giovedì 31 maggio 2018

Tortoreee!!!




Va beh…delle puzzole posso disporre solo in teoria. Ma in attesa di una eventuale venuta puzzolesca futura, in pratica posso disporre, almeno fotograficamente, delle tortore.

Le donne belle sono per gli uomini privi di fantasia, secondo Proust. E se tanto mi dà tanto, tralascio allora i gran variopinti uccelli tropicali, per preferire come sempre l’eleganza delle nostrane tortorine col loro cappotto grigio e il collarino nero.

È tempo di costruzione di nidi, e basta smuovere qualche pagliuzza in giardino che te le ritrovi a zonzarti quasi sui piedi, a becchettare con saggio discernimento, in cerca dell’architrave giusto, del tassello appropriato, della giuntura adatta a reggere il loro mini rifugio familiare.

Così ne ho colta una che polleggiava con fare distinto. Dall’andatura, Tortorin di Tarascona mi pare di aver arguito si chiamasse. E anche se così non era, a me è sembrata molto graziosa…

mercoledì 30 maggio 2018

PUZZOLE!!!...


Due righe sul mio “…PUZZOLEEE!!!...” di ieri. Era una specie di “urlo di battaglia pacifista” e pacifico, uno sbotto “sconsolatorio”, un moto di imbelle belligeranza della fantasia, un surreale tracimar d'animo per impotenza di fronte al “caotico” che ci affligge ogni giorno di più.
La puzzola non solo è una bestiola simpatica; mi piace molto anche il suo nome, come parola (lo dissi già in altre occasioni). Uscirsene con un “…PUZZOLEEE!!!...” allora, mi è sembrato un gesto simbolico di insensata bellezza (anche solo pensarlo, non serve che si vada a urlarlo per le strade…ma sarebbe bello…).
Non era nemmeno riferito a individui generici o specifici, anche se poteva sembrare.
Era solo “…PUZZOLEEE!!!...”, semplicemente e basta.

martedì 29 maggio 2018

PUZZOLEEE!!!...


PUZZOLEEE!!!...

lunedì 28 maggio 2018

Sana e robusta...

Da tenere sempre sul comodino...


Il goffruto

Nella foto: il goffruto

Il goffruto è un animaletto che si ciba di gnospe.
Vivendo libero in natura, la sua dieta la decise preventivamente in base a scaltre considerazioni.

“...Non voglio che poi mi accusino di devastare i raccolti o di far danno ai frutteti…” aveva pensato per tempo il goffruto: mi metto a mangiare le gnospe e sfido chiunque a venirsi a lamentare.

Anche il nome tuttora usato per lui, il goffruto lo scelse con non poco “grano di sale”. Pensate che il suo consulente onomastico, Reese O’Fred Bruseghín D’Antan (già consigliori di zibellino, furetto e orsetto lavatore), gli aveva suggerito di scegliere un appellativo assai grazioso, tipo Sbirignino o Fuffardello. Ma il nostro eroe no, non era mica nato ieri (per cui oggi, non è nato l'altro ieri): sapeva benissimo che con un nome vezzeggiante avrebbe corso il rischio di diventare una mascotte petalosa, desiderata in tutte le case, dove sarebbe stato spupazzato da bambini sgheffoglianti di ogni età.

“…Mi chiamerò goffruto…” proclamò allora, sfido chiunque ad adottarmi con questo nomaccio.
Il goffruto poi non ha predatori naturali, perch la sua carne è piuttosto sgnoffressa al palato. Non è ricercato per la pelliccia, perché una volta ci avevano provato a trasformalo in cappotto, ma ogni capo di abbigliamento ricavato dalle sue pelli ha la malaugurata proprietà di far puzzare potentemente di sgobbione ogni uomo che lo indossi, e di seffalessa, ogni donna.

D’altra parte, è materialmente impossibile cacciare il goffruto: sulla mini criniera di pelame sgaburgico di cui dispone sul dorso, è cosparsa una speciale polverina erdofronica, capace di far scoppiare in mano i fucili ai cacciatori, mentre sulle zampette ha una potentissima colla di agnofrone, che fa rimbalzare le tagliole, sformandole come fossero di burro siviero.

Per non sentirsi contestare di essere una specie infestante, il goffruto si riproduce seguendo una perfetta pianificazione demografica. È l’unica bestiola del regno animale a disporre di un istituto di statistica, il Goffrustat, che monitora costantemente il numero preciso di goffrutini necessari a mantenere una popolazione equilibrata con le esigenze ambientali.

