al cuore delle parole, rende il suo testo un veicolo di bellezza.

Tutte queste cose sono indirettamente dette alla perfezione, in un meraviglioso saggio di metodologia storiografica, scritto da uno dei padri della moderna disciplina storica. Sto parlando di "Apologia della storia o mestiere di storico" (1944) di Marc Bloch. Il bello di questo testo sta nel fatto di porsi esso stesso come espressione tangibile di quanto va raccontando in certe sue parti.

Ad esempio, quando mettendo in parallelo il modus operandi di un fresatore e quello di un liutaio, scrive:

"...tutti e due lavorano al millimetro; ma il fresatore usa strumenti meccanici di precisione; il liutaio si orienta, prima di tutto, con la sensibilità dell'orecchio e delle dita...".

Ora, in questa metafora il fresatore sta per "...l'espressione delle realtà del mondo fisico...", mentre il liutaio è "...l'espressione delle realtà del mondo spirituale..." (compito che pertiene in particolare allo storico, e in generale allo scrittore).

A questo punto, Bloch tira le somme del discorso con una fascinosissima domanda retorica:

"...Non sarebbe bene che il fresatore si contentasse dell'empirismo del liutaio, né che il liutaio avesse la pretesa di scimmiottare il fresatore. Si negherà che vi sia un 'tatto' delle parole come ve n'è uno della mano?...".

Tornando dunque al nostro argomento iniziale: i libri che ci fanno stare bene sono quelli che ci sanno toccare col 'tatto' incommensurabile da liutaio, auspicato da Marc Bloch.

Un 'tatto' di cui egli stesso dà prova continua in tanti meravigliosi passi del suo stesso libro, come ad esempio, laddove ci svela la quintessenza del concetto di disciplina storiografica:

"...l'oggetto della storia è, per natura, l'uomo. O meglio: gli uomini. Più che il singolare, favorevole all'astrazione, il plurale, che è il modo grammaticale della relatività, conviene a una scienza del diverso...".

["Apologia della storia", Marc Bloch (Einaudi - pag. 22)]

La storia come "...scienza del diverso...", il plurale come "...modo grammaticale della relatività...". Non sembra, di fronte alla meraviglia di tali espressioni, di stare al fianco di un liutaio che esegue il suo delicato, non quantificabile lavoro, nel momento stesso in cui ce lo racconta anche?



sabato 13 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 139 - "Olimpatologiadi"

"Un pensiero al giorno"

139 - "Olimpatologiadi"

Due riflessioni olimpiche molto terra terra. L'appuntamento sportivo planetario brasiliano ci ha riservato due episodi che non esiterei a definire "malsani" (o almeno così a me sono sembrati).

Un fatto è quello del titolo di giornale riferito alle atlete del tiro con l'arco, stupidamente definite come "trio delle cicciottelle". Siamo tutti d'accordo, la frase è come minimo irrispettosa, al limite dell'offensivo, e semmai la prima riflessione a cui ci spinge, riguarda più l'idiozia di chi l'ha concepita, che non altri tipi di pensieri.

Detto questo però, un naturale proseguimento della vicenda avrebbe dovuto consistere nelle scuse pubbliche da parte dei responsabili del giornale alle tre ragazze. Invece, per chissà quale senso abnorme della riparazione, il direttore del giornale alla fine si è dimesso.

Ora, non so se l'abbia fatto volontariamente, o se obbligato da chi (suoi superiori?) o da che cosa (il clima ostile che si era creato attorno con la sua"genialità"?).

Ma ciò che mi domando è: se un titolo infelice è costato il posto a un giornalista, cosa spetterebbe a coloro che da decenni propinano un tipo di "informazione" intriso di morbosità, spettacolarizzazione, ricerca ossessiva del sensazionalismo, spudorato sfruttamento del pietismo col "quasi esclusivo" scopo di lucro?

Come minimo, questi si dovrebbero immolare in diretta tv (possibilmente in prima serata, e precisando che la trasmissione è offerta da "Stura-strons", il potentissimo igienizzante per il bagno).

