Per la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”, si continua anche questa settimana con un grandissimo dell’arte moderna: Henri Matisse (Le Cateau, 1869 – Cimienz, Nizza 1954). Il dipinto del maestro francese scelto da Kika si intitola “Giovane donna alla finestra, tramonto”, del 1921.
Tralascio gli aspetti strettamente biografici, che sarebbero tantissimi e in ogni caso si possono rinvenire facilmente in altri siti molto più documentati. Mi concentro invece nel tentativo di tratteggiare (come cerco sempre di fare con ogni autore preso in considerazione) l'essenza della poetica matissiana.
Ogni artista, in seguito riconosciuto come un “grande” dalla storia, ha battagliato tutta la vita con un'utopia. Si è scontrato cioè con la finalità di riuscire a “dire l'indicibile”, riguardo al mondo e al senso del nostro esistere in esso. Perché questa assurda pretesa? Perché l'insoddisfazione fa parte della sostanza stessa dell'essere uomini e non possiamo fare a meno di fronteggiare l'infinito con le nostre armi irrimediabilmente finite. L'insaziabilità di significati e di conoscenza fornisce all'arte la sua benzina più potente (come già nel caso di altre mie perle scritte in passato, anche per questa concedo il copyright gratuito a chiunque la volesse istoriare nei cessi degli autogrill: chiedo solo che venga citata la fonte, magari anche sotto la catena dello sciacquone, non importa...).
Il ragionamento vale per tutti i tipi di espressione artistica, e assume forme specifiche in base ai vari linguaggi a disposizione nei diversi casi. E' banale, ma voglio dire: la letteratura dispone delle parole e con esse deve esprimersi, diversamente non sarebbe letteratura; la musica ha le note di tanti strumenti con le quali poter dire le cose che vuole dire; la scultura può valersi della fisicità dei materiali; e così via. La pittura è forse la modalità artistica che dispone dei mezzi più semplici: deve operare sul piano, servendosi solo di linee e colori, che volendo possiamo semplificare ancora di più, chiamandoli “segni”. Le “regole di base” sono queste. La sfida di Matisse consistette nel cercare di racchiudere il senso dell'infinità dell'essere, nello spazio finito del quadro, con possibilità di linguaggio fondamentalmente così “povere”.
Di Matisse si parla spesso in relazione a Picasso. I due artisti si conobbero, si stimarono e rivaleggiarono, si confrontarono, attingendo anche energia creativa l'uno dall'altro, sebbene i loro percorsi poetici seguissero strade alquanto differenti. Un breve parallelo col genio spagnolo, in particolare col Cubismo da lui introdotto, ci può aiutare a capire meglio il senso della ricerca di Matisse.
Anche il Cubismo è un tentativo di racchiudere significati infiniti, in uno spazio delimitato e con mezzi finiti. Ma gli oggetti “raccontati” dal Cubismo per la loro stessa natura concettuale rimandano ad altro: anzi, si può quasi dire che il Cubismo sia il “rimandare ad altro” che si fa pittura. Quelle sagome picassiane così bizzarre e ormai così familiari, coi loro occhi, bocche, mani e piedi quasi come “fiondati” nelle parti del volto e del corpo più improbabili, esprimono la più intensa “sete di altro”, la volontà della nostra mente di non accontentarsi della pretesa che la realtà si esaurisca in ciò che vediamo. La realtà è prima di tutto ciò che di essa sappiamo, per questo, quando ne guardiamo una porzione, non possiamo dimenticare tutto il resto delle nostre conoscenze in merito alla scena specifica. Fin qui, il Cubismo, che in questo senso si può dire prediliga un approccio razionale alla visione delle cose, perché ciò che delle cose “sappiamo”, s'impone.
Per Matisse è diverso: il suo abbraccio finito nei confronti dell'infinito passa attraverso un tentativo di fusione suprema dettata da una forma di «...intuizione sintetica del tutto...», come egregiamente dice Giulio Carlo Argan. Ogni quadro di Matisse, pur essendo per forza di cose limitato e delimitato, tende allo sforzo supremo di non lasciare fuori nulla dei significati della “totalità”, così come ai nostri mezzi esistenziali è dato di poterla cogliere. Laddove il Cubismo è “ragione”, per Matisse subentra la “intuizione”: Picasso indaga all'infinito le mille e una faccia della verità, Matisse cerca di abbracciarla tutta in un solo sguardo paradossale.