Il goffruto non teme di attraversare le strade, perché ha un suo meccanismo immunitario detto schivazzòn, in virtù del quale, all’avvicinarsi di un veicolo a meno di venti metri da lui, il suo corpo diviene insensibile agli urti. Per cui gli fanno un baffo persino tir, autotreni, muscle car, boing 747 (uguale a 18), carretti siciliani, portaerei, trolley, passeggini e motobiciclati furgonati con guida all’inglese.

In poche parole, per farla breve, il goffruto si appresta a dominare il mondo in un futuro non molto lontano, mentre noi non ce ne stiamo nemmeno accorgendo.

domenica 27 maggio 2018

Perché amiamo scrivere


Cari amici lettori, ma soprattutto (gialappa’s-bandisticamente) care amiche lettrici: siete amanti anche dello scrivere?

Se anche a voi è cara questa “sorella d'inchiostro” della lettura, vi potrebbe interessare un bel saggio di Duccio Demetrio, “Perché amiamo scrivere – Filosofia e miti di una passione” (Raffaello Cortina Editore).

Leggere è un modo parallelo di esistere. Ma scrivere ne è il naturale complemento. Leggere e scrivere sono due passioni che proseguono l’una nell’altra, la prima confluisce nella seconda, e viceversa. Sono come il maschile e il femminile di un certo modo di accogliere il mondo, e il bello sta nel fatto che qui, la specificazione di genere non è mai fissata una volta per tutte. Talvolta è maschia la scrittura, talaltra è femmineo il leggere, ma i ruoli si scambiano continuamente.

Dal libro di Duccio Demetrio:

“...Scrivere dà forma e consistenza a qualunque cosa, a chi scrive prima di tutto. Conferisce un aspetto, assegna un nome diverso a chi ce l’ha già. Quello antico, a chi l’avesse scordato o perduto; un altro nuovo di zecca, a chi volesse cambiare vita…”.


Le nutrie e la grammatica


Usi corretti della locuzione "piuttosto che".
Un esempio pratico:
"...Piuttosto che comprare qualcosa da Poltrone & Sofà, sto in piedi per sempre...".
Postilla: minchia, che tre coglioni!!!

venerdì 25 maggio 2018

Mara e Bube


Incanti zen da “La ragazza di Bube” – Carlo Cassola (1960):

…[Bube e Mara] Si erano seduti sulla proda. Ai loro piedi, un’ape svolazzava intorno a un cespo di minuscoli fiori azzurri.
<<Lo sai che ho un alveare?>> disse Mara.
<<Sì, ho visto l'arnia vicino al forno.>>
<<Quando sono in giro per i campi e vedo un'ape, mi domando sempre: “Sarà una delle mie?”. Una volta, un'ape, ho cercato di seguirla. Sul serio: le sarò stata dietro un’ora almeno. Ma quando si fu rimpinzata volò via alta e non la vidi più.>>
<<Questa qui non è certo tua.>>
<<Eh, no>> ammise Mara ridendo. <<Non può essere venuta così lontana. Quanto sarà lontano di qui il mio paese?>>
<<Mah. Un trenta chilometri.>>…

FanTalpolitica


L'invasione di talpe nel mio giardino prosegue imperterrita e flagellante. Se dal punto di vista pratico mi difendo un po' “scancherando” e spianando alla bell’e meglio i perniciosi montarozzi, mi capita invece di soccombere miseramente sul piano etico-grammaticale. Un paio di lenti d’intalpimento si frappongono davanti ai miei occhi e comincio a vedere la realtà tutta talpizzata.

La recente situazione talpolitica mi si è così ben confusa in mente. Alle talpazioni di marzo, si erano imposti i penta-talpati e la lega-talp, con talporanza relativa. C'è stata un'eternità di consultalpazioni, con gli altri gruppi talpitici in fermento. Silvio Talpusconi, il padrone di Talpa Italia, ha menato ben la talpa per l’aia, c'è chi dice per la gran strizza riguardo al conflitto di talperessi. Talpeo Renzi ha anche lui il suo daffare, perché fra i DemoTalpi la confusione è grande, fra istanze scissioniste di Massimo T’Alpema e Piertalpigi Bersani, e mille disaccordi interni.

Insomma, nel tira e talpa generale, a forza di andare fuori e dentro dal Talpinale, per ora si sono un po' attalpati Matteo Talpini e Giggino Di Talpaio.
Anche qui, essendo fra loro in sintonia come il Tàlpolo e l'acqua talpa, hanno questionato da matti prima di trovare un possibile Presidente del Talpiglio. Alla fine hanno indicato Giuseppe Talponte. Il presidente Sergio Talparella non è che ha fatto proprio i salti di gioia nella sala delle talpate. Ha detto, va beh, vediamo come si mette, ma scordatevi di uscire dall’unione eurotalpea e fate poco i talpizialisti sovranotalpici della domenica.