L'altro fatto riguarda invece la squalifica del marciatore Alex Schwarzer. Anche qui, non mi permetto di entrare nel merito più di tanto, la verità forse un giorno si saprà o forse mai (come più spesso accade). Però due considerazioni-interrogativi mi sento di pormeli. C'era bisogno di umiliare così una persona, tenendola sul filo della sentenza fino a poche ore dalla sua possibile partecipazione alla gara? Capisco che una simile situazione si sarà verificata come esito della battaglia di ricorsi e contro-ricorsi, ma non era possibile scandire i tempi nel nome di un maggior rispetto della persona?

Altra cosa: adesso che gli abbiamo dato otto anni di squalifica, siamo tutti belli e contenti e puliti, con la nostra linda olimpiade, in cui gareggiano soltanto atleti ispirati dal puro spirito decoubertiniano, e si nutrono solo di nettare e ambrosia, che per fortuna lo abbiamo cacciato quel birbaccione impunito, che era tutto lui a rovinare la festa...?

Cattivo, cattivo, cattivo!!! Pussa via, non sei figlio di Maria!!! Gnè, gnè, gnè, un bell'asino sei te!!! Vai a casa, brutto ba-bau, ci turbi le nostre cicciottelle olimpocrisie predilette, asino in braghette!!!


venerdì 12 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 138 - "E sta a te"

"Un pensiero al giorno"

138 - "E sta a te"

Estate stagione di riverberi eterni.
Nell'attimo densi secoli inermi.
Una fulminea diagonale fra i tempi
ci attraversa, ci sversa fra i venti.
Il sapore di un pomeriggio
apre a dismisura il suo raggio.
In uno, sei cavaliere medievale
impiegato catastale, sceicco,
astronauta, saltimbanco.
Non temere mai che
la parola ti abbandoni.
C'è sempre una frase dentro
da succhiare in silenzio
fra lingua e palato.
Una frase buona
che consola.
Un sapor d'espressione
che fa sentir sé e se.
Un mozzico di sillabe
protezione di fronte a chi
più non ti parla.
Un insalivar di senso
a inumidire il nonsenso
del muro altrui.
E sta a te
abitare il coraggio
della solitudine.
Capire che tutto
si risolve all'interno.
La partita delle moltitudini
giocata nel fragore
di una palpebra calata.
E sta a te accettare
il gusto della tua bocca
come estensione completa di
tutto l'universo che serve e
di tutto l'uniservo che non versa.


giovedì 11 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 137 - "Lingua-Augnil"

"Un pensiero al giorno"

137 - "Lingua-Augnil"

Il linguaggio può diventare un marcatore di dimensioni umane formidabile. Nelle parole riconosciamo la nostra appartenenza a un gruppo, non importa quanto grande o piccolo sia, al limite anche di due persone soltanto, o nel caso estremo anche a quel "gruppo di una sola persona" che per ciascuno si chiama "se stesso".

I popoli si riconoscono nella loro lingua (la quale finisce per rappresentare una sorta di marchio delimitante col suo "colore" i confini territoriali nazionali); le varie specificazioni regionali e dialettali aggiungono ulteriori sfumature al quadro, segnando altre diversificazioni geografico-umane; entro i gruppi più estesi e ufficiali, si formano poi minuscoli gruppetti atomizzati di parlanti ufficiosi (le piccole cerchie di conoscenti rionali, le famiglie, le compagnie di amici, i colleghi, e così via), i quali specializzano ancor di più il linguaggio con modi di dire creati per stratificazione attraverso l'uso delle parole o inventati in occasione di certe esperienze vissute insieme; più in profondità ancora, gli amanti si costruiscono un gergo che fa da mastice alla loro intesa, e infine persino il singolo individuo si serve di un proprio "dialetto mentale" composto di certe parole inedite o espressioni "neologistiche" ricorrenti fra i suoi pensieri e familiari a una certa privata prospettiva da cui si osserva il mondo.

Il linguaggio è insomma un "denotatore" esistenziale che fa da "detonatore" alla multiformità del vivere. La condivisione di parole crea mondi comprensibili fin nell'essenza, solamente dai parlanti nativi, che il succo di quelle parole e modi hanno succhiato molto intensamente. In certi casi, sono stati addirittura complici alla loro creazione, artefici collettivi del loro conio.

Per questo, molto spesso l'operazione del tradurre dà frutti piuttosto insoddisfacenti, parziali e insipidi. Il significante (il segno, il suono, la componente "tangibile" del termine comunicativo) difficilmente si può scollare dal significato. Forma e sostanza sono più che mai fusi da sfumature qualitative del tutto peculiari a una certa esperienza culturale e di vita, per cui difficilmente il passaggio da una lingua all'altra potrà avvenire senza perdite di contenuti qualitativi importanti.

Anche su questo fatto, si giocano tante problematiche, insieme ai molti aspetti affascinanti che pur esso comporta. L'importante è esserne consapevoli. Una lingua crea confini. Questi possono essere occasione di scontro o di aperture foriere di bellezza. Tali confini sono mobili: sta alla saggezza e alla sensibilità riuscire a coglierne e accoglierne plasticamente tutti i potenziali aspetti di "incremento del bello" che sanno riservare.



mercoledì 10 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 136 - "Infinito e oltre"

"Un pensiero al giorno"

136 - "Infinito e oltre"

In qualità di nutria onnivora culturale, a mio modo apprezzo molto la matematica. Ho precisato con "a mio modo", perché sono sempre stato più un matematico ammiratore, che non praticante.

A scuola, mi rendevo conto che il mio talento in materia aveva i suoi ben evidenti limiti, ma non di meno continuavo a gustarmi gli stupori regalati dai numeri.

Una delle meraviglie più belle, ricordo di averla provata quando incontrai la storia della radice quadrata di due. Un vero e proprio scherzetto che ci proviene dal mondo dei numeri. Se ne accorse Pitagora, credo, andando a rovistare nei meandri del suo famoso teorema, o forse uno degli allievi, che lo approfondirono.

Si accorsero che provando ad applicare il teorema al caso particolare della diagonale di un quadrato di lato 1, ne sortiva fuori una stranezza magica. La diagonale di tale quadrato (che è anche ipotenusa dei due triangoli rettangoli isosceli, nei quali il quadrato è dalla medesima suddiviso) risulta, come da definizione, la radice della somma dei quadrati dei cateti, ossia radice di due. Estraendo tale radice, si ottiene un numero con la virgola.

Il problema è che anche continuando a cercare numeri dopo la virgola che diano alla cifra una sua forma definitiva, non si troverà mai l'ultimo. Ce ne sarà sempre uno dopo: la radice di due è un "uno virgola" seguito da infiniti numeri. In altre parole, il lato e la diagonale del quadrato non possono avere una unità di misura comune. Non esiste una porzione di essi contenuta esattamente in entrambi. Detto ancora in altro modo, sono fra loro "incommensurabili".

Pare che questa suprema sorpresa costasse addirittura la vita all'allievo di Pitagora che la scoperse. Il maestro non voleva che fosse divulgata al di fuori della sua scuola e quindi chiuse la bocca per sempre all'allievo.

L'argomento suonava come un'eresia, rispetto alla purezza della presunta precisione infallibile della matematica. Non che la radice di due dimostrasse alcuna fallibilità, ma immetteva in ogni caso un'argomentazione bizzarra, intollerabile agli occhi pitagorici (non si sa poi bene quanto ci sia di leggenda in tutto ciò, ma noi la prendiamo per il fascino della storia, che alla fine è quanto ci interessa).

Tanto, la radice di due non era l'unica stranezza matematica destinata a far clamore. Un botto equivalente venne riservato anche dal rapporto fra circonferenza e diametro del cerchio: com'è noto, il celeberrimo "P greco". Anche qui, se si prova a misurare la circonferenza e il diametro, non si troverà mai un misuratore comune preciso, ma la prima sarà sempre 3,14 volte il secondo, con ancora infiniti numeri dopo la virgola.

Se ci si riflette, è proprio questo andare all'infinito oltre la virgola che affascina un sacco. Ogni nuovo numero trovato, una posizione ulteriore a destra della virgola, sarà sempre più piccolo, eppure non esaurirà mai la ricerca, porterà sempre il traguardo dell'infinitamente piccolo ancora un pelo oltre, e poi ancora, e così via.

