venerdì 23 agosto 2013

Augusting cosy and warm


 
I giorni trascorrono agosteggiando attoniti ad ascella semi-tonica, mentre io continuo a non aver nulla da scrivere. 

Rovistando in un armadio alla ricerca di una cosa che regolarmente non ho trovato, mi sono imbattuto invece in alcuni vecchi disegni realizzati al tempo delle scuole medie. Di solito cerco di rifuggire queste “operazioni nostalgia”, del tipo passare in rassegna vecchie foto in bianco e nero, oppure rimirare oggetti e giochi dell’infanzia. Mi portano troppo lontano, a volte non reggo l’impatto ricordante, che mi sdrucisce l’anima, così se proprio proprio decido di mettere in moto un revival del genere, devo sentirmi dell’umore adatto.

Il disegnetto in questione però mi è quasi capitato fra i piedi, causandomi peraltro un moto di tenerezza discreto, e parecchi sorrisi. Non sono mai stato tanto portato per il disegno, ma mi è sempre piaciuto un sacco provarci. Qualcosa combinavo, ma da lì a poter dire che avessi un qualche talento vero con matita e pennarelli in mano, ce ne passava parecchio. Al di là dei miei limiti grafico-compositivi tuttavia, la molla principale che mi ha sempre spinto ad avventurarmi nel fatato mondo della creazione manuale d’immagini, credo sia stato sempre quel senso di “investimento fantasioso” concesso da questa operazione. Le figure che riuscivo a tirare fuori erano per me dei potenti mezzi di “fantasticheria applicata”. In quei quattro scarabocchi potevo vederci dentro tutti i miei mondi preferiti, lì si realizzavano le cose più “armonicamente compiute” che riuscissi ad immaginare.

Non sto parlando di fantasticherie irrealistiche, tipo omini verdi con le antenne sulla capoccetta ad uovo, oppure chimere dal pelo fucsia duellanti con draghi convenzionati alla mutua di Roncisvalle. No, le mie fantasie si addentravano più che altro in ambiti “iperrealistici”. Nel senso: il disegno per me era uno strumento per vedere un’altra realtà ulteriore, una realtà più reale di quella che avevo sotto gli occhi ogni giorno, possibilmente meno imperfetta. Che poi le mie immagini risultassero ampiamente imperfette e sgangherate, questo è un altro discorso. Il punto era la quota di immaginazione che potevo concedermi mentalmente di infondere in quei pochi tratteggi malsicuri: quella era illimitata, senza confini.
 

Osservando il disegno ritrovato, mi sono accorto che presenta tantissime della caratteristiche tipiche del mio “codice immaginifico” di allora. Proprio nel periodo delle medie, mi specializzai in ometti nerboruti. Sempre “in virtù” dei miei limiti grafici, ogni volta che mi accingevo a tratteggiare una figura umana, e anche se magari le mie intenzioni erano tutt’altre, non c’era verso: mi veniva sempre fuori un bulletto muscolare, mezzo para-culturista della domenica.

Mai che mi riuscisse di fare una figura esile, gentile, dai tratti aggraziati. Sempre e soltanto bicipiti ipertrofici, pettorali da peso massimo, cosce da tiratori di fune provetti. Ormai avevo raffinato il mio tratto su quella modalità grafica: l’omino muscolettato mi usciva dalla matita quasi in automatico, come fosse un cliché utilizzato dalla zecca per battere moneta.

Credo ci fossero vari motivi per spiegare questa mia iper-specializzazione iconografica. Da una parte, il mio imaginario figurativo era molto influenzato dai fumetti. Fantastici 4, Dare Devil, Uomo Ragno, Zagor, Thor: tutta gentaglia dal muscolo vivace, che ho mangiato insieme al pane fin dalla più tenera età. Per di più, va aggiunto che il mio ideale grafico derivava anch’esso da uno dei personaggi “dialoganti a sbuffo” a miei più cari: Alan Ford, ovviamente nella versione disegnata dal grande Magnus. Il tratto di Magnus mi affascinava nel profondo, con quelle sferzate di china nerissime ed inequivocabilmente marcate, a segnare zigomi, menti, mascelle e curve muscolari.

La mia realtà immaginata era dunque costellata di forzuti dai muscoli levigati e formalmente impeccabili? Beh, sì, in un certo senso sì. Anche perché, per altri versi, questa mia ipotetica energia grafica trasfigurante, andava ad ovviare e compensare alcuni miei lievi crucci fisici, da sempre segretamente rimuginati. Anche se poi negli anni qualche chiletto assestato nei punti giusto son riuscito a metterlo su, da piccolo sono sempre stato magrolino e spilungone, con muscoletti agili e scattanti sì, ma alquanto parchi dal punto di vista volumetrico. Ecco allora che nella mia realtà disegnata, i muscoli si sprecavano, ed in quel mondo parallelo, i protagonisti erano tutti dei mezzi cinghialotti pronti a fracassarti sei falangi con una virilissima e fraterna stretta di mano.

