lunedì 19 novembre 2012

Angeli con le surreali


Sono pronto a scommetterci, una caterva simile di freddure non l'avete mai sentita...

Un ometto aveva acquistato un’automobile. Non sapeva cosa farsene, dal momento che non aveva la patente. Era affetto da una rara forma di amnesia a singhiozzo. Ecco perché non gli potevano dare la patente. Non è che non fosse assolutamente idoneo alla guida, in teoria. Ma magari succedeva che, stando al volante, si scordasse di colpo a cosa servono i semafori, oppure come si rallenta la marcia del veicolo e così via.

E questo era niente. Gli capitò persino di comprarsi un'automobile invece di due etti di prosciutto cotto. Si era appunto dimenticato della sua impossibilità autistica, quella volta che infilò la porta di un autosalone, dimenticando nel contempo la finalità stessa degli autosaloni, ben deciso a conseguire finalmente, chissà come mai proprio lì dentro, l’agognata licenza di guida. Nel lasso di tempo dei quattro passi fatti addentrandosi nel locale, anche la dimenticanza del motivo per cui s’era introdotto nel negozio lo colse con inesorabile regolarità. Abbozzando di fronte all'irresistibile blandizia del rivenditore, non gli rimase altro da fare che comprarsi un’automobile.

Il giorno dopo, quando se n’era ovviamente già scordato, arrivò a casa dell'ometto la vettura. Gli omini dell’autosalone erano venuti a consegnarla in grande stile. Stupito, l’ometto dimenticante, conoscendosi, li ricevette in ogni caso di buon grado. Eccezionalmente si ricordava di aver appena guardato nel frigorifero alla ricerca dei due etti di prosciutto cotto che era convinto di aver comprato in mattinata ed intendeva mangiarsi per cena. Non avendo trovato poc’anzi il prosciutto, alla vista degli omini con la vettura, gli ci volle un attimo a fare due più due: doveva aver firmato il contratto all’autosalone, convinto di comprare due etti di qualcosa al bancone self-service di un autosalume.

Questo stato di amnesia a sprazzi gliene faceva succedere di tutti i colori, tanto che avrebbe potuto scrivere un libro intero, raccontando le sue strambe avventure. Peccato che pochissimo dei fatti successi rimanesse depositato nel suo ricordo. Scordandosi spesso le cose che aveva mangiato il giorno prima, faceva ad esempio settimane intere ad abbuffarsi dello stesso piatto. Un'overdose di spaghetti allo scoglio gli procurò un inizio di scoliosi.

C’erano poi periodi in cui le amnesie lo coglievano più di rado. Allora un senso di sconforto calava in lui mentre considerava la sua condizione, dato che gli rimaneva impressa leggermente più a lungo. Si recava allora dal suo dottore. Questi gli ripeteva sempre che “doveva farsi animo”. Era la frase prediletta dal medico: «…Si faccia animo, so che non è un disturbo da poco, ma ci può convivere, si faccia animo…». L’ometto dimenticante si mise di buzzo buono e si fece veramente animo. Si fece molto animo. Si fece troppo animo. Si fece talmente tanto animo, che gli venne una punta di anemia.

Nel condominio dell’ometto dimenticante, viveva una giovane famiglia con un figliolo di una decina d’anni, il piccolo Alberto, bambino non cattivo, ma piuttosto vivace. La mamma del pargolo trascorreva intere giornate a chiamare e rimbrottare il bimbo per qualche marachella o per mille altri motivi: «...E Alberto di qui, e Alberto di lì, e Alberto di su, Alberto di giù...». L’ometto dimenticante non poteva evitare di udire a tutte le ore l’immancabile cantilena tanto che ad un certo punto si fece pure una settimana a letto con l’albertosi acuta.

