La rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri” ci porta oggi in Austria, con uno degli artisti moderni più illustri espresso dalla nobile nazione mitteleuropea: Gustav Klimt (Baumgarten, Vienna, 1862 - Vienna, 1918). In particolare,
l’opera scelta da Kika è il “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, del 1907.
Parlare di Klimt, significa parlare di un movimento culturale molto complesso e vasto (con ampie implicazioni sociologiche), che tra fine ‘800 e inizio ‘900 interessò gran parte dell’Europa, ma anche tante altre zone del mondo (soprattutto gli Stati Uniti), e che nei diversi luoghi venne declinato con sfumature e indirizzi di ricerca creativa differenti. Volendo assegnare a questa corrente culturale un nome di riferimento molto generale, potremmo indicare in primis la cosiddetta “Art Nouveau”, sviluppata in ambito franco-belga. Questa “etichetta” artistica assunse tuttavia una serie di specificazioni diverse, a seconda delle realtà nazionali in cui venne sviluppata: Liberty o floreale, in Italia, ad esempio, Modern Style in Gran Bretagna, Modernismo in Spagna, stile “coup de fouet” (“colpo di frusta”) o stile Velde in Belgio [dal grande pittore, designer e architetto belga Henry Van De Velde (Anversa, 1863 – Ober Ägeri, Svizzera, 1957)], Jugendstil in Germania e, nel caso che qui ci interessa maggiormente, Sezessionstil in Austria.
La parola Secessione è forse quella che più di ciascuna delle definizioni sopra elencate, esprime al meglio uno dei principali propositi di queste correnti del pensiero creativo: operare una “secessione”, un distacco, una scissione (non a caso “jugend” in tedesco significa “giovinezza”), da tutto ciò che in ambito artistico e culturale rappresentava la “tradizione”, il “vecchio”. E nell’ambito della “Secessione viennese”, Klimt impersonò una delle figure di riferimento più attive e influenti.
A questo punto, il discorso, a voler essere esaustivi, si complicherebbe a dismisura. Mentre, a voler troppo sintetizzare, si banalizzerebbe altrettanto. Provo ad imbastire una via di mezzo, innanzitutto riportando i punti “programmatici” principali di questo grande movimento stilistico-culturale, così come sono condensati da Giulio Carlo Argan:
«…1) la tematica naturalistica (fiori e animali); 2) l’impiego di motivi iconici e stilistici, e perfino tipologici, derivanti dall’arte giapponese; 3) la morfologia: arabeschi lineari e cromatici; preferenza per i ritmi impostati sulla curva e le sue varianti (spirale, voluta, ecc.) e, nel colore, per le tinte fredde, attutite, trasparenti, assonanti, date in zone piatte oppure venate, iridate, trasparenti, sfumate; 4) l’insofferenza della proporzione e dell’equilibrio simmetrico e la ricerca di ritmi “musicali”, con marcati sviluppi in altezza o in larghezza ed andamenti per lo più ondulati e sinuosi; 5) l’evidente, costante proposito di comunicare per empatia un senso di agilità, elasticità, leggerezza, gioventù, ottimismo…».
Come detto, in ogni realtà culturale, il discorso si specificò in vari modi, e quello espresso dalla realtà viennese fu uno dei più interessanti, soprattutto grazie all’opera di Klimt. Nella sua opera possiamo ritrovare per grandi linee tutti i punti elencati da Argan, ma ovviamente rielaborati secondo la peculiare sensibilità dell’artista. L’ambiente culturale viennese dell’epoca di Klimt vive un periodo di fervore eccezionale: in quegli stessi anni esprimono il meglio del loro genio e della loro arte, personalità del calibro di Sigmund Freud, Thomas Mann, Arthur Schnitzler (autore di “Doppio sogno”, romanzo del 1926 che ha ispirato il kubrikiano “Eyes wide shut”), Hugo von Hofmannstal, Karl Kraus, Hermann Broch.
Largamente influenzato anche da questo retroterra culturale, Klimt predilige nelle sue opere un’espressività che sfiora da vicino le profondissime tematiche dell’inconscio. La sua pittura parla spesso per simboli e suggestioni, si fa espressione di una ricerca preziosissima e sublimata che, come acutamente osserva Massimo Donà nel suo libro “Arte e filosofia” (Bompiani, 2007), si indirizza quasi verso «…un ritorno al mosaico dell’arte ravennate e al modo bizantino; dove il terreno, il contingente e mortale per definizione, veniva proiettato su uno schermo illuminato da verità comunque oltre-umane…».
