martedì 25 giugno 2013

E intanto Ulisse splende ancora


 
Di epifanie libresche ho parlato tante volte. Meno spesso, ho fatto riferimento a suggestioni incrociate che possono scaturire dal contributo di varie forme dell’espressività artistica.
 
Stavo rivedendo alcuni giorni fa qualche frammento di un film che apprezzai molto ai tempi della sua uscita al cinema. Sto parlando di «Shine», la commovente storia del pianista David Helfgott, piuttosto romanzata, a quanto pare, nella fattispecie cinematografica. Non è però della qualità del film che voglio parlare in questa occasione, ma di una bella epifania incrociata e retroattiva, dal film stesso agevolata.
 
Antefatto filmico: dopo anni di travaglio psicologico, rispetto al quale il suo tormentoso rapporto con la musica ha avuto gran parte in capitolo, tanto da condurlo addirittura a trascorrere un lungo periodo in una casa di cura per disturbi mentali, Helfgott riesce finalmente ad uscire dall’istituto e sta cercando faticosamente di riprendersi in mano il bandolo della sua matassa esistenziale. Ora vive in un piccolo appartamento, dove ha a disposizione un pianoforte verticale, che però può suonare solo poco tempo al giorno, un po’ perché così gli hanno raccomandato i medici, un po’ perché il padrone di casa, pur essendo persona gentile e a modo, è musicalmente un buzzurro, e non apprezza il suono dello strumento, che tra l’altro gli ha anche chiuso a chiave, concedendoglielo col contagocce.
 
Risultato: Helfgott si aggira per le strade della cittadina australiana dove risiede, come un lupo famelico di pianoforti. Tutte le sere, “sgolosia” come un matto un bel piano che intravede dalla vetrina nella sala di un bar-ristorante (voce del verbo “sgolosiare”: è una parola del mio dialetto che vuol dire “invidiare”, “anelare”, desiderare come un buon cibo succulento; la utilizzo qui, perché non trovo in italiano nessun corrispettivo in grado di rendere l’idea in maniera altrettanto vivida e colorata).
 
Ad un certo punto, si giunge alla scena topica. Una bella sera, in preda ad un’irresistibile crisi di astinenza pianofortistica, come un forte fumatore a secco di nicotina (anche se a onor del vero, di sigarette ne pippa a volontà), Helfgott brancica una fagottata di spartiti e si precipita di gran carriera nel locale. Approfittando della distrazione dei proprietari e degli avventori, ai quali è ormai familiare come lo scemo del villaggio, si siede alla chetichella davanti alla tastiera e comincia ad assettarsi per suonare.
 
Ed ecco scattare qui un meccanismo narrativo che l’uomo ha iniziato ad adottare fin dalla notte dei tempi, forse nel momento stesso in cui si accorse di essersi appassionato al piacere del raccontare e del sentirsi raccontare storie. Potremmo definire questo meccanismo l’«agnizione sbaraglia-fessi», oppure il «disvelamento gaudente del gran figo nostro». Esso prende le mosse dalla complicità fra il narratore (in questo caso il regista del film) ed il lettore (in questo caso lo spettatore): entrambi conoscono alla perfezione le potenzialità di talento sovrumano in possesso del nostro eroe, giusto nell’ambito in cui è chiamato a darne un saggio in questo momento. Anzi, per far sì che l’effetto riesca al meglio, è necessario che regista e spettatore siano i soli a sapere delle gran doti del protagonista, tutti il resto del mondo sulla scena ne deve essere all’oscuro. Non solo: l’esplosione rivelatoria riuscirà proprio alla perfezione, tanto più il protagonista è reputato una mezza calzetta senza speranza.
 
L’altro ingrediente indispensabile è poi l’intervento del coglionazzo provocatore di turno. Costui, nel gioco delle parti così innescato, normalmente personifica tutta la negatività possibile e immaginabile. La molla necessaria a fa scattare l’artificio narrativo è impersonata in questo caso da “un interdetto” fra gli avventori, il gran tronfione saccente che si mette a sfottere Helfgott in maniera veramente bieca, da vero super bullo da bar.
 