Sono sbucate le prime magagne, pare che Talponte abbia un po' taroccato il talpiculum, sostenendo esperienze alla New Talp University mai fatte. Apriti oh talpo!!! Già c'era gran talpicismo generale riguardo certe proposte, tipo la talp-tax, il reddito di talpadinanza, e adesso anche questa…
Poi si è aggiunta baraonda con le voci di un possibile ministero talponomico a Paolo Talpona, notoriamente critico verso la moneta unitalpica e nemico politalpico della Teutalponica Talpela Merkel.

Ora la palla dovrebbe passare a Montetalporio e Palazzo Talpama, dove talporevoli e senatalpi dovranno dire la loro. E dai che si ricomincia: coi franchi talpatori, le votazioni talpesi o talpete, e chi passa al gruppo talpo, e chi chiede la talpiducia…
La gente un po' confusa accende la talpisione, si affida alle talpatone di Enrico Talpana, segue Otto Ettalpo di Lilli Talpuber, il professor Massimo Talpari sempre intalpato nero, il talpemico Marco Talpaglio, le battute di Talpene Gnocchi, Talparò e Talpa pulita, mentre Michele Talporo parla del talporismo degli anni di talpiombo…

Alla fine l’unica talpezza rimane Talpusconi, che si ostina a proclamare intalperrito: Noi si mangia la lasagna, noi ci piace assai la fregna, evviva quella gran talpa della Mara Talpagna!

giovedì 24 maggio 2018

Gentili mate-bellezze


Una piccola sfida: voglio provare a vedere se riesco a raccontarvi una cosa bella di una materia perlopiù ritenuta, a torto, come il regno della freddezza argomentativa: la matematica. Usando solo parole, numeri e un’immagine.

Avete mai sentito parlare delle “diagonali gentili”?

Prima però bisogna sapere che cosa sono il triangolo di Pascal (anche detto di Tartaglia) e la sequenza di Fibonacci.

Il triangolo di Pascal (o di Tartaglia, dal nome dei due studiosi che più se ne occuparono, anche se lo conoscevano già gli antichi matematici cinesi, indiani e persiani) è uno schema di numeri disposti appunto a triangolo.

Nel vertice in alto c’è un 1, che è anche la prima “riga”. Il triangolo si forma poi per aggiunta di righe sotto la prima riga “mono-numerica”. Le regole per formare una nuova riga sono:

a) ogni nuova riga è composta da un numero in più rispetto a quella sopra, e così via, potenzialmente all’infinito;

b) agli estremi va messo sempre il numero 1;

c) i numeri intermedi si ricavano dalla somma di quelli fra loro adiacenti nella riga sopra.

Si può raffigurare sia come triangolo isoscele, sia come triangolo rettangolo (come sotto):

1
1-1
1-2-1
1-3-3-1
1-4-6-4-1
1-5-10-10-5-1
1-6-15-20-15-6-1
1-7-21-35-35-21-7-1
1-8-28-56-70-56-28-8-1
…eccetera, all’infinito…

Il triangolo di Pascal (o Tartaglia) ha una sua eleganza formale. Ad esempio ogni riga è internamente speculare (o simmetrica) per valori crescenti da ogni estremo, e al centro della riga troviamo, alternatamente, un volta un singolo “numero-cima”, una volta due uguali “numeri-altipiano”.

È come se ogni riga del triangolo fosse a sua volta un più piccolo “triangolo di valori” dato dai numeri che “si arrampicano” partendo da sinistra e da destra, finendo una volta con una vetta a punta, e la volta sotto con una vetta smussata.

La sequenza di Fibonacci (da Leonardo Fibonacci) è una serie di numeri, anch’essa infinita. Inizia con 0 e 1, e la regola per scrivere il numero successivo è sommare i due precedenti.
La sequenza di Fibonacci si scrive allora:
0-1-1-2-3-5-8-13-21-34-55-89-144
…eccetera, all’infinito…

Ora, il triangolo di Pascal ha importanti applicazioni in algebra e presenta tante altre curiose simmetrie interne (è “parente”, tanto per dire, di un altro fenomenale “personaggio” connesso al mondo dei frattali, il triangolo di Sierpinski).

Mentre la sequenza di Fibonacci scandisce il ritmo di tanti fenomeni naturali, come ad esempio la distribuzione dei petali in molti tipi di fiori o il numero riproduttivo delle api a ogni nuova generazione di quelle minuscole creature.

Ma la cosa bella è come il triangolo di Pascal e la sequenza di Fibonacci si sposano insieme grazie alle “diagonali gentili”.