Un giorno, l’ometto dimenticante conobbe una donna, professione pilota di linea. Era una bella signora sempre elegante, che a furia di attraversare banchi nuvolosi di cirri, soffriva leggermente di cirrosi. Per questo motivo, la donna aveva dovuto prendersi un periodo di riposo. Durante la licenza, per tenersi un po’ impegnata, si era messa a fare vendite porta a porta di sensazioni di volo. Con questo genere di servizio, aveva pensato di andare a coprire quella fetta di mercato occupata dalle persone timorose di salire su un aereo. Il suo insegnante al corso di vendita di sensazioni smarrite, un pasticciere in pensione di Tortona che per hobby coltivava glicine, ripeteva spesso durante le lezioni: «...Anche se la gente ha ormai raggiunto un tasso di glicemia intollerabile, ricordate che il mercato è pur sempre una grossa torta...».


Il primo cliente della donna pilota fu proprio l’ometto dimenticante. Lei suonò al suo campanello, presentandosi nel pieno fulgore di tutta la sua aerea eleganza. «...Chissà...» pensava l’ometto mentre faceva accomodare la signora in salotto, «...ne avrò combinata un’altra delle mie, facendomi carpire qualche firma una qualche volta che mi serviva invece soltanto mezzo chilo di parmigiano...». L’ometto dimenticante non ricordava di aver mai volato in vita sua e nemmeno gli era chiaro se avesse paura o no di viaggiare in aereo. Sta di fatto che con i racconti narrati così appassionatamente dalla signora pilota, gli parve effettivamente di volare per davvero. Lei aveva una voce calda e pastosa, avvolgente, un vero e proprio intortamento con la cigliegina sopra.

L’ometto dimenticante, al colmo del rapimento narrativo e dell’ammirazione, un po’ confuso ed emozionato, voleva ricambiare la signora pilota di tutto quel bene ricevuto attraverso i suoi racconti. Rovistò a suo modo nella cianfrusaglia mnemonica che si ritrovava ed alla fine, il complimento più carino che gli riuscì di tirare fuori fu: «...Ma lo sa che lei è proprio una signora...ecco, come dire: proprio una signora ventosa...». L’amnesia dell’ometto funzionava in maniera imprevedibile. A volte, la consapevolezza gli tornava tutta d'un botto. Allora il ricordo si faceva vivido come l'attimo esatto della marchiatura impressa a fuoco sul posteriore di una vacca nel vecchio West. Era in quei casi che si rendeva irrimediabilmente conto di aver appena pronunciato un'incontrovertibile vaccata. 

Ma il candore e la svagatezza dell'ometto conquistarono la donna pilota. Dopo una frazione di momento in cui fra i loro sguardi corse una leggera scarica di imbarazzo muto, la signora pilota scoppiò in una fragorosa risata, con gran sollievo partecipe da parte dell'ometto a sua volta sorridente. Una volta placata l'impennata di ilare complicità innescata fra i due, la signora pilota chiese all'ometto dimenticante se avesse per caso gradito uscire a cena con lei, qualche sera.

Fissarono per un giorno a caso di uno dei week-end seguenti. Trattandosi dell'ometto dimenticante, la vaghezza dell'appuntamento, oltre ad affascinare tremendamente la signora pilota, era d'obbligo. L'ometto dimenticante, scordandosi regolarmente la nozione di week-end, si presentò in perfetto orario un mercoledì sera. La signora pilota, sempre più affezionandosi all'inaffidabilità dell'ometto, oppure sempre più affidandosi alla sua affettuosità, si vestì in un battibaleno per uscire, col suo solito fare elegante per natura.

Quel loro primo appuntamento si aprì con spettacolare non senso. Camminavano sul marciapiede, immersi cordialmente in una nuvoletta di chiacchiere di ricognizione, quando un gran trambusto si diffuse per la strada. Una valanga gigante di mollica di pane rotolava di qua e di là, rischiando di travolgere tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Un passante, scampato fortunosamente all’impatto, raccontò all’ometto dimenticante ed alla sua nuova amica pilota che si trattava di un fornaio andato completamente nel panico.

