venerdì 3 giugno 2011

Ain’t life unkind?


«...Goodbye, ruby tuesday
Who could hang a name on you?
When you change with every new day...»

Mick Jagger - Keith Richards – 1967

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Eppure, essere tristi si può.
Essere tristi è nostro diritto e paradossalmente anche nostro dovere, molte volte. Certo, è meglio esserlo per piccoli dettagli, se solo è appena possibile. Tuttavia la tristezza è parte fondamentale e nobile del nostro essere umani. Negarla significa negare l’umanità di cui siamo composti come nostro elemento proprio, come sostanza esistenziale costitutiva.

Non saprei dirvi quante volte in vita mia sono stato triste, giusto per il gusto di non dare soddisfazione a come, secondo la gente, «…le cose dovrebbero andare…».

«…Su col morale, Gillipix…la vita è bella!…».
L’avrò già scritto di sicuro, ma tant'è, se vi va di farmi incazzare, non dovete far altro che venirmi a dire una a scelta fra queste frasi fatte, o qualcosa di similare. Soprattutto se sono dette come fraseggio dal tono “riempitivo ed imperativo”. Perché poi io sono per natura gentile, ed abbozzo ogni volta con un sorriso di circostanza, ma la mia tacita reazione interiore in questi casi è sempre stata del tipo: «…La vita è bella?!?!?...Sì, una cespugliosa e strabordante fava, è bella!!!…». Nel senso che, sì, può essere anche bella, ma non fatemi sentire come in obbligo di aderire a verità preconfezionate, che allora diventa un’ipocrisia bella e buona.

Insomma, tutte queste considerazioni un po’ sfilacciate, per arrivare a dirvi oggi che mi sento nel giusto ad essere triste per il fatto che Farly ha chiuso il blog. E’ una di quelle tristezze “giuste”, per l’appunto. Perché il motivo, per fortuna, non è dei più gravi. Nel senso che con Farly c'è sempre la possibilità del contatto telematico ed è questa la cosa più bella.

Detto questo però, per me rimane una tristezza importante. Perché con la chiusura di «Era di notte...» in qualche modo finisce un periodo.

Questa nostra condizione umana è veramente contorta.
Siamo continuamente sballottati fra il desiderio, da una parte, di veder fissati per sempre certi “punti cardinali” di riferimento stabile, e la sete invece, dall’altra parte, di novità, di freschezza, di rigenerazione, di andare oltre per vedere cosa c’è più avanti. Ragionamenti simili (...meglio forse dire “impressioni”) stanno celati dietro al fatto che la tristezza altro non è se non l’altra faccia della gioia.

Non solo nel senso che prima o poi tutto finisce e i momenti belli sono destinati a svaporare. Ma soprattutto perché è come dicevo in apertura: la felicità è una condizione artificiosamente idealizzata, la realtà invece è fatta di ambivalenze d’animo, di contrapposti spirituali che si reggono vicendevolmente. Per fare l’esempio più banale: ogni umano è disposto ad investire tutto se stesso nell’amore, e in particolare nei suoi aspetti fisici, anche se sa che dopo l’appagamento verrà la mestizia per l'«energia desiderante» momentaneamente attutita e lasciata dietro le spalle.

Quando qualcosa finisce, proviamo smarrimento, ma è forte anche l’inquietudine che ci coglie nel pensare alla possibilità di eventi senza fine. La nostra mente non si capacita, né con l’una, né con l’altra di queste idee, e forse la quintessenza del significato di ciò che intendo più propriamente con la parola “tristezza”, sta esattamente in questo paradosso. Il finito e l'infinito “si strattonano” spesso dentro di noi, che finiamo per caricarci sulle spalle tutta la spossatezza e la fatica di quello sforzo.

Con Farly si è creata nel tempo una complicità bloghesca speciale. Ad un certo punto, bella come tutte le cose nate spontaneamente, si è pure fatta strada questa buffa storia della “chimera”. Visto che ci commentavamo vicendevolmente ed assiduamente nei rispettivi blog, divertendoci anche parecchio, c’è stato chi ha insinuato il sospetto che Farly ed io fossimo la stessa persona.

