lunedì 17 settembre 2012

Piccola discesa antica


E’ possibile leggere in un piccolo gesto insignificante tutta la sintesi di un’epoca? Forse un automatismo concettuale diretto in questo senso, risulterebbe lievemente azzardato. Le abitudini, tuttavia, non vanno sottovalutate, anche quelle in apparenza più casuali, perché possono offrire l’insospettato riflesso di un certo modo di guardare al mondo.

La casa vecchia, da me abitata per pochi anni quando ero un bambinetto, aveva davanti un cortile ampio. Questo immetteva, ed immette tuttora, sulla strada che porta alla piazza. Miei cari vicini di casa erano due “antichi” cugini, con le rispettive mogli. Li definisco antichi, perché quando i miei piccoli amici mi domandavano che tipo di parentela ci fosse con loro, mi trovavo sempre un po’ in imbarazzo. La parola “cugino” per me a quell’epoca era riferibile soltanto ad un mio pari età, o al limite a qualcuno con pochi anni in più. Quei due cugini vetusti avevano invece ormai un’età tale da poter essere miei nonni, oppure anche “bis”. Erano una specie di “cugini-nonnizzati” insomma, dei “cuginonni”. Ma come fare per spiegare questo arcano fenomeno ai miei amichetti delle elementari?

Ci ero affezionato, ai miei cugini vecchietti. Un po’ perché erano tipi simpatici, amanti della chiacchiera, ma capaci di misurare le parole, rigorosamente in dialetto. A volte mi facevano arrabbiare, in senso buono, mi canzonavano volendomi bene con un loro speciale modo burbero. Per altro verso, mi erano cari perché in effetti rappresentavano per me dei sostituti alla figura dei nonni, che di fatto non ho mai avuto modo di conoscere per davvero, per vicissitudini che sarebbero ora lunghe da spiegare. E poi, con i loro modi e la loro sapienza popolare d’altri tempi, mi apparivano come componenti di una tribù in via di estinzione. All’epoca, la mia visione di bambino non mi permetteva ovviamente di capire tutte queste cose, ma col senno di poi mi rendo conto che in qualche modo già le intuivo.

La strada che dal nostro cortile porta alla piazza sarà circa di 500 o 600 metri. Proprio il primo tratto, appena usciti dall’aia, per una cinquantina di metri scarsi presenta una lievissima discesa. Attenzione che quando dico lievissima, non esagero: si tratterà di un grado di dislivello a dire tanto. La mia terra normalmente è più piatta di un asse da stiro e se fosse una donna porterebbe la taglia “zero tettonico” di reggiseno, rigorosamente coppa di lambrusco. Le pendenze più forti che si possono vedere da queste parti s’incontrano quando la strada si arrampica su di un argine. Le prime volte che vidi qualche rilievo pre - collinare appenninico, mi stupii fortemente di come si potesse vivere in luoghi simili. Un posto in cui posando una cosa a terra, questa si mette a rotolare, doveva essere un posto dove anche i pensieri scorrono in maniera diversa.

Qualche giorno fa, ho visto una signora anziana compiere un atto, lungo quel piccolo declivio fra la vecchia aia e la piazza, che mi ha riportato subito alla mente come per incanto gli ormai scomparsi “cuginonni” della mia infanzia. La signora percorreva quella strada in bici e una volta giunta all’altezza della fatidica discesina, zac: ha smesso di pedalare. L’impercettibile declivio è infatti sufficiente a far sì che, una volta giunti al suo apice con un minimo di spinta, si possa poi sfruttare l’inerzia, almeno per quei 50 metri scarsi. Per quel piccolo tratto, non serve pedalare: si va pianissimo, ma si va, in virtù del dislivello minimale. Lo stesso identico “modus biciclandi” era appartenuto ai miei cari nonni-cugini. Decine e decine di volte li vidi incamminarsi, anzi, imbiciclarsi verso la piazza e, date due solerti pedalate d’avvio partendo dalla nostra aia, lasciarsi poi accarezzare nelle ruote dalle blandizie della discesina.

Questa tecnica viabilistica d’annata ormai non la pratica più nessuno, e nemmeno la conosce, o la vuol conoscere, più nessuno (giusto ancora qualche sporadica vecchietta). La discesina di per sé, come fatto fisico, è rimasta tale e quale. Insieme allo sfruttamento della blanda velocità della quale sa far dono, sono sparite una certa sensibilità per le cose ed i tempi consoni a quel modo di sentire. Per accorgersi dei possibili favori godibili da quella lieve discesa, bisognava aver condotto una vita a stretto contatto con le cose, aver maturato una “sapienza materiale” molto precisa, con una consapevolezza del presente intensa e preminente.

