Mi sto avventurando con molto diletto nei meandri narrativi di una delle più affascinanti storie della letteratura di tutti i tempi: la trilogia del Signore degli Anelli (tradotto dal Gillipixilandese all’italiano: sto leggendo il Signore degli Anelli). Pur rispettandolo “a distanza”, mi ero sempre astenuto dