giovedì 29 ottobre 2015

Le vie delle persone-libro


L‘ultima vignetta delle nutrie non è nata per caso. Ogni mini-avventura delle nostre amiche pellicciute prende di solito spunto da un episodio, un fatterello o una riflessione che mi capita di frequentare nel corso delle giornate.

Camminavo per le strade di città. Per andare dove dovevo andare, c’era da buttarsi a guado nella corrente motorizzata di un grosso stradone circonvallante. Meglio affidarsi all’omino verde semaforico, ho pensato con somma astuzia. Mentre attendo la smeraldina benevolenza cromatica, mi si affianca un tizio appiccicato al suo cellulare. O meglio, prima di lui, molto prima, mi ha raggiunto alle spalle la sua voce. Dopo un po’, è arrivato anche il tizio in persona. Sempre al telefono, sempre auto-narrante a tutto spiano.

Siccome parlava a voce sostenuta, e senza lesinare coloriti dettagli, già gli attimi di attesa del verde sono stati utili per una proficua introduzione nei “fattaxxi” biografici del tale. Il caso ha voluto poi che i nostri cammini proseguissero paralleli, per cui il racconto della sua vita ha seguitato a cullare il ritmo dei miei passi, per alcune altre centinaia di metri. 

Situazioni del genere sono molto frequenti ormai: sui mezzi pubblici, in una sala d’attesa, al bar, e così via. In tanti casi, si tratta di zoticaggine pura da parte dello sbandieratore biografico selvaggio, senza dubbio. Ma a volte non è nemmeno questione di mancanza di pudore o di riservatezza, credo. La tentazione della comodità offerta dal telefono mobile può essere talmente forte, che quasi ci si dimentica di essere in mezzo ad altri. Quando ci si immerge nella voce dell’interlocutore, scatta quasi automatica una semi-illusione inconscia di essere protetti dall’ascolto altrui. In quegli istanti ci sono solo il parlante e l’udente, fusi in un loro micro-mondo verbale, per cui, nel limite della ragionevolezza (ma spesso e volentieri, si oltrepassa pure quelli), crollano anche i freni della naturale discrezione riguardo alle faccende personali.

Non si saprebbe dire se il fenomeno sia da annoverarsi fra i flagelli del nostro tempo, oppure fra gli aspetti positivi, o tutt’al più neutrali. Mi limito qui a prenderne atto come espressione della modernità. Di sicuro da esso scaturiscono situazioni molto curiose, e già questo potrebbe essere un fatto non da poco.

Ferme restando le capacità discorsive dell’intimo propalatore telefonico in cui ci s’imbatte, può capitare di vivere delle vere e proprie esperienze narrative di un certo rilievo. Le persone alle prese col dialogo riversato in ciò che per noi è soltanto un vuoto “al di là del filo” (o meglio, del campo magnetico), diventano allora delle specie di racconti viventi e ambulanti. E se ne possono sentire delle belle. 

La voce narrante, a seconda di come si destreggia fra gli episodi sciorinati, fra le immagini che riesce a tratteggiare, e i contorni di altri personaggi chiamati in causa, ci spalanca dei veri e propri piccoli universi esistenziali paralleli. Ci si fa prima di tutto un’idea del “carattere tipo” del narratore stesso, e di riflesso diventa un mezzo divertimento immaginare tutta la fauna umana dalla quale lo si ipotizza circondato. 

Così com’è stato ampiamente, anche nel caso del mio fedele pedinatore acustico post-semaforico. Dal modo in cui esponeva i fatti, mi si è profilato in poche battute come un prototipo umano in stile “precisini-manical-pignolo”, sul modello dei mariti iper-pedanti alla Carlo Verdone. Il carattere scaturito però non è mai puro, rispetto al modello che suggerisce. Sarebbe troppo noioso. Il bello è invece che il profilo caratterial-narrativo risulta sempre un po’ un misto di tante fonti, che possiamo poi rimodellare a piacimento seguendo la nostra immaginazione. Per fortuna, perché in questo modo le combinazioni possibili sono molto più alte, e poi anche perché in caso contrario, ossia di modello verdonesco puro, sarei stato tentato di agevolare il mio casale compagno di avventure narrative d’occasione, verso una salutare macchinata transitante.

Insomma, ce n’è abbastanza per scomodare la suggestione letteraria, lasciandola andare a pescare nel ricordo di un classico della letteratura di viaggio, “Le vie dei canti”. In questo suo meraviglioso libro, Bruce Chatwin racconta dell’ancestrale tradizione aborigena australiana, di “marchiare” verbalmente le località e i sentieri del proprio vissuto, con altrettanti racconti cantati, che si tramandavano per via orale, di generazione in generazione di cantori. A ogni luogo era associato un punto del canto, di modo che nell’immaginario di quel popolo si formava una mappa nello stesso tempo geografica e umana del proprio ambiente vissuto.

Coi “narranti cellulari” non sarà proprio la medesima cosa, ma curiosi meccanismi simili, anche se molto meno sacrali e rituali, si vanno formando ugualmente nello scenario mentale di chi li ascolta. Quel tratto di strada dal semaforo in avanti, ad esempio, per me sarà da adesso sempre abbinato ad un frammento di discorso carpito semi-involontariamente, dalla voce di un casuale narratore telefonico, simil-verdonico, ma simpatico e con punte divertenti. E così potrà capitare a chiunque, con mille altri posti, in mille altre circostanze.

Per concludere: si fa tanto parlare dell’insidia concorrenziale, potenzialmente esiziale, in teoria rappresentata dai libri elettronici, nei confronti di quelli tradizionali stampati su carta. Ma date retta a me: il vero pericolo per i vecchi cari libri viene dai raccontatori compulsivi telefonici, vere fonti alternative di materiale narrato ultra-moderno.


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