A parte questo furtivo interludio iniziale, la serata dell’ometto dimenticante e della sua nuova amica pilota trascorse molto piacevolmente. Una volta entrati nell'elegante ristorante, l’amica pilota, levandosi il cappotto, aveva svelato una scollatura molto seducente. La misteriosa e buia scriminatura del seno era emersa in forma così sferoidale e prorompente che l’ometto si pigliò subito una bella sinusite. Girandogli le spalle per consegnare il cappotto alla guardarobiera, lei era riuscita inoltre a scatenare nell'ometto dimenticante anche una sequela di sensazioni siderali.

Quando si trovava insieme all’amica pilota, l’ometto dimenticante aveva la sensazione che il suo  disturbo mnemonico si affievolisse. Anzi, il suo difetto, mitigato dalla gentile presenza aviatoria di lei, si mutava quasi in pregio. L’amica pilota, con tutto il tempo trascorso fra le ali di tanti tipi di velivoli, aveva sviluppato una leggera forma di alitosi. Stranamente questa caratteristica fisica, in altri contesti non certo esaltante, divenne subito molto cara all'ometto dimenticante. Anzi, in seguito si accorse addirittura che, fra gli ingredienti principali nella ricetta dell'incipiente innamoramento che si andava cucinando negli atri del suo cuore, quell'inusuale aromaticità di fiato divenne uno degli aspetti della signora pilota che non dimenticava mai, trasformandosi in fonte di nostalgia di lei nei momenti in cui non stavano insieme.

L'ometto dimenticante si rimpinzò di due bistecche, scordandosi di averne appena divorata un'altra, ordinò tre primi, perché guardando ad esempio le gare olimpiche in tele, aveva sempre detestato vedere due degli atleti sul podio che ricevevano soltanto l'argento ed il bronzo. E poi parlava all'amica pilota con soavità, inanellando una graziosa serie di piccoli poetici strafalcioni.

Più l'ometto dimenticante si profondeva senza sosta in tale accumulo di stramberie delicate, più nell'animo della signora pilota lievitava il fervente desiderio di ritrovarsi a planare con lui negli sconfinati cieli dell'intimo confronto sensuale.

Come la signora pilota poté felicemente constatare, fare l’amore con l’ometto dimenticante era un’esperienza multiforme, pluricromatica ed incessantemente cangiante. Una volta giunto a tagliare il traguardo di una prima fatica amatoria, l’ometto dimenticante si scordava quasi subito di aver  gustato da pochi attimi i dolci frutti della fusione androgina, ed era pronto a ripartire di nuovo lancia in resta. L'ometto dimenticante non ricordava di aver mai fatto l'amore in modo così intenso e coinvolgente. A dire il vero, non ricordava nemmeno se avesse mai fatto l'amore, prima di averlo fatto con la sua amica pilota. 

Questa serie di circostanze fece sì che al primo decollo, la signora pilota dovette amorevolmente illustrare tutte le modalità di volo all'ometto dimenticante: come si maneggiava la cloche, come si entrava ed usciva dall'hangar, come si comunicava con la torre di controllo, l'utilizzo del carrello nei continui atterraggi e decolli (in modo da non nuocere alla sfericità delle ruotine), quali erano i panorami più suggestivi da sfiorare a volo radente, oppure gli aeroporti più piacevoli nei quali fare scalo.

Ad ogni nuova ascesa in quota, era poi necessario ricominciare la lezione di volo sempre da capo, cosicché di volta in volta lei poteva guidare lui su rotte amorose incessantemente rinnovate e sconfinate. La signora pilota si divertiva poi a canzonare con affetto l'ometto dimenticante, rivelandogli magari, all'inizio di una nuova planata fra le nubi dei sensi, che fare l'amore consisteva nello stare affacciati insieme alla finestra, vestiti solo dalla cintola in su, guardando il cielo spalla a spalla. L'ometto, grazie all'effetto taumaturgico sortito dalla presenza dell'amica pilota, ricordava ormai molte più cose di quante non desse ad intendere. Finse in ogni caso di stare affettuosamente al gioco e dopo dieci o quindici minuti trascorsi alla finestra con l'arietta fresca a tenere in stallo le carlinghe delle pance, girò il capo di lato ed atterrando con uno sguardo a sorriso nel tepore caro del fiato di lei, sussurrò: «...Questa volta mi è piaciuta tanto, è stato molto bello...».

