Nel corso della quasi vita di una quasi persona quasi normale quale io sono, le fasi di “pionierismo” attraversate sono state diverse. Il fatto di essere capitato a far parte di una generazione che ha visto trascorrere dinnanzi a sé le accelerazioni del progresso tecnologico più vertiginose da che si è cominciato a tener conto degli eventi storici, ha contribuito notevolmente al fenomeno.
Basti dire questo: mentre oggi il lattante medio nasce praticamente già con un tablet in mano, quando ero bambino io si pretendeva invece di cavar fuori del divertimento da quel paio palline di plastica durissima appese ad una corda, il cui scopo consisteva nell’ottenere un rimbalzo sequenziale “a tutto tondo”, con sommo sprezzo dell’incolumità di nocche e falangi. Altro che “touch screen”: ti andava bene se ne uscivi evitando di finire nella lista dei mutilati civili per motivi ludici.
Tra i vari pionierismi affrontati ricordo con molto affetto ad esempio la gradualità evolutiva del nostro mondo televisivo di un tempo. Fa tenerezza pensare adesso al vecchissimo apparecchio in bianco e nero, col trasformatore dalla piccola spia rossa che pesava un accidente, due soli canali e una pazienza boia ad aspettare che tutto il marchingegno si scaldasse, sperando che il quadro la piantasse finalmente di roteare su se stesso come la buffa ruota di un criceto catodico. Per dire, soltanto l’introduzione di Rai3 mi apparve all’epoca come una rivoluzione strabiliante.
Una notevole fase di pionierismo tecno-esistenziale l’ho conosciuta anche con l’avvento di internet. La prima connessione casalinga mi pare di averla impiantata intorno al 1999. Prima di quel momento fu tutto una sperimentazione para-goliardica e comunitaria praticata coi miei amici. Le prime volte, si sentiva un gran parlare di ‘sto internet, ma nessuno ne disponeva a casa. Solo alcuni avevano un pc come si deve e di certo a Gillipixiland, estremo avamposto di poetica barbarie, la possibilità di connettersi è arrivata tempo dopo rispetto a tutte le altre località civilizzate.
Per saziare la curiosità riguardo al nuovo feticcio messo a disposizione dalla tecnocrazia imperante, non restava allora che organizzare spedizioni raccogliticce di villici giovinastri alla volta della città, dove la nuova meraviglia che ci avrebbe transitato nel terzo millennio era disponibile a nolo, stile baldracca megabytale. La metafora non è scelta a caso. Se pensate infatti che l’oggetto di ricerca, durante quelle proto-navigazioni telematiche, fossero gli scaffali virtuali della biblioteca del Congresso, vi state incamminando sulla strada sbagliata. Le pagine agognate andavano piuttosto a parare nei più disparati ambiti riscontrabili lungo i gradi della scala di valori del miglior spirito pecoreccio. La logica della cosa suonava più o meno così: dato che si paga a tempo, tanto vale farlo fruttare al massimo della densità d’interesse, questo tempo. E qual è l’interesse più mediamente denso del medio giovinastro in stato avanzato di adolescenzialità ritardata? Non ve lo sto neanche a scrivere per esteso, per non recare offesa al vostro acume (…i meno intuitivi sappiano che il concetto è condensabile in una paroluzza di 4 lettere, alla quale spesso s’inneggia per popolare spontaneismo, con testimonianze grafiche istoriate sui muri delle stazioni e degli autogrill più esclusivi).
Fin da quei primordiali e vetero-belluini approcci col nuovo strumento tecnologico, mi accorsi di una caratteristica di internet che credo continui a rappresentare ancora oggi una delle sue forze principali. Mi riferisco al suo rappresentare una sorta di moderna lampada di Aladino, per di più esente anche dal classico vincolo dei tre desideri canonici. «...Su internet c’è tutto...»: questa affermazione l’ho sentito ricorrere spesso e sotto certi punti di vista la ritengo condivisibile. Forse però è meno condivisibile l’ampliamento immaginifico ad infinitum che nella fantasia comune si è andato facendo riguardo al nuovo mezzo, trasformato così in vero e proprio veicolo d’espressione di una “desiderabilità” pura ed illimitata.
Fatto sta che sotto questa veste veniva visto l’internet dei primi tempi dagli occhi scarsamente informatizzati di un gruppetto di campagnoli in avanscoperta epocale alle porte della città. Onnipotenza mista ad onniscienza pensavamo di andare ad estrarre da quei pochi centimetri quadrati luminosi. L’allegra combriccola di Grandi Fratelli ci sentivamo, impazienti di tuffarci in una dimensione che immaginavamo straboccante di tutti i tipi più straordinari di Grandi Sorelle, quasi sperassimo di venir a scoprire persino l’esistenza al mondo di individui umani di genere femminile che sono soliti portarsela in giro con la riga orizzontale (…mi riferisco all’acconciatura dei capelli, ovviamente).