Non voglio fare un discorso passatista. Anzi. Mi limito solo a registrare un differenziale fra epoche. I miei cugini-nonni hanno avuto vite molto faticose, non se la sono certo spassata un granché. Quando li conobbi potevano contare su condizioni economiche più che dignitose, ma sono certo che da giovani vissero anche momenti di ristrettezze severe, parecchio dure. Il loro modo di guardare la realtà era molto diretto, concreto. Bisognava combinare qualcosa per arrivare a sera con la pancia, non dico piena, ma perlomeno “meno semivuota” del solito. Dalle poche risorse a disposizione era necessario spremere tutto il possibile, e andava fatto “adesso”, con pochi fronzoli di pensieri dedicabili al futuro e senza guardare nemmeno tanto al passato, se non come fonte di esperienza giocabile nell’immediato.

Della realtà, i miei nonni-cugini avevano imparato a sfruttare sino all’ultima stilla. Anche nel caso di un’insignificante discesa. Senza voler con questo evocare assurdi rimpianti per presunte epoche edeniche, di fatto mai esistite, quella discesina ed il modo di affrontarla da parte dei nonni-cugini, non di meno mi pare possano insegnare qualcosa ancora oggi. Insegnano un amore per la saggezza del vivere, basata prima di tutto sul confronto vero, immediato, con le cose. Insegnano a massimizzare le risorse, tema non da poco, nelle ben note condizioni planetarie attuali. Insegnano poi che per conoscere veramente i fenomeni del mondo serve anche una sapienza del tempo, con una grande attenzione per l’attimo presente. Insegnano forse persino che l’inseguimento spasmodico e disperato del tempo, altro non riflette se non l’angoscia nutrita verso l’ignoto della meta.

Ammetto di essere io il primo ad avere mille difficoltà nel mettere in pratica un insegnamento talmente alto. Proprio per questo, stamattina sono “andato a lezione”. Ho voluto ripercorrere la strada per la quale sarò passato milioni di volte in bici, facendolo però stavolta alla maniera dei miei cari nonni-cugini. Non a caso, subito mi sono ritrovato dietro un autotreno scassaminchia ed un altro ciclista “a pedalata continua”, che m’incalzavano. Non mi sono perso d’animo: son sceso un po’ di strada, lasciandoli passare oltre, e una volta giunto al limitare della discesina, ho smesso di far ruotare le gambe, in modo che la bici fosse spinta solo da quell’infinitesimale abbrivio. E per un attimo mi è sembrato di stare ancora seduto sul seggiolino, appeso al manubrio della bici di uno dei miei nonni-cugini, mentre, pur tacendo e senza smettere di risparmiare pedalate, mi raccontava qualche piccola frase saggia sulla vita.


4 commenti:

Marisa ha detto...

E' una storia molto dolce quella dei tuoi cuginonni.
Ogni volta che ritorno indietro nella memoria con i ricordi della mia infanzia mi assale una grande malinconia per il tempo migliore della mia vita perso per sempre.
Io penso che mai nessun presente e nessun futuro possono eguagliare i giorni di grazia della propria infanzia.

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: grazie, Mari...quella di guardare al passato con occhi velati di miele è una tentazione molto forte...spesso mi lascio blandire anche io...però poi mi obbligo a resistere :-) altrimenti diventa impossibile tirare avanti...

Per dire, Proust ci ha fatto su la sua fortuna letteraria :-)

Il presente e il futuro sono meno simpatici, perché non li conosciamo per niente o li conosciamo pochissimo...diciamo che il passato deve esserci di aiuto per conoscerli :-)

Bacini bambineschi :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Molto, molto bello, Gilli! Tenero ed evocativo, ci ho trovato dentro pezzi di vita miei e ricordi.
A profusione.
Bisogna farsi bastare quel che si ha, ai nostri tempi non è poco. Scendere dolcemente quando ci sono le discese, anche lievi...farsi forza con le salite, sorridere e ricordare.
Così non perdiamo nulla della vita.:)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: Grazie mille, Vale, sono contento di essere riuscito a farmi ospite nei tuoi ricordi, con le mie parole :-)

Il confronto con le cose richiede tempo e anche i piccoli dettagli ci insegnano molto, vero...e poi è bello intessere queste mini-trame narrative a partire da ricordi minimali come questo :-)

Forse quegli americani nevrotici di cui hai parlato di recente, se avessero percorso qualche volta quella discesina... :-)

Bacini in discesa :-)