Ci sono allora tutti gli elementi utili a far scatenare l’effettaccio: Helfgott nel pieno fulgore della sua imbaranataggine, un uditorio che nel migliore dei casi lo compatisce, il “so-tutto-me” sguazzante nel suo brodo di boria, e la complicità fra narratore e fruitore della storia, che quasi non stanno nella pelle all’idea di quanto succederà di lì a poco, intendendosela alla grande e facendosi emotivamente  l’occhiolino narrativo.
 
Ora la molla è caricata ben bene e quando la tensione della “goduria pregustata” è tirata al massimo, vai col liscio, via libera alla rivelazione liberatoria! Helfgott non fa quasi a tempo a posare un polpastrello sui tasti, che già si subodora aria di esecuzione magistrale. Infatti, dopo un velocissimo ghirigoro di riscaldamento che è già di suo un mezzo capolavoro, si produce in una versione del “Volo del calabrone” di Korskov talmente bella e travolgente da far separare gli ingredienti nei cocktail in mano a tutta quella massa di etilisti dei clienti del bar.
 
Quasi neanche da dire, nel corso della memorabile esecuzione, le inquadrature sulle facce degli astanti si sprecano, e nel locale è tutto un risuonare di mascelle cascate a terra. Ma l’apoteosi del gaudio supremo è ottenuta indugiando sull’espressione di quel gran «fàcia da merda» dello sfottitore iniziale (scusate il francesismo, ma lo uso per rendere il giusto stato d’animo dello spettatore in quegli attimi di vendetta morale di ordine superiore), il quale non provava un’umiliazione così cocente dalla volta che trovò sua moglie a letto con tre idraulici.
 
La scena si conclude con applauso oceanico finale e gran ritirata del coglionazzo, giustamente condannato alla presa per il culo eterna. E lo spettatore gode come sette ricci.
 


 Facciamo ora un salto indietro di parecchi secoli.
 
Scena: reggia di Itaca, un’isola sperduta da qualche parte nell’Egeo. Il padrone di casa, tale Ulisse, è appena tornato da vent’anni di guerre e smaronamenti non da poco, a zonzo per mezzo mar Mediterraneo. Per vie traverse è venuto a sapere che un manipolo di giovinastri delle famiglie nobili del circondario (i Proci) stanno cercando di impalmarsi sua moglie Penelope. Non paghi, si stanno pure pappando tutto il pappabile dei suoi beni e proprietà. Ulisse, con la complicità della dea Atena, si presenta sotto le mentite spoglie di un vecchio mendicante. Prima di gustarsi l’agognata vendetta sugli usurpatori, anche qui il lettore viene caricato ben bene di sete di rivalsa. Ogni sorta di umiliazione viene appioppata ad Ulisse, re titolare, da quella massa di mangiatori ad ufo, che non lo riconoscono. Insulti, beffe, persino una sgabellata sulla schiena, tirata da uno dei più tronfi fra di loro, Alcinoo. L’ira di Ulisse monta sotto la cenere come un geiser islandese, e nel frattempo noi al di qua della pagina ci diamo di gomito con Omero, senza risparmiarci sorrisetti d’intesa sotto i baffi, immaginando già come andrà a finire.
 
Come tutti sapranno poi, quando infatti Omero ritiene che la misura sia colma, lascia aperta la diga della rabbia odissea, e dei Proci non rimarranno che misere polpette.
 
Di secoli ne sono passati, quindi, ma l’«agnizione sbaraglia-fessi» (anche nota come «disvelamento gaudente del gran figo nostro») come stratagemma narrativo continua a funzionare benissimo. Quello che ho portato io, con la citazione della scena del film «Shine», è solo un piccolo esempio, ma se fate mente locale a mille altri film o storie note, vi verranno in mente altrettante occasione in cui il meccanismo è stato usato.
 
