Pur conservando imperterrita la propria inafferrabilità fotografica, la ghiandaia continua ad incrociare i suoi sentieri di uccelletto semisilvestre con i miei passi d’inusuale campagnolo. Già vi narrai in passato dei miei infruttuosi tentativi di fermare in una foto le fattezze del leggiadro volatile.
Finora non c’è stato verso. Quella vecchia e cara gazza vestita dalla festa si rivela sempre oltremodo fuggevole all’obiettivo. E forse anche per questo, s’intensifica la mia predilezione per questo uccellino, nata per due motivi fondamentali.
Forse quello più importante sta nella rarità delle sue apparizioni. La ghiandaia deve avere un agente molto in gamba che cura per lei tutti gli aspetti delle pubbliche relazioni. Non è come sua cugina, la gazza vera e propria, oppure come il merlo, o il passerotto, o gli storni caciaroni ed onnipresenti: sono uccellini simpatici, curiosi e belli da vedere anch’essi, ma loro li puoi ammirare sempre sul palcoscenico naturale, a far bella mostra di sé in qualsiasi momento ti venga la voglia di osservarli.
Le entrate in scena della ghiandaia sono invece sempre centellinate e ben dosate. Lei ti concede al massimo un paio di minuti in tutta una stagione, suddivisi magari in cinque o sei incursioni nel giardino o su qualche albero lì in giro. La ghiandaia fa un po’ come Mina nel mondo dello spettacolo, che da un certo momento in poi per il pubblico si è tramutata in pura voce. Allo stesso modo, le comparse della ghiandaia sono talmente fugaci ed impalpabili, che ti rimangono in mente più come fossero l’eco lunga di una melodia di canzone, che non vere e proprie sensazioni visive.
La ghiandaia mi piace poi per un motivo un po’ bizzarro. Ossia perché nell’insieme della sua livrea caffelatte, spiccano questi spruzzi di colori quasi innaturali o perlomeno inusuali se si pensa a come vanno vestiti di solito i più ordinari rappresentanti della fauna seriosa delle nostre zone. E’ come un impiegato tutto vestito a puntino, o un’elegante commessa di negozio con la sua giacchetta del tailleur marroncina, che ad un certo punto gli ha preso il ghiribizzo di guarnirsi con queste leggere strisce azzurre sulle maniche, ossia sulle ali.
E dire che quest’anno l’ho avvistata in tante occasioni, la cara Ghiandy. Anche più del solito: era in solitaria a volte, e in certi casi anche in accoppiata. Alcune volte in posizione favorevolissima per una foto: ma ovviamente non avevo mai la macchina sottomano. Che se poi corro in casa a munirmi di obiettivo, quando esco di nuovo, mi ha già bell’e salutato per la prossima canzone.
Sarà stato forse allora per rimarcare ulteriormente la mia inattendibilità fotografica, che uno dei giorni scorsi, la ghiandaia ha deposto per me un piccolo dono, sotto la pianta della magnolia. Visto che non ce la fai a beccarmi con l’obiettivo, si sarà detta fra sé e sé, ti lascio almeno questo ricordo. Una piuma piccina, scelta proprio fra quelle con le striature azzurre.
Ovviamente, tutta la sovrastruttura semi-romanzata è frutto di un’aggiunta di sceneggiatura gillipixiana. Ma è stato a suo modo un ritrovamento commovente, per me. La conferma di come la natura possa renderci familiari con questi micro-esercizi di gentilezza, se solo ci prendiamo la briga ogni tanto di stare in ascolto dei suoi piccoli cenni.
E mentre rimiravo ancora un po’ fra le dita la piccola, preziosa pepita faunistica che mi era capitato di rinvenire, alla fine sono stato colto da un pensiero leggermente più prosaico. Non sarà che la ghiandaia mi è cara perché anche lei, con quegli accenni velati di nerazzurro sulle ali, in fondo in fondo ha un cuore nostalgico da interista idealista?
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