Queste sono linee a lieve pendenza (da cui “gentili”), tracciate ad hoc a unire trasversalmente certi valori nel triangolo di Pascal (disegnato come isoscele). Se si sommano poi i valori pescati dalle diagonali gentili, chi non ti andiamo a ritrovare?

Ma certo proprio lei: la sequenza di Fibonacci.

Provare per credere e stupire, osservando l'immagine tratta (insieme alle cose che vi ho raccontato) dal bellissimo libro “Il meraviglioso mondo dei numeri” di Alex Bellos (Einaudi – 15 €), pieno zeppo di simili curiosità e sorprese matematiche.

martedì 22 maggio 2018

Papaveri


Uno degli spettacoli più belli di questa stagione nelle nostre campagne è offerto da un umile fiore spontaneo: il papavero.

La cosa che mi lascia sempre stupefatto, ammirando i papaveri, è che si stagliano sul paesaggio e al tempo stesso ci si mischiano. Sono ben differenziati dal verde che perlopiù fa da sfondo, ma insieme mescolati, fusi con esso. Sembrano piccoli spot sparsi a caso con un evidenziatore, ma non si impongono, bensì si mostrano quasi preoccupati di dare risalto al contorno.

Non so se etimologicamente sia sensato, ma la parola inglese per dire papavero, “poppy”, contiene un'onomatopea molto azzeccata. Sembra proprio che facciano un suono così, quando li ammiri punteggiare un campo di grano ancora acerbo: pop, pop, pop…

In questa loro proprietà esplosiva sono aiutati dal lungo gambo mimetico, che evapora allo sguardo dell’osservatore già a soli pochi metri di distanza, lasciando alle vivide macchie purpuree la libertà di volare radenti al suolo, facendo quasi dimenticare la nozione di gravità terrestre.

Il papavero sa essere singolare e plurale, esprimendosi sempre al meglio. Non sai mai se sia più bello in gruppetti isolati di pochissimi, se non addirittura macchia solitaria, oppure nelle chiassose distese collettive alle quali sa anche unirsi.

A volte un campo istoriato di papaveri appare come una pagina scritta con particolari caratteri, e su quella pagina sembra quasi di leggere queste parole:

“…Gli uomini nascono eguali, ma nascono anche diversi…[…]... L'unicità dell’io non contraddice in alcun modo al principio dell'eguaglianza. La tesi che gli uomini nascono eguali implica che essi tutti condividono le stesse fondamentali qualità umane, che condividono il destino fondamentale degli esseri umani, che hanno tutti lo stesso inalienabile diritto alla libertà e alla felicità. Significa che il loro rapporto è un rapporto di solidarietà, non di dominio-sottomissione. Quel che il concetto di eguaglianza non significa è che tutti gli uomini siano identici…[…]…La libertà positiva implica anche il principio che non esiste un potere superiore a questo io individuale unico, che l’uomo è il centro e lo scopo della sua vita…[…]…Affermare che l’uomo non deve essere soggetto a qualcosa di superiore a lui non significa negare la libertà degli ideali…”.

Parole simili scrivono da secoli sui campi, i papaveri…fino a quando un grande pensatore come Erich Fromm, nel 1941, non venne colto dall’ispirazione di tradurle sulla pagina per gli uomini, nel suo saggio capolavoro “Fuga dalla libertà”.

Io e un po' qui lui


Pare che l’Emilia-Romagna sia sempre stata un posto alquanto attraente. Ora lo scopre anche “Lonely Planet” che ha decretato la regione prima fra le mete “Best in Europe 2018”. Noi qui a Gillipixiland, terra di nutrie e di chimere, lo sapevamo da un po'.

Forse si evinceva già da un modo di dire locale. Dialettalmente, riferendoci a una persona, a volte non diciamo solo “lui” o “lei” (“lö”, “lì”). In qualche modo l’individuo viene invece “georeferenziato” fin da subito, ancorato persino nella fisionomia grammaticale a una terra che più attraente di così non potrebbe essere.


Ecco allora che “lui” o “lei” diventano “qui lui” o “qui lei” (“ché lö” o “ché lì”); oppure, a seconda della più o meno prossimità dell’indicato, “là lui” o “là lei” (“là lö” o “là lì”).

Come sempre coi dialetti però, l'espressione assume sfumature di senso intrasmissibili all’italiano, quasi inafferrabili, al di fuori dello stretto paesaggio semantico della locuzione medesima.

Con tali “pronomi dotati di gps”, nelle forme “qui lui” o “qui lei” (“ché lö” o “ché lì”), non indichi, non citi, non nomini solo una persona, ma in qualche modo crei un senso di complicità fra te e chi ti ascolta, trasformando il terzo indicato quasi in un estraneo alla conversazione, pure nei casi in cui questi è palesemente presente e sente benissimo lo scambio di battute. Dire “qui lui” è insomma come dire: “…ma sì…questo qua…pure lui…”. Anche se, ripeto, la completa accezione non può essere trasbordata appieno nel passaggio all'italiano.