Il locale dotato di postazioni internet era molto frequentato da umanità giovanilastra di ogni tipo. La riservatezza, praticamente una chimera. Al timone si doveva piazzare allora il più “meno esperto” di noi, quello che aveva un minimo di familiarità nell’abbassare rapidamente finestre, nello zittire schermate, nel dissimulare all’occorrenza ricerche calienti. Tutt’intorno, una corona caciaronesca di copiloti suggeritori in seconda, ciascuno vociacchiando le più assurde richieste, ogni volta regolarmente riecheggiate dal controcanto ridanciano del coro di tutto il resto della compagnia: «...Ma nooo, daaai, questo è troppo da maniaci!!!...».
Come da miglior tradizione di tutte le lampade d’Aladino che si rispettino, anche le nostre avventure internettiane alla ricerca dell’introvabilità estrema del desiderio perduto, si concludevano sempre con dei nulla di fatto clamorosi, compensati almeno da tanto divertimento e preziose risate. Nella foga di far scaturire l’inimmaginabile, ci si sparava più che altro delle gran paginate scritte di risultati dei motori di ricerca di allora, col loro fiuto ancora parecchio farlocco rispetto alla segugità sconfinata del google attuale. Oppure, scartabellando fra i presunti meandri del proibito smodato, ci si ritrovava ad approdare su siti dal candore più lindo che si potesse pensare.
Ma la nemesi suprema dello sfregatore di lampade scornato, ci toccò in sorte con una delle ricerche più strampalate, azzardata a giusto coronamento di chissà quale brain storming ultra-demenziale. Dopo aver ricercato fra gli anfratti dell’indicibilità goliardica esageratamente smisurata, eravamo capitati su un sito dedicato a talune peculiari ed innominabili esternazioni gassose, fisiologicamente manifestate dall’essere umano con compresenza opzionale di sonorità annesse. Con l’intenzione di deliziare le aspettative riderecce della ciurma, il nostro nocchiero sbagliò clamorosamente la consecutio temporum fra l’avvio di uno di quei file “retro-melodici” ed il giusto livello del volume, finendo per far scaturire dalla perfida macchina un gran tuono simil-petale che devastò per intero l’aere video-giochereccio del locale, con inevitabile figura da peracottari rimediata in gran stile da tutto l’equipaggio di marinai virtuali sgangherati.
A volte ne riparliamo ancora, coi miei amici, di quelle lontane avventure da proto-naviganti della fantasia, in mari stranieri ed ostili. Ed ovviamente si ride sempre, ancora. Ormai internet ce lo siamo messi in casa tutti, ed abbiamo scoperto che può servire anche a finalità diverse da quella monotematica dei nostri primi approcci.
La mia postazione domestica in particolare è dotata tuttora di una caratteristica ultradecennale, conservata tale e quale fin dalla prima connessione. Siccome l’attacco alla linea telefonica è situato ad una decina di metri dal computer, da sempre, quando voglio accedere ad internet, devo tirare un cavetto per farlo arrivare sino al modem, nel quale ogni volta lo devo innestare. Ho pensato già varie volte di ovviare a questa scomodità obsoleta. Ma due motivi mi hanno sempre fatto desistere. Uno è il fatto che a questa piccola procedura preparatoria ormai mi sono affezionato, ed essa mi ricorda anche certi buffi aneddoti casalinghi. Come ad esempio quella volta che uno dei miei mici gironzolanti per casa si dilettò a mangiucchiarmi il filo, lasciando sul pavimento proprio due bei pezzettini mozzati di netto con cura, mentre io, nell’altra stanza, non sapevo a quale santo votarmi per riuscire a capire come diavolo non si riuscisse ad attivare la connessione.
L’altro motivo sta nella possibilità, una volta visto quello che mi interessa sul web, di potermi sentire definitivamente sconnesso nel vero senso della parola, dopo aver cavato fuori fisicamente lo spinotto dal modem ed arrotolato il cavetto nei pressi del telefono, pronto per un nuovo collegamento a venire. Non tanto per evocare chissà quali sensi di un mal rinnovato ed ipocrita rifiuto luddistico. Internet, nella mia scala di “accessori socio-esistenziali”, rimane pur sempre un fattore di grande importanza.
Il punto della questione sta piuttosto nella soddisfazione ricavabile dalla sconnessione assoluta. Per riconciliarmi appieno con la consapevolezza di come in fin dei conti sia sempre meglio aver ben chiaro in mente che le donne nella realtà effettiva sono solite portarsela appresso con la riga messa in verticale (parlo sempre dell’acconciatura dei capelli…e cos’avevate capito?!?!?).