Però, nonostante tutta la buona volontà che ci mettevo, le mie magagne di disegnatore erano pur sempre in agguato, pronte a riaffacciarsi ad ogni tentativo. Ecco dunque perché, quando mi capita di andare a rivedere con lo sguardo di adesso quei miei lontani abbozzi grafici, mi si disegnano in volto ampi sorrisi di tenerezza. M’intenerisce soprattutto l’ingenuità di quelle composizioni, mi ritorna alla mente la “purezza” dell’epoca, la freschezza mentale incontaminata di tutte quelle mie incursioni nel mondo della fantasia.

In questo disegnetto ritrovato, rendevo omaggio al mio periodo di infatuazione per il pattinaggio. Ovviamente, nella realtà concreta, i miei erano pattini a rotelle, di quelli da allacciare alle scarpe da ginnastica, e mai in vita mia avevo visto una vera pista, tanto meno di ghiaccio. Le mie evoluzioni le potevo fare al massimo nel corridoio di casa, oppure su qualche spiazzo di asfalto rugoso.

Nel mio disegno invece, ovviamente, si pattina su una comoda e spaziosa pista di ghiaccio. Il protagonista è senz’altro iper-muscolato, nel modo strano che le mie possibilità tecniche mi consentivano di realizzare. E’ rigido in modo quasi semi-comico, gli arti non sono inseriti con un vero e proprio quadro armonico nella figura intera del corpo, ma sembrano quasi fare ciascuno parte a sé, appiccicati l’un l’altro, quasi fossero stati scagliati con la fionda. La gamba sinistra, il tronco e la testa sembrano formare un unico monolite compatto, dritto come un fuso; le braccia sono innaturalmente tese, come quelle di un soldatino assai impettito; mentre la gamba destra sembra stata piantata nel resto della figura con un mazzuolo.

Sullo sfondo, con due semplici righe, una perfettamente orizzontale e quella sotto obliqua, avevo reso un accenno di prospettiva. Ma la cosa più buffa sono i due slogan che avevo piazzato a decoro di quel muretto o palizzata che dir si voglia: «W l’inverno» e «W il pattinaggio». Non vi so spiegare bene il motivo, ma anche considerando tutto quello che ho conosciuto, studiato, imparato, letto, vissuto dopo, il misto d’ingenuità e di indifesa fiducia verso il mondo, scaturente dall’immagine di quel lontano bimbetto capace di scrivere due simili semplicità, mi commuove non poco. Che poi, tenuto conto del livello di idiozia raggiunto nel frattempo dalla pratica pubblicitaria, se proprio vogliamo dirla tutta quei due miei antichi slogan non sfigurerebbero neanche tanto nel demenziale scenario odierno.

Un altro dettaglio mi ha parecchio intenerito, e poi chiudo: le bandierine che sventolano dal bordo della palizzata, le avevo rigorosamente campite con una bipartizione fucsia e arancione, in abbinamento col costume del pattinatore, e mi ero preoccupato di alternare i due colori, mettendo ora l’uno nella parte vicina all’asta, ora in quella lontana, e così via. Diavolo di un mini-Gillipix!!!

Va beh, cari amici viandanti per pensieri: per oggi avevo da dirvi solo queste piccole boiate. Intanto che mi viene davvero in mente qualcosa da scrivere, io continuo ad agosteggiare questi scampoli di mese.


2 commenti:

Marisa ha detto...

Anch'io da ragazza amavo disegnare ma la cosa che mi riusciva meglio era la copiatura, ero maestra in questo, riuscivo ad ottenere copie quasi identiche ma quando mi mettevo a disegnare a mano libera ero un'altra persona.
I tratti erano insicuri e brutti, quasi come se perdessi ogni stimolo e la fantasia si svuotasse.
Qualche tempo fa rovistando in una cassa nel garage ho trovato tanto materale scolastico che ho buttato tutto al macero perché per me il passato è come un film già visto, inutile ricordare, troppo nostalgico,
Il tuo disegno mi ricorda una tua scultura di qulche mese fa. A proposito, che fine ha fatto la tua vena scultorea e le tue cronache su notizie impossibili?
Bacini creativi,

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: probabilmente il tuo è l'atteggiamento più saggio, cara Mari, è inutile tenere lì dei fardelli di ricordi che appesantiscono l'oggi :-) ma in questo son troppo mollaccione (...va veh, fosse solo in questo... :-) non c'ho cuore di sbattere via i miei vecchi scarabocchi, però cerco di andarli a vedere il meno possibile, appunto per i suddetti motivi :-)

Hai ragione, c'è una certa affinità con la mia sculturina del batman semi-ligneo, molto carino da parte tua aver fatto questa annotazione :-)

La vena scultorea è un po' in stand-by, avevo abbozzato un'altra sagoma sperimentale, ma per ora è lì a decantare in attesa che mi venga l'ispirazione su come farla evolvere...spero di poter fare presto un resoconto :-)

Grazie anche per avermi ricordato la rubrichetta delle notizie impossibili, hai ragione, la devo rispolverare anche lei :-)

Bacini a mano libera :-)