A proposito dunque di attrattive locali e di classifiche turistiche…correvano i proto-boom-bici anni ’50, quando ancora le case si costruivano e non si tassavano soltanto.

Un muratore e un manovale di Gillipixiland erano a lavorare su un cantiere in trasferta, forse nei paraggi della snobistica città, da sempre assai puzz-al-nasuta nei confronti del contado provinciale.

Bisogna sapere che a Gillipixiland le attrattive sono ben poche, quindi alcuni cittadinozzi un po' cinici credevano di farsi gioco dei due muratori campagnoli mettendoli in mezzo. Bisogna anche sapere che il capo della mini-squadra di lavoranti, non solo era di una bruttezza “ricercata”, la qual cosa i faceti molestatori potevano appurare con evidenza “de visu”. Ma era anche uno dei più vivifici affabulatori.

Ecco così derivarne una scenetta che non avrebbe sfigurato a far da undicesima novella della sesta giornata del Decameron, quella dedicata alla prontezza di spirito e alle risposte argute.

Lo strafottente cittadinozzo, rivolgendosi dunque al muratore (il fido manovale presente al suo fianco), col malcelato intento di fustigare fra le righe la sgraziataggine fisica dell’interrogato e insieme l'umiltà della sua provenienza, domanda: “…Veh…Có ghé ad bèl a Gillipixiland?...” (“…Veh…Cosa c'è di bello a Gillipixiland?...).

Risposta dello smart-phación edile: “…Bah…ad bèl, agh son mé e n’pù chè lö!...” (“…Bah…di bello, ci sono io e un po' qui lui…”).

Al gruppo di cittadinozzi sfottitori non restò che ritirarsi col ben servito di non averci capito una mazza: se fossero stati i gabbatori o i gabbati…se la presa in giro fosse caduta di riflesso sul manovale…se gli scornati alla fine dovessero ritenersi solo loro in esclusiva…o chissà cos’altro...

Si potrebbe allora estendere tale motto e servirlo in risposta al turista curioso di sapere come mai, alla fine, l'Emilia-Romagna ha ottenuto tale riconoscimento per il 2018.

Cosa ci sarà poi di così bello in Emilia-Romagna: “…Bah…ad bèl, agh son mé e n’pù chè lö!...”.

domenica 20 maggio 2018

La scalata

La scalata (Fat bottomed girls you make the rockin' world go round)

La scalata


La scalata (...leggendo"La ragazza di Bube", di Carlo Cassola...)

sabato 19 maggio 2018

Autobiografia di Malcolm X - Con la collaborazione di Alex Haley


Ho letto “Autobiografia di Malcolm X – Con la collaborazione di Alex Haley” (BUR - € 10.90).

Un libro potente, riguardante un personaggio storico che vale la pena conoscere meglio, vista l’ingiusta sequela di false etichette e stereotipi fuorvianti a lui attribuiti nel tempo.

Non era un profeta della violenza. Non predicò l’odio razziale “di riflesso”. Non fomentava la disgregazione sociale.

La sua è stata invece la vita (non priva di contraddizioni, ripensamenti, ravvedimenti, perfezionamenti) di un uomo in continua ricerca: della verità storica; della dignità umana; del senso più profondo della libertà.

Manciate di sale sopra una ferita aperta sono l'ultima cosa al mondo che si potrebbe ignorare. Smuovono reazioni viscerali, inevitabilmente, scatenano riflessi condizionati perlopiù scomposti, duri, risentiti, rabbiosi. Malcolm X è stato questo: caustiche manciate di sale versate nel vivo della carne dell'America scoperta sulle sue più complesse contraddizioni.

Sono convinto che anche la più affascinante delle storie possa risultare inefficace se non incontra un narratore degno. La straordinaria storia della vita di Malcolm X incontrò in Alex Haley (autore dell’altrettanto memorabile “Radici”), lo scrittore capace di esaltarne tutta la tragicità, l'epicità, la passionalità, donando alla gran mole di materiale biografico esposto dal magmatico “X”, una fisionomia narrativa capace di conquistare il lettore.

Un ritmo che in 500 pagine di racconto non cala mai di tensione, per tenere dietro al dipanarsi di una vita carica sì di sofferenza, ma anche molto avventurosa ed esaltante.

Da lettori, non potrete fare a meno di sfiorare la commozione incontrando i passaggi nei quali viene esposta la “redenzione” umana di Malcolm, incarcerato dopo una giovinezza bruciata fra crimini e malaffare.