Le figure di Klimt esprimono una tensione continua verso una sensualità che spesso sfocia nell’erotismo puro, calato in atmosfere che stanno sempre ad un passo dal cadere nel corruttibile, in ciò che svanisce e muore. Insieme all’altro importante esponente del movimento, il pittore amico Egon Schiele (Tulln, 1890 – Vienna, 1918), Klimt può essere sotto questo punto di vista considerato uno dei “cantori moderni” dell’eterno “conflitto simbiotico” intrattenuto fra amore e morte.
Klimt fu disegnatore di una raffinatezza superiore. Riporto in merito una mia piccola esperienza personale: diversi anni fa ormai, mi capitò di visitare a Firenze una bellissima mostra dedicata proprio all’artista viennese. Più che dai dipinti, più che dalle opere note, più che dagli sfavillanti ori sulle tele, rimasi fortemente impressionato da “semplicissimi” disegni a china (per lo più di soggetto erotico), all’apparenza quasi distrattamente tratteggiati su umili fogli di carta. Pur nella mia incompetenza in materia, posso dire di non aver mai visto in altra occasione un tipo di disegno più bello e “vivo”.
Su Klimt, ci sarebbe da scrivere ancora molto, ma mi limito a riportare un altro bel brano tratto dal libro di Massimo Donà, prima di passare agli esiti dell’odierna indagine fisiognomica. Donà cita a sua volta la vivida impressione espressa dallo scultore francese Auguste Rodin (1840-1917) di fronte ad un’opera di Klimt, nota col nome di “Fregio di Beethoven”: «…”Non ho mai provato tanta emozione. Il suo Fregio di Beethoven così disperato e felice […] e poi questo giardino, queste donne, questa musica! E tutta questa gioia fanciullesca. Ma cos’è?”…».
Prova a rispondere Massimo Donà: «…Un sogno? Una fantasia? La fissazione di un’estasi? La fede in una bellezza sacra ma al tempo stesso devastatrice; che strugge e consuma come il tempo; anzi, per mezzo del tempo, suo alleato e infido suggeritore. […] Una contraddizione che solo l’artista avrebbe potuto sopportare; stante che la filosofia aveva deciso proprio in quegli anni, e sempre in quelle stesse terre, di abdicare al proprio compito secolare. Ludwig Wittgenstein (1889-1951) lo scrisse senza titubanza nel suo “Tractatus”...».
Ma lasciamo, seppur a malincuore, questo dedalo di fascinazioni culturali, per concludere con le somiglianze che sono riuscito a scovare oggi. Devo dire che stavolta mi aspetto di ricevere una menzione d’onore da parte dell’ordine dei detective fisiognomici (o sarà una minzione in compagnia, dopo la solita birretta al “Bar del detective”? Mah…). Il viso che vi propongo mi pare infatti piuttosto calzante:
Si tratta dell’attrice comica e cabarettista Alessandra Faiella, nota come volto di Zelig e di altre trasmissioni tv firmate dalla “premiata ditta” Guzzanti-Dandini.
L’altro volto di oggi non saprei definirlo diversamente, se non con l’uso dell’aggettivo “eccezionale”. A ben guardare, questo personaggio fondamentalmente non somiglia tantissimo al viso klimtiano del “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” (che, per completezza informativa, era la moglie dell’industriale Ferdinand Bloch-Bauer). Ma trovo che in questa particolare foto, i suoi tratti esprimano un’affinità degna di nota (riporto anche il confronto con un’altra sua foto…sapete com’è: noi detective fisiognomici ci teniamo molto alla correttezza deontologica):
A mio modesto parere, nella sua “singolarità” e nella misteriosa carica energetica di fascinazione picassiana che è in grado di esprimere, questo è uno dei volti più straordinari dell’universo femminile. Sprigiona una femminilità “stratosferica”. E’ la dimostrazione vivente degli arcani sentieri che a volte l’empatia umana sa percorrere attraversando i tratti di un volto. Sono proprio lieto di poterla avere come ospite nella galleria di questa rubrichetta: il suo nome è Rosa Elena García Echave, ma è conosciuta al pubblico come Rossy De Palma (nome altrettanto fantastico del viso), modella e attrice spagnola, protagonista di varie pellicole di Pedro Almodovar.
Si chiude qui, questa ricchissima puntata della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Oggi sono più che mai curioso di vedere come Kika ha riabbigliato la sontuosa signora klimtiana. Vi invito a scoprirlo tutti insieme,
sul blog della nostra maghetta modaiola preferita.