Da qui Farly coniò la leggenda della chimera, uno strano essere mitologico metà Farly e metà Gilli, una sorta di leggendario Farlipixel scaturito dai più reconditi meandri della mitologia internautica. La cronaca spicciola non ha mai smentito quei mitologici sospetti ed anche questa è stata una delle parti più belle del mio entrare in contatto col blog di Farly. Siamo due persone? Siamo una persona sola? Io sono uno o “bino”? Sono un uomo o una donna? Che importanza aveva, in fin dei conti? (…e non mi scomodo nemmeno a dare un’occhiata in tralice dentro le mutande, per verificare…).

La cosa importante era scrivere due blog che in qualche maniera si compensavano, entrando in sintonia spontanea fra di loro. Perché sia Farly che io scrivevamo seguendo un certo “spirito narrativo”, quasi dimenticando entrambi chi siamo nella vita reale. Non per chissà quale desiderio di mistero, o per atteggiarsi a “personaggi”.

Nostra intenzione era entrare in una dimensione più pura, la dimensione “sacrale” della parola, la dimensione del votarsi interamente ad un senso di gratuità e di bellezza superiore. Senza la pretesa di fare “alta letteratura”, ma molto più semplicemente per sfiorare aspetti della vita più rarefatti e sublimati, anche attraverso la presa in considerazione di piccole cose di poco conto ed ironie spicciole, eventualmente.

Da buon amico, dovrei ora chiedere a Farly di ripensarci, che magari questa è solo una fase di stanca, che poi le potrà ritornare la voglia di continuare a scrivere su «Era di notte...»....che poi, che poi...
Ma se così facessi, dimostrerei solo di non aver imparato nulla dai fondamentali insegnamenti dei più grandi maestri spirituali del '900, e in particolare passerei insensibilmente sopra il primo comandamento secondo Jagger e Richards, che così recita:

«...Don't question why she needs to be so free
She'll tell you it's the only way to be...».

5 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

commossa, lo sapevo lo sapevo che mi commuovevo.... true... it's the only way to be ... e il resto te lo dico dopo....
bacini svolazzanti

Gillipixel ha detto...

@->Farly: la commozione è cosa nobile, cara Farly, ma lo è soprattutto perchè lucciconi e lacrimucce sono come una pioggerellina benefica, che cade lieve sui prati del nostro animo per irrorare i migliori pensieri ad una pronta e rigogliosa rinascita :-)

(...si vede che ho iniziato un po' a leggere l'Orlando furioso? :-D

Bacini poeatastri maldestri :-)

Paolo ha detto...

Dispiace anche a me!
spero che Farly ci ripensi ...
e poi aspetto da Lei ancora la tartarughina:-))

Gillipixel ha detto...

@->Paolo: grazie per la solidarietà, Paolo :-) ...della tartarughina non ti saprei dire, ma di certo Farly è più informata di me sul tema :-)

Ciao Pa', salutàme Cicerò :-)

Anonimo ha detto...

Quello che tu hai narrato assomiglia molto allo stato di abbandono in cui spesso gli essere umani vengono a trovarsi... l'abbandono per esempio lo distinguo dallo strappo che'è qualcosa di peggio l'abbandono . Infatti avviene l' abbandono quando una persona delle due decide di intraprendere un altro percorso diverso dal nostro e questo per quanto ci possa addolorare e per quanto ci possa lasciare un senso di privazione e di solitudine allo stesso tempo ci lascia la speranza che ci siano altri percorsi che un giorno prima o poi potremmo decidere di intraprendere anche noi.... l'abbandono per quanto sia triste doloroso è sempre costruttivo ti lascia solo ma ti lascia la possibilità di costruire proprio perché l'altro sta costruendo lontano da te.... per quanto riguarda lo strappo allora lo strappo invece qualcosa di peggiore lo strappo è quello che causa la morte di uno dei due che vivono insieme perché stanno facendo delle cose insieme nessuno lo vuole eppure qualcosa di più potente separa allontana e abbandona allora sì che in questo non c'è niente di creativo niente che si muove davvero niente che si evolve che cresce a cui tu puoi guardare con materna devozione lo strappo annulla e cancella quello che si è pensato è quello che si vorrebbe fare.. il dolore significa solamente rendersi conto che arriverà anche per noi il momento che non ci permetterà neppure di addolorarcaddolorarci