«...Chi ben incomincia è a metà dell’opera...» dice un famoso proverbio.
Ci sono proverbi per ogni circostanza e per ogni eventualità della vita. Una volta lessi una cosa interessante sui proverbi. Veniva fatto notare che praticamente per ogni proverbio, ne esiste un altro che sostiene la tesi opposta e contraria. Nel senso che, se un certo motto ti predica “pomo”, esisterà di sicuro il suo “gemello diverso” che ti raccomanda “pero”. Non ricordo gli esempi precisi che venivano riportati, ma ne ho ritrovati altri del genere, sul web:
Chi fa da sé fa per tre.
L'unione fa la forza.
Chi si loda s'imbroda.
Frate Modesto non fu mai priore.
Chi troppo vuole nulla stringe.
Chi non risica non rosica.
Nella botte piccola c'è il vino buono.
L'altezza è mezza bellezza.
Chi di speranza campa, disperato muore!
La speranza è l'ultima a morire.
Il riso abbonda sulla bocca degli stolti.
Il riso fa buon sangue!
Chi trova un amico trova un tesoro.
Meglio soli che male accompagnati.
Chi trova un amico trova un tesoro.
Dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io.
Chi si accontenta gode.
Chi non risica non rosica.
Dulcis in fundo.
In cauda venenum.
Il mondo è bello perché è vario.
Tutto il mondo è paese.
Chi si somiglia si piglia.
Gli opposti si attraggono.
L'apparente caos proverbiale veniva motivato, in quello scritto, con il vasto retroterra di esperienze che solitamente si cela dietro il patrimonio della saggezza popolare. Il fatto che esistano detti opposti fra loro, non sarebbe dunque sintomo di confusione, bensì di complessità, di vasta e profonda stratificazione culturale. In altre parole, la contraddittorietà dei proverbi non sarebbe altro che lo specchio della contraddittorietà della vita. Solo le culture caratterizzate da una lunga tradizione secolare posseggono nel proprio patrimonio sapienziale un ampio e ricco spettro di esperienze in grado di abbracciare tale contraddittorietà.
I proverbi però hanno sempre quell'aura un po' pedante e “grillo-parlantina”, che non li rende propriamente la cosa più simpatica del mondo. Spesso affermano cose sagge, ma lo si ammette mal volentieri. Ecco allora che se mi chiedessero di coniare un proverbio sui proverbi, io sceglierei questo: «...I proverbi sono come la sabbia dentro il costume, in spiaggia...». Non puoi evitare di ammettere che hanno fastidiosamente ragione.
Che ci crediate o no, oggi non era mia intenzione parlare di proverbi, ma di cinema. Più precisamente, di come i film hanno inizio. Per questo ho tirato in ballo il classico «...Chi ben incomincia è a metà dell’opera...». Fior fior di esperti di cinema sostengono infatti che nei titoli d'inizio di un film (nella sigla, per così dire), il regista (o chi per lui) si giochi già una buona fetta di possibilità di catturare il gradimento dello spettatore.
Anche se la mia opinione conta meno di nulla, questa cosa mi trova molto d'accordo. Un film con cattivi titoli è come un tizio che si avvia di slancio su per una scala, lisciando di brutto il primo gradino. Mentre un film ben introdotto e titolato è come una bella donna che scende dall'automobile, facendo sbucare con sapienza seduttiva le sue lunghe e sensuose gambe dalla portiera aperta.
Nel limite del possibile, non vedo mai un film se non dal primo millesimo di secondo iniziale. Soppeso e degusto ogni fotogramma inaugurale, centellino tutti i dettagli fin da subito. Negli ultimi anni si è affermato sempre più uno “stile” di far iniziare i film, assai “trombonesco”, pomposo, “impettito”. Sembra quasi che nella concezione di certi registi, partire con la coda di pavone completamente sventagliata, sia già di per sé garanzia di un buon inizio. Ma non sempre è così.
In particolare, uno dei vezzi più fastidiosi che sono invalsi è quello di propinare, come prima, immediatissima cosa, la gran sequela di “sborsatori di pecunia” e affini, interessati nella realizzazione del lungometraggio. Mi riferisco a quei film che cominciano con un interminabile elenco di soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nel patrocinio, nella promozione e così via. Per intenderci, sono quelle pellicole che non hai ancora fatto in tempo ad acclimatarti sul divano e già son lì che ti bombardano con scritte (mute o accompagnate ciascuna dal tipico jingle sonoro) del tipo: La «Ghedusa Midword Entarteinment» - (tre secondi di schermo nero) – PRESENTA – (due secondi schermo nero) - UNA PRODUZIONE «Flamming Farts» - (tre secondi di schermo nero) - In collaborazione con - (tre secondi di schermo nero) - «Geppo Video» & «Subsidium Falacius» - (cinque secondi di schermo nero) – con il patrocinio del «Ministero della Cultura Sub-Sahariana» e l'«Ente Proposizionale di Salvaguardia della Tutela Transmodale».
Capisco che magari certe produzioni devono avvalersi del contributo di tanti soggetti, perché fare un film è costoso, complesso, servono mezzi, risorse, tanta gente, e non ce n'è mai abbastanza. Ma perché tutta questa roba la butti addosso a me, povero spettatore, ancor prima di avermi fatto, non dico godere uno straccio di fotogramma, ma nemmeno respirare?
In questo modo, quello che un tempo era un elegante, deciso e autorevole, modo di introdurre il film, si è tramutato in una lagna para-spocchiosa e dispersiva. Il leone della MGM, i fari con gran scialo di trombe dalla Twentieth Century Fox, l'antenna sul globo che ruota della RKO, la vetta innevata della Paramount: tutte questi elementi avevano la forza, l'efficacia, l'immediatezza iconica del “marchio”, del simbolo, al quale lo spettatore si affezionava. Per fortuna rimangono ancora buoni esempi: l'omino-lampadina della Pixar, il bimbo che pesca sulla falce di luna della Dreamworks. Non saranno paragoni calzanti, perché si tratta di produzioni molto potenti, che si possono permettere l'asciuttezza dei titoli senza dover citare mille collaboratori. Ma fatto sta che risulta veramente insopportabile, in certi film, tutta quella macedonia introduttiva frammentaria e simil-pretenziosa, che appesantisce già il film ancor prima che sia iniziato.
Ora, sono consapevole di non essere mai andato così vicino al parlare di nulla puro. E mi rendo conto anche del fatto che questa mia disamina non cambierà un'acca delle modalità di presentare certi film. I registi continueranno a sciorinarci il loro indigesto menù d'apertura, perché ormai viviamo in un mondo in cui le ragioni commerciali, come i proverbi, hanno sempre fastidiosamente ragione. Ma almeno, scrivendo oggi queste cose, ho provato a tirarmi via un po' di sabbia da dentro gli slip.