Avrei voluto poi parlare ancora di una curiosa parentela fra Don Chisciotte e i moderni fumetti. Ma per oggi s’è fatto tardi e credo di essermi dilungato ormai anche troppo, per cui vi do appuntamento magari ad una prossima puntata di parallelismo fa espedienti narrativi delle diverse epoche.


6 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

Bellissimo post, Gilli! che guduria!!!:)))))
1) Adoro "Shine" e il suo interprete, specialmente quando dice la frase (cito a memoria, forse male): mi piace sempre dare un bacio ad un bel micione", è un gattofilo strambo, è uno di noi!!! e
2) Adoro Ulisse by Omero o by qualsivoglia regista abbia raccontato la storia, tipo, l'altra settimana era Kirk Douglas che menava e squartava come un matto. Poco da fare, il multiforme ingegno che è scomparso cercando l'avventura perché non voleva limiti mi manda in solluchero.:)))))
Bello, bello, bello e gustoso come la Pasta alla Norma.:)))))))
E anch'io me la godo come sette ricci (più tre idraulici) quando il coglionazzo di turno se ne va con le pive nel sacco, abbasso tutti i coglionazzi bulli del pianeta! Forever and ever!!!;)))))))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: ehehehehhehehe :-) grazie Vale, col tuo commento entusiasta mi fai venire voglia di rileggere subito l'Odissea :-)

Concordo, la storia di Ulisse te la possono raccontare in mille salse, ma è sempre avvincente...ho capito a quale versione ti riferisci, ne ho visto delle scene, il vecchio Kirk è davvero un fustaccione adatto per il ruolo :-) e qui ci sarebbe da aprire tutto un sottocapitolo sui film mitologici degli anni 50 e 60, che sono tutto un mondo, spesso di pacchianeria spacconesca :-) ma a volte riservano anche qualità e in ogni modo hanno creato tutto un loro immaginario particolare (di sicuro le azioni dell'industria della cartapesta schizzarono alle stelle all'epoca :-)...e poi, quei film sono una conferma della bontà della storia di Ulisse: la puoi raccontare in mille forme, ma ti calamita sempre, ti affascina, non c'è niente da fare...

Poi c'è la versione strepitosa in forma di sceneggiato, della fine anni 60, con la Irene Papas nel ruolo di Penelope...la vedevo da bimbetto, in b/n sulla rai...allora la capivo poco, ma mi trasmetteva un senso del mistero incredibile...di tanto in tanto si rivede su raistoria, anche in questo periodo la stanno dando, mi pare...

Poi, dopo anni e sapendo quasi tutto dell'odissea pur non avendola mai letta, la scorsa estate mi sono sbarbato il tomo
tutto d'un fiato :-) bellissimo, lo devo rileggere prima o poi...
e anche l'iliade


Non ricordo di preciso la frase del film che citi...stavolta ne ho rivisto solo un pezzetto e la mia memoria filmica è un colabrodo :-) però anche senza quel dettaglio, si vede che il personaggio è egli stesso un gatto fatto e rifinito :-)

Ad ogni modo, sì, è un gran bel film, anche se si abbandona un po' a certi effetti "viscerali", che vanno a ravanare proprio nell'intimo dello spettatore :-)
Quando un regista fa così, diciamo che gli piace vincere facile, bonsi bonsi bo bo bo :-)

Se ci badi, il 70% dei film americani campano su questo effettaccio che ho cercato di illustrare, che nell'uso fatto da Omero rappresenta l'atto fondante di uno dei fondamentali narrativi di ogni epoca; usato in shine risulta un artificio delicato e assai godibile, ci sta tutto...ma usato da Steven Seagal, Chuck Norris e Stallone diventa la fiera degli sbragapapere :-) anche se devo confessare che spesso lo perdono anche a loro (ebbene sì, ho rivisto 20 volte "Trappola in alto mare" e lo riguardo ogni volta che ripassa su Rete4 :-D

Le stesse storie di Tex Willer, mio stra-adorato fumetto del cuore, dono per lo più basate su questo marchingegno narrativo.