Il culmine più eclatante della poetica matissiana è toccato col capolavoro “La danza”, del 1910, ma per lui ogni scena ritratta era finalizzata a “racchiudere il senso del tutto”. Come annotò l'artista stesso nel suo “Scritti e pensieri sull'arte” (citato da Massimo Donà in “Arte e filosofia” - 2007), «...Egli [Matisse] si predispose a cogliere “il momento in cui tutte le parti avessero trovato i loro rapporti definitivi e non potesse essere apportato un qualsiasi ritocco al quadro senza rifarlo».
"La danza" (1910) - Henri Matisse
"Musica" (1910) - Henri Matisse
Non a caso, Matisse era anche un appassionato e studioso di musica, e l'ideale “sintetico” della musica tentò per tutta la vita di trasporlo, per l'appunto, nelle sue sperimentazioni e ricerche pittoriche. In un brano musicale, il tema che ricorre a fare da struttura melodica portante, sfugge ad una “dimensionalità” precisa. La musica ha una sua “materialità”, perché altrimenti non riusciremmo a coglierla fisicamente per mezzo del senso uditivo, eppure non è collocabile facilmente in nessun dove. Questa caratteristica fra le più esaltanti della musica, ossia il suo essere “infinita nella finitezza”, Matisse cercò sempre di catturarla per mezzo della sua espressività pittorica.
Come avete potuto constatare, Matisse non è certo il più comprensibile e semplice degli artisti moderni (e sempre ammesso che io sia riuscito a scriverci in merito qualcosa di sensato...). Torniamo allora un po' più terra terra, con la parte dedicata alla mia indagine fisiognomica per questa puntata. Il volto della ragazza di Matisse è molto indefinito, e dunque il mio compito poteva essere facile, ma anche difficile sotto altri punti di vista (oh, con 'sto Matisse, il rovescio della medaglia è sempre assicurato...).
Di fatto, il volto che ho scovato stavolta, è questo:
Sì, dai, è proprio lei: la più famosa delle ragazze di Gianni Boncompagni a “Non è la Rai”, Ambra Angiolini. In particolare, la somiglianza mi sembra calzare meglio nella foto in cui Ambra fa la faccetta un po' schifata.
Si conclude così un'ostica, ma stimolante puntata di “Le muse di Kika va per pensieri”. E adesso, tutti a casa di Kika (in senso metaforico, per fortuna di Kika medesima), ad ammirare le sua magie modaiole al sapore matissiano.
4 commenti:
La faccetta schifata di Ambra si adatta proprio bene e la cosa mi fa ridere: ora vedo la ragazza del quadro sotto un altro aspetto, mi sembra che guardi appunto schifata fuori dalla finestra, come se pensasse "Che barba, che noia, pensavo di uscire ma fuori è tutto così noioso, sempre la solita gente, i soliti posti... me ne sto a casa che è meglio. Però che noia qui dentro, sempre fra ste quattro mura grigie... in fondo mi ero già vestita per uscire... uffa che cosa faccio??"
Scherzi a parte, forse l'idea di Matisse era proprio quella di racchiudere nel quadro tutta l'indecisione della ragazza, il suo essere contemporaneamente al di qua e al di là della finestra (col corpo e col pensiero). Sarebbe in linea con la filosofia stilistica matissiana che tu hai ben descritto, no?
@->Kika: ehhehheh, non immaginavo di innescare questo circuito narrativo, Kika :-) ma in effetti potrebbe essere un'interpretazione valida...di certo la cortina della finestra è un elemento importante, in questa scena, non ci avevo riflettuto...mi butto sempre a filosofare a testa bassa e poi non noto le cose più immediate :-)
Lei sta di qua e anche oltre, la tensione fra le due dimensioni trova un suo equilibrio...non so...chissà :-)
però, quando sei partita con "che barba che noia", mi è venuta subito in mente Sandra Mondaini, quando si lamentava con Raimondo, e lui giù a leggere la Gazzetta dello Sport :-)
Tornando a Matisse, direi che è stato uno dei più impegnativi affrontati finora nella nostra rubrichetta...mi riferisco al mio tentativo di scriverci sopra qualche riga critica, ovviamente... confesso che il senso più intimo della sua arte mi sfugge tuttora :-) ma è stato bello ad ogni modo provarci, ho sleggiucchiato le mie fonti e qualcosina più di prima credo di saperla :-)
Bacini per pensieri :-)
Si si, infatti il riferimento a Sandra e Raimondo era voluto :) Li ricordiamo tutti sempre con simpatia :)
@->Kika: sì, mi piacevano molto, Kika :-) hanno lasciato un bel ricordo, una comicità garbata, ma anche tagliente, in certi casi :-)...
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