Non fu quella l'ultima volta che fecero l'amore durante la loro prima magica nottata. Mentre la signora pilota meditava che probabilmente non sarebbe più tornata al suo impiego sui voli di linea, dal momento che non avrebbe più potuto ritrovare là emozioni minimamente paragonabili a quelle provate volando con l'ometto dimenticante, fecero ancora l'amore tante altre volte, prima di atterrare addormentati e spossati l'uno sulla pista delle braccia dell'altra. Quando si svegliarono, andò a finire che fecero l’amore persino in una coltre di fiori di loto, certi ormai di potersi infischiare anche del rischio di contrarre l’otite.

Ed ecco come fu che l'ometto dimenticante, pur non potendo guidare l'automobile che aveva in garage, imparò a volare.

8 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

Ma che bellezza, Gilli! Me lo sono letto e riletto e gustato e degustato...che scrittura!!!
Che bravo!!!!:)))))))))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: eheheheheh :-) grazie, Vale :-) sostiene Vittorio Sgarbi che le persone nate nei pressi di fiumi di una certa dimensione sono tutti un po' suonati ed eccentrici (essendo nato anche lui in un paesello fluviale nel ferrarese...)...

In questi giorni, il fiume è salito abbastanza di livello: ecco dunque spiegato il livello del mio raccontino :-D

Grazie ancora tante, Vale: il gradimento di una lettrice e scrittrice raffinata come te mi è molto caro :-)

Bacini degustati :-)

Marisa ha detto...

Non sarà un racconto autobiografico? ;o)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: ehehehehe :-) non saprei, Mari, potrebbe anche darsi...ah, a proposito: cosa significa "autobiografico" :-D

A parte gli scherzi, credo che in ogni cosa che si scrive, ci sia sempre dentro un po' di se stessi: le proprie esperienze a volte, oppure anche solo le proprie speranze, o i sogni, oppure come si vorrebbe che il mondo fosse visto, o altre cose...in questo senso sì, un po' autobiografico lo è :-)

Ciao Mari, grazie per la tua consueta simpatia :-)

Bacini obliati :-)

MR ha detto...

Gilli, è meraviglioso, divertente, fantasioso, e gustosissimo. Sei veramente bravo. I miei complimenti per questo post che ho trovato tra i più riusciti. Un elogio grande alla tua creatività. Baci

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: grazie, grazie, grazie, cara EmRose :-) sei troppo gentile...è sempre molto bello, oltre ad essersi divertiti a scrivere una cosa, ricevere in premio parole così lusinghiere :-) che dette da una persona con la tua arguzia e simpatia, valgono ancora di più :-)

Bacini gustosi :-)

ross ha detto...

Bello ,gustoso , musicale .Mi ricorda una canzone ..VVVVOLAREEeee .oH oh.CANTAREEE OH OH OH . Nel blu dipinto di blu, felice di stare qua SU....... CON TE.(beata lei)
Probabilmente Domenico era in preda a un delirio poeticomusicale ,quando cantava questa canzone .
Che meraviglia!:-)))

Gillipixel ha detto...

@->Ross: grazie, cara Ross, per il tuo delizioso commento...non avevo pensato a Modugno, però ti devo dire che s'intona benissimo in effetti, allo spirito della mia favoletta :-)

E' una favoletta più che mai irreale, visti i tempi che corrono, ma ogni tanto può venire in mente di pensare scenari rosei anche se quelli veri non lo sono affatto :-)

Bacini siderali :-)