Ancor prima della fede nell'Islam, o perlomeno in parallelo a quella, fu l’amore per le parole ad offrire la stupefacente ancora di salvezza al futuro sostenitore dei diritti dei neri.

I libri fondamentali della sua rivoluzione interiore furono il Corano e dapprima un semplice dizionario, da cui attinse golosamente lo stupore della conoscenza, centellinando la bellezza della lingua parola per parola, per divenire poi un insaziabile fedele della lettura come mezzo di conquista di un anticipo di libertà a lui concessa già fin tra le anguste pareti della cella.

“Autobiografia di Malcolm X” è infine un libro (purtroppo) “tragicamente perfetto”. Perché il corso degli eventi volle che la narrazione venisse brutalmente schiantata dal terribile assassinio del protagonista. Facendo sì che il testimone del racconto passasse direttamente nelle sapienti mani di Alex Haley stesso, che nella cinquantina di pagine di commiato chiude la storia con maestria giornalistica, aggiungendovi anche piccoli fondamentali aneddoti relativi ai suoi rapporti con Malcolm, dai quali emergono ulteriori risvolti di umanità e di complessità d’animo.

venerdì 18 maggio 2018

Astici


Un mondo non mi basta
Voglio mangiar più pasta
Avevo un amico rasta
Campione di salto con l'asta
Che sapeva quanto dista
L'ideale comunista
Mise tutto in una cesta
Di volata corse ad Asti
Presentò la merce all’asta
Col guadagno in una busta
Della lepre seguendo l’usta
S'imbatté in una gran festa
Ci si ficcò con lancia in resta
Fra belle dame e vini a fusti
Senza dire ancora basta
Prima d'aver i calcagni frusti
Non temete che codesta
Si riveli una storia mesta
Son soltanto vaccate miste
Ognuna sparsa per mille piste


mercoledì 16 maggio 2018

Cartoline quotidiane


Cagnetto ancorato a colonna del sagrato, stile “fronte-saloon” western, in attesa del padrone, a sua volta in attesa alle Poste, a loro volta in attesa della definitiva privatizzazione assoluta del Tutto privatizzabile universale, al fine di ritrovarci completamente privi di qualsivoglia previdenza sociale e preveggenza solidale…(commento fra le righe del cagnetto: “…Woof!!!...e ti dirò di più: “Woof, Woof!!!...”).

P.s.: Nota bene: credo abbia lasciato anche un commento ulteriore sulla colonna...

martedì 15 maggio 2018

A.A.A....ammammate!



Mi scrive Paolo G., dall’omonimo punto. Mi prospetta affari milleurari: quasi tre cucuzze e mezza in un mesetto blando blando.

Caro Paolo, ma me lo spieghi dove sta il segreto? Non credo che sia tutta questione, come sostieni tu, di moneta beat (o bitcoin). Ci dev’essere sotto di più...

Tra l'altro, volevo chiederti: l’avete alla fine trovato quel famoso punto? Non è che i soldi che mi prometti saltano poi fuori con la stessa oscura chiarezza, che non ci capisce una fava nessuno?
Non sarà mica pure questo l’ennesimo dei tuoi affari da figa?

Circostanze Koofkiane


Un bel giorno, ti ritroverai per casa il molesto omino “Spot Spot” che ti ripeterà nell’orecchio l'altisonante magnificenza invasiva dei mille sponsor fatali dell’universo mondo pubblicizzato. Spot da mattina a sera, réclames nel cuore della notte, messaggi promozionali sparati al megafono mentre siedi sul water. La mail intasata di programmi di allungamento del pene, di accorciamento del bene, di rinfoltimento del seme, di indurimento che viene. E bitcoin, e affari imperdibili, e comodi guadagni da casa, basta solo grattarsi il coglione destro, e ingiunzioni di fornire i tuoi dati bancari e o postali, pena il decadimento del tuo conto corrente, che per altro nemmeno hai mai aperto. Poi chiamate a tutte le ore, da gente che non dovrebbe avere il tuo numero: e fai l'abbonamento alla luce, e fai il gas (prot?), e la linea superveloce, e facci vedere la bolletta (…mi levo le mutande?).

Fino a che…non oserai interrogare l’oracolo supremo della sconfinata sponsorizzazione interplanetaria, Mastro Pubblicizzoni l’Onnipotente, e molto modestamente obietterai: Ma che colpa ho io per meritare tutto ciò?