Tra le altre cose, scrivere questo articoletto mi è servito a sapere che il bellissimo brano che ho riportato alla fine è di Vivaldi :-) chi l'avrebbe detto! :-) è uno dei brani che vedendo il film mi ha sempre affascinato da matti, ma non mi ero mia interessato di sapere di chi fosse...

Ciao Vale, grazie :-)

Bacini mitologici :-)

Vanessa Valentine ha detto...

L'Ulisse di Bekim Fehmiu! lo sceneggiatone lo vedevo anch'io con i miei, mi piaceva da morire, Polifemo mi spaventava da matti...visto adesso sembra davvero pauperistico ma era comunque ben fatto, senza nessun effetto digitale e quindi molto autentico.
Se ti interessa la prospettiva di Penelope, puoi leggere "Il canto di Penelope" di Margaret Atwood, molto bello. E' la storia del mito vista dalla prospettiva femminile ma Ulisse ci fa comunque un figurone, anche se è un pochetto controverso.:)))))
Poi, riguardo all'espediente narrativo da te citato, probabilmente funziona così bene perché già col mito ci eravamo abituati al disvelamento dell'eroe e alla figura di palta del mona di turno che dapprincipio lo umilia e poi viene cazziato...si vede che in cuor nostro ci rivaliamo contro tutti i mona di turno che nella vita ci vengono tra i piedi, con quella sicumera e il sorrisetto che gli spegniamo sui dentoni, potendo.;)))))))))
"Trappola in alto mare" non l'ho mai visto, ma comprendo il tuo sentire...Seagal o Norris hanno facce inespressive come Moai dell'Isola di Pasqua, si vede che sono rilassanti e catartici in qualche maniera strambotta che ci piace...;))))))))
Bacini norrissiani!:)))))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: Grazie per il suggerimento letterario, Vale, lo terrò a mente :-)...

Sì, lo sceneggiato dell'odissea visto con gli occhi di adesso appare molto minimale, ma forse è perché siamo stati fuorviati dall'immaginario dei colossal e polpettoni mitologici vari, dai mille effetti speciali, il 3d e mica il 3d...questo qui invece credo seguisse la lezione pasoliniana, esegeticamente più attento a quanto riguardava la fedeltà all'opera...altro che 3d :-)

Il fatto che abbia rivisto varie volte un film con quel gran pezzo di "attorone" di Seagal :-) la dice lunga sulla forza di questo stratagemma narrativo :-) lo sentiamo molto nostro, è un meccanismo che abbiamo dentro...

Insomma, "Trappola in alto mare" è una boiata clamorosa, ma qualcosa mi spinge a vederlo :-) e credo sia proprio il vecchio meccanismo omerico :-)

Bacini omerici :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Non dirlo a me! Ho visto "2 single a nozze" (The wedding crashers" almeno 20 volte! E' una boiatona ma Vince Vaughn è enorme ed adorabile, e Will Ferrell è il solito pazzo...una pietra miliare!;))))))
Baci cinematografici!:)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: le boiatone sono fondamentali, Vale :-) l'importante è essere sempre consapevoli che ci si trova di fronte alla boiatona :-)...a volte sono davvero catartiche :-)...vanno accanto a meccanismi emotivi facili, e ci fanno stare bene per un po'...se è quello ciò che ci serve al momento, perché no? :-)...

Fra le mie preferite (ma forse chiamarle così è un'offesa), ci sono anche due piete miliari del cinema, i due episodi di Trinità :-) li potrò rivedere per sempre, milioni di volte, non mi stancheranno mai :-)

Bacini svagati :-)