venerdì 11 novembre 2011

Incipienze zensa senzo


Oggi volevo scrivere un articoletto dedicato agli incipit.
Sarei partito con l’analizzare la bellezza del “principiare” in sé e tutta la carica di energia fascinosa contenuta in tale prerogativa umana.

Principiare a fare l’amore, oppure principiare una storia d’amore. Principiare il primo giorno di scuola. Principiare un’amicizia. Principiare un succulento pranzo, principiare uno spumeggiante boccale di birra. Principiare a farsi una se…una serena pedalata in bici.

Non c’è bisogno di andare oltre nell’elenco per evocare la piacevolezza e la preziosità di simili momenti. Più che piacevolezza, sarebbe meglio dire la condensazione calamitante di ignoto in essi racchiusa. Ogni “principio” è densissimo di tutte le promesse di cui lo vogliamo caricare. E’ per questo motivo che forse ci sta così caro, tanto che, viene da dire, se la vita fosse fatta di soli inizi, probabilmente tutti i problemi ed i crucci umani evaporerebbero via come neve al forno.

Per intenderci su quello che voglio dire, ha molto più sapore di inizio un venerdì sera, che un lunedì mattina. Non dimentichiamo nemmeno che quelle fasi della storia dell’umanità durante le quali nell'aria si è percepito fortemente diffuso un forte sentore di “principiamento”, sono state quasi immancabilmente anche le epoche più positive, ricche di prospettive, epoche dal respiro lungo, cariche di futuro, intensamente saporose di domani.

Cito solo due esempi esaltanti. Uno nel “macroperiodo”: il Rinascimento. L’altro nel “microperiodo”: gli anni ’60. Per capire il concetto in negativo, basta far mente locale ai nostri giorni, così bigi e privi di domani nel sentire comune, giorni durante i quali può anche capitare l’assurdo di vedere condensata la svolta del destino di intere nazioni nel fugace lasso di un fine settimana (la velata allusione a tre monti oppure ad uno, è puramente casuale…).

E’ noto poi come il principiare di un libro, l’albeggiare di un racconto o di un qualsiasi altro modo di affabulazione narrativa, racchiuda in sé non solo un’importanza artistica e poetica fondamentale, ma rappresenti anche uno dei passaggi più densi di magia di tutta una composizione che si stia prendendo in esame. Come vi dicevo, oggi volevo parlare di questo argomento e, partendo da due esempi di incipit leggendari, mi sarebbe piaciuto crearne poi di seguito alcuni miei sperimentali.

Tutto questo volevo fare, ma il fatto è che mi sento piuttosto inaridito.

Anzi, infra-inaridito.

Per cui, mi spiace, riesco a rispettare solo metà del programma, citando i due incipit famosi, ma per la restante parte dei miei buoni propositi, mi limiterò a lasciarmi trasportare dal flusso di una terapica idiozia, creando inizi di racconto demenziali, o perlomeno scritti il più possibile senza pensare, buttando giù frasi che badino più alla sonorità e al ritmo, che non a possibili significati effettivi.

Ho già fatto alcune prove e, vi assicuro, è rilassante. Ve lo consiglio, fate una prova. Non c’è altro da fare che picchiettare sulla tastiera inseguendo una frase strampalata, coniando anche parole inesistenti, se necessario. Dirò di più: apparentemente sembra un’inezia, ma non è poi un’operazione mentale così facile da svolgere. L’urgenza del significare in modo logico, rischia di attirare la mente come dentro a una voragine e alla fine, se accade ciò, il risultato è pressoché insignificante.

Se dopo, alla lettura, traspare una parvenza di significato palesemente voluto, significa che non ci si è lasciati andare nel modo giusto.

Quello che intendo io invece è una sorta di divertissement zen-narrativo, che quasi esige la rinuncia alla ricerca di un senso compiuto, a meno che non si sia in grado di scrivere robe di questo tenore (e non sto nemmeno a dirvi di cosa si tratta, per non fare un insulto alla vostra sapienza letteraria):

«…Qualcuno doveva aver calunniato Joseph K. perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato…».

«…Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio…»

Se invece s’imbrocca per bene la via dello scribacchiare con incoscienza, l’esito che ci si ritrova sulla pagina risulterà di un’insulsaggine pura e preziosa, perché il “plusvalore” non è da ricercare nel prodotto, bensì nel momento creativo stesso.

Si tratta di una sperimentazione che ricorda vagamente la “metasemantica” di Fosco Maraini.

La bellezza della cosa consiste nel fare il surf sulla cresta dell’onda dell’incoscienza, accarezzando quel labile confine che distingue il territorio del significare da quello del tradurre i concetti in suoni. Non bisogna andare troppo a fondo, altrimenti ci si inzuppa il costume di eccessiva significazione, finendo per essere trascinati sotto da una serietà fuori luogo. Ma nel contempo, non si deve prendere troppo slancio dall’energia “nonsensuale” delle ondate, per non finire miseramente spiaggiati sulla dura rena della superficialità fine a se stessa.

Più che metasemantica, facciamo dunque che questa mia si chiami “un quarto di semantica”.

Ecco cosa sono riuscito a strizzare dalle mie meningi fradice di vaccate:

«…Rigurgitando quotazioni lodevoli di sfavorita insulsaggine, mi apprestavo a sviscerare il gibboso nodo, quando incipientemente mi cadde un fuco fra i piedi…».

«…Era seduta ai piedi di un morobombo e non sapeva se ridere o mettersi a sgomentare i passanti…».

«…Con un piede ancora nel mondo e un faduzio già fra le scapole, Bèpi Birthday iniziò quella serata da una prospettiva indubbiamente singolare…».

«…Se in quel tardo pomeriggio riviodario, il fudiboio fosse rimasto al suo posto, tutta questa storia non avrebbe avuto inizio…».

«…Saper diffodare le gabende della giva era sempre stata una delle qualità più riboriose di Frido Svialzi. Ma ben presto si sarebbe accorto che non tutti i fiolzi rispavano di luce propria…».

Ecco, anche per oggi, in fatto di boiate, mi pare di avere dato a sufficienza. Ciao amici, ci risentiamo quando ho sul serio qualcosa da dire. Spero.

4 commenti:

Rosa ha detto...

Sai che sarebbe carino mettere su un blog di incipit? Però senza la regola del nonsense: così come vengono. ("stravol" mi disse - insensatamente - la verifica antispamming del blog di gillipix!)

Gillipixel ha detto...

@->Rosalucsemblog: eheheheh, l'idea non è niente male, cara Rose...magari la possiamo sviluppare :-) stravol capita proprio a fagiolo con i miei incipit, solo una mente stravolta come la mia li poteva concepire :-)

Bacini incipienti :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

Allora, avevo scritto un bell'incipit sui fiolzi luminosi e bombi vaganti... sigh mi ha dato errore e tutto fu perso, ma blogspot dice conjov, cioè prendiamola con gioia e vediamo se ora funziona... bel post gilly molto divertente e di ispirazione.

Bacini a sorriso

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ma porc!!! Mi spiace un sacco, Farly, avrei letto molto volentieri il tuo incipit...io ormai ho imparato, ad ogni commento mi faccio un bel "ctrl C", così se blogspot fa il furbo, gli sbatto un bel salame nei denti, alias gesto dell'ombrello :-)

Grazie, il tuo gradimento mi è sempre molto caro :-)

Bacini ispirati :-)