E da qui, il fatale responso:

Qualcuno doveva aver indotto Josef K. De Noantri ad accettare i cookies del sito “maronna-a-scaruggnata-by-yourself.com”, perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina il suo destino venne arrestato per sempre dalla pubblicità…


sabato 12 maggio 2018

venerdì 11 maggio 2018

Oasi zero


A furia di incappare in sequele di zero, di immergermi in zero, di mescolarmi a zero, di sbattere contro zero, di ingurgitare zero, di sputare zero, di sudare zero, di annusare zero, di puzzare di zero, di profumare allo zero, di toccare zero, di parlare con zero, di ascoltare zero, di subire zero, di battagliare con zero, di bestemmiare lo zero, di vincere su zero, di perdere da zero, di fondermi con zero, di discutere di zero con zero, di scoreggiare nuvolette di zero, di sbaragliare eserciti a zero, di metaforizzare gli zero, di oscillare in equilibrio su zero, di salmodiare lo zero, di preterintenzionare zero, di fraintendere zero, di surrogare con zero…

…Mi sono messo con l’animo dispiegato “a per” (a X), e mi è sembrato di intuire che l’unico modo di avere a che fare con zero, sia porsi in moltiplicazione con lui, per risultare di matematica conseguenza sovrapposti a, intercambiabili con, e circonfusi di lui.

(Me X 0) = 0…

“…io x zero, sono uguale a zero…”: è tutto ciò che occorre sapere.

Lo zero che non è il nulla, ma l'abbacinante orizzonte lungo il quale confinano l'essere e l’esistere, facendosi vicendevole scambio di luce e ombra. Il territorio dove solo possono trovare un senso condiviso, l’anelito a scomparire e la pervicacia nel persistere.

Vi sembra illogico tutto questo? Com'è allora che mettendovi a fianco uno, due, tre, quattro, cinque, sei zeri, da uno che eravate, diventate dieci, cento, mille, diecimila, centomila, un milione?

giovedì 10 maggio 2018

Little Snerd


La faccina che meglio coglie la mia essenza, credo sia quella del mini-occhialuto, dentone, rimbambino svagato. Battezzerei questa piccola icona che sento come mio alter-ego (e a tratti anche Walter), con un nomignolo etimologicamente agganciato alla locuzione americana “nerd”.

Il mio corrispettivo fra le faccine lo chiamerei dunque Snerdolino.

Quando incontri uno Snerdolino, se gli chiedi come va, si mette a parlarti dei libri che sta leggendo. Non ne legge mai uno soltanto, ma più insieme. Lo Snerdolino può venirsene fuori con una citazione di Cartesio, o Pitagora, o Mario Marenco, mentre si parla del tempo. Lo Snerdolino canticchia fra sé tutto il giorno, cosa che non è esente dal ripercuotersi sull’aspetto un po' stordito del suo sorriso.

Il sorriso dello Snerdolino non è tassativamente dotato in senso fisico di quel dentone “rintronatore”, ma il medesimo spicca senza meno sotto le labbra come propensione spirituale naturale del soggetto in questione.

Anche l’occhio semichiuso fa parte irrinunciabile del corredo psicosomatico del nostro: un po' perché lo Snerdolino vive perennemente sperso in un mondo suo, un po' perché a dispetto delle gran letture a raffica, rimane pur sempre lievemente (e fieramente) tontarello.

Lo Snerdolino infatti, invece di capire al volo, tende piuttosto a capire a piedi.

Non a caso prima, per delineare la figura dello Snerdolino, s'è accennato al suo essere anche “rimbambino”. Lui ci prova, ci ha provato e ci proverà a diventare grande. Ma dentro di sé, contro le vili pareti del suo involucro corporale ormai da tempo villico e villoso,  gli rimbalza sempre un’eco imberbe di fanciullaggine intonsa e non uniformabile a qualsivoglia determinazione temporale definita e depilata.

Lo Snerdolino, a volte si fa davvero fatica a capirlo. Egli stesso è assai contento della cosa, perché da primo ignorante di sé, si consola in questo modo con l’essere in buona e ampia compagnia.

mercoledì 9 maggio 2018

A passi neutri


Deludiamo talvolta le persone, e gli altri da parte loro, in altri casi, deludono noi. È forse una delle consapevolezze più dolorose, utili e fondamentali da acquisire nel crescere. Si tratta di infrangere l’illusione giovanile, che tanto ci infervorava, del bianco e nero recisamente distinti, del bene e del male separati per comparti stagni.

La manchevolezza inevitabile che fa capolino prima o poi nel nostro essere e nel nostro agire, e in quelli degli altri, può dunque finire per assumere risvolti di nobiltà d’animo importanti. E la fallacia, la difettosità, considerate in superficie come componenti da allontanare, si rivelano invece fondanti nella faticosa edificazione di un particolarissimo “umanesimo della compassione”.