L'infinito risulta dunque contenuto nel finito e questo si sposa benissimo con le osservazioni di Zenone, e la sua corsa di Achille con la tartaruga.

Questi non sono i soli scherzetti giocati dagli infiniti. Suona strano parlarne al plurale: di infinito dovrebbe essercene uno solo. E invece ci si rese conto che se si considerano ad esempio gli infiniti numeri dispari, e poi gli infiniti pari, ecco che abbiamo già due gruppi infiniti. Se si torna di nuovo a prendere in esame l'infinito di tutti i numeri, ecco una nuova magia: rispetto a quello dei soli numeri pari (o dispari) esso sarà per forza più grande. Nuova meraviglia dunque: un infinito più grande di un altro. Com'è mai possibile?

So che nel prosieguo della storia dei numeri, il geniale matematico tedesco Georg Cantor (1845-1918) è riuscito a domare anche questi impervi misteri, ma per noi umili ammiratori nutriali delle magie numeriche, la soddisfazione della meraviglia riservata da tali acrobazie del pensiero rimane intatta e tutta da assaporare.


martedì 9 agosto 2016

"Un pensiero al giorno" 135 - "Mutante mutare"

"Un pensiero al giorno"

135 - "Mutante mutare"

Sentirsi giorno dopo giorno sempre la stessa persona, in fondo non è cosa così scontata. Il corpo muta in continuazione, il sangue si rigenera, la pelle si rinnova, i capelli e le pelurie varie si rimpiazzano, i muscoli, i tessuti si rimpolpano. I sentimenti, le emozioni, i pensieri provati una volta, non ritornano mai uguali a se stessi al cento per cento. Mutano il contesto, l'esperienza, la causalità presunta degli accadimenti, i punti di riferimento storici, biografici.

Rimuginavo su simili considerazioni, quando di botto m'è folgorata in mente la parentela di tutto ciò con l'arte moderna. "...Ma tutto questo non è altro che la vicenda dell'arte moderna!..." mi sono detto.
Il desiderio, la necessità, di rompere la dittatura della fissità dell'inquadratura unica e la gabbia della cornice, la quale a sua volta imprigiona la "mono-significatività" della prospettiva.

L'urgenza che si è percepita ad un certo punto di liberarsi dalle imposizioni dell'attimo singolo ritratto, ravvisando in esso un assurdo filosofico.

Rendere conto della compresenza emotiva, della mutevolezza di quanto un tempo era ritenuto singolare, e del fatto che, in fin dei conti, molto di questa compresenza è dovuto a uno "sforzo di fede" conoscitivo umano.

Stanotte, sognando, ero un altro uomo. Ieri, provando mestizia, mentre oggi provo serenità, ero un altro uomo. La mestizia di ieri sarà diversa in qualità rispetto a quella di domani. La gioia di oggi, non si ripresenterà mai identica dopodomani, ma varierà per qualche piccola o grande sfumatura.
Siamo un magma che bolle lentamente sotto la pelle. Ci aggrappiamo a pochi punti fermi, ma al tempo stesso non possiamo non renderci conto del divenire totale spaziotemporale in cui veniamo frullati.

Tutte queste cose ci hanno spiegato Cézanne, Van Gogh, Monet, Picasso, Fontana.

E...forse non c'entra nulla, ma sono contento di questa foto che ho scattato. Ve l'ho già proposta, e questa nuova versione elaborata mi piace ancor di più.

C'è uno straccio appeso a una maniglia, annodato. La luce non si sa bene se entri nella stanza, o da essa esca. Le venature lignee rimandano al substrato naturale del "vitale" che ci scorre dentro. I colori innaturali parlano della capacità di astrazione di cui disponiamo. La stessa che ci aiuta a percepirci individui singoli e continui, nel mare di mutevolezza sopra i cui flutti la barchetta del nostro io viene incessantemente sbatacchiata attimo, dopo attimo, dopo ora, dopo giorno, dopo sempre.