Come potrò fare bene, se fin dalla partenza non terrò in mente con gran chiarezza di essere soggetto a incappare facilmente nell'errore, nello sbaglio, nel comportamento inadatto?

In questa piccola rivoluzione copernicana dello spirito, la delusione non avrà allora più il sapore greve dell’inevitabile amarezza, ma assumerà i tratti aromatici di un balsamo lenitivo, che meglio ci riconcilia coi misteri ineluttabili della finitezza e della precarietà.

martedì 8 maggio 2018

Se cinque stelle paion troppe


Il pigro puro non gradisce la gravità, intesa come “forza di”. Già portarsi in giro il proprio corpo tutto il giorno, pesa. È faticoso. Figuriamoci poi se ci si aggiungono, come normalmente capita, spostamenti di cose, sollevamenti di oggetti, sforzi per fare questo, movimenti per fare quello.

Siccome ormai anche sperare in uno straccio di governo è come chiedere la luna, utopia per utopia, è proprio questa che il pigro puro si accinge a reclamare: la luna. Più precisamente, la gravità lunare. I pigri puri voteranno la forza politica che sarà capace di cambiare la forza gravitazionale attualmente in vigore, con una equipollente a quella del nostro satellite.

Ma quale legge elettorale! Noi si tifa per la legge gravitazionale. Preparatevi a tirare verso il basso per circa un settimo del vostro peso attuale, perché l’ascesa al governo del movimento “Una Luna” (molto più realistico del pretenzioso Cinque Stelle) comporterà il parallelo “in-smilzimento” di tutti i vostri chilogrammi.

Una passeggiata o una corsetta diventeranno davvero un piacere come si deve, e la locuzione “vado a farmi due passi” assumerà proporzioni degne di nota, dato che un piede messo davanti all’altro frutterà una decina di metri per volta.

Si potrà dormire su materassi di cemento o granito, perché non se ne percepirà la durezza, con accessorio guadagno per l'umanità di veder estinta la perniciosa specie degli artigiani della qualità.

Ne guadagnerà poi notevolmente la pratica erotica, con la ridda di nuove posizioni aggiuntive che la quasi assenza di peso insegnerà (non mi dilungo nemmeno in dettagli che già ciascuno starà già precorrendo con la fantasia: parti pendule che levitano, piroette e avvinghiamenti in aria, contatti rarefatti, potenziali ondeggiamenti innovativi, e così via “seleniticamente kamasutrizzando”).

Posa il peso, dunque, e passa il passo: da ora in poi con il movimento “Una Luna” puoi!

venerdì 4 maggio 2018

Membro gold e i gentil manigold



Giusto or ora per via di mail ho saputo
D’essere un MEMBRO SELEZIONATO

Presto ora urge immantinente informare
La più allargata platea femminile
In modo da potermi così poi ritrovare
Donne all'uscio in fervide file

Che bene si sa, son sdegnose e marpione
Ma poi ti soppesano la proporzione

Ve lo confesso or la cosa m’intrip
Di dare sfoggio al mio membro VIP

Tutte che dicono: io gli guardo le mani
Però dopo sfuggono gran sorrisoni
Per come periscoppiano i pantaloni

Sia il benvenuto allora un membro dorato
Che da ogni fanciulla verrà lusingato

Temo alla fin di apparire cafone
Eppur lo confermano rima e intuizione
Meno che men si sfugge qui alla tradizione
Per il membro gold serve sempre un gold…

In carne e grammatica

Trascorro non visto nel mondo
Frullo lieve di mezzo secondo

Chi mi guarda può passarmi attraverso
Ogni dove, del mio, s'è disperso

La mia ombra gli arriva in ritardo
La persona, nell’abito e lo sguardo

Sprechi il tempo a non volermi vedere
È una roba che nessuno ha in potere

Sogno d’aria, di vento e parole
Scritte nuove di luce sul sole

Di me sempre soltanto è importata
Quella parte che emerge inchiostrata
I muscoli negli avverbi, la pancia coniugata
Le ossa son proverbi, la pelle una nottata

Dove passo di stucco ci rimani
Restano solo di frasi i profumi

Poi nel cielo s'addensa di virgole
Piovon motti, paradossi e un’iperbole

Qui e adesso non peso che un etto
Se l'essenziale è invisibile all'occhio

Piccolo Principe, te l'avevo mai detto
Che mi stai blandamente sul cacchio?

giovedì 3 maggio 2018

Filastrocca lumachina


Chiocciola d’ambra, salita di luce
La scala che porta ad esser felice
Giammai bell’e pronta gradino per gradino
Se prima non fai una ricerca in giardino
E solo quando trovi l’inquilino traslocato
Puoi prendere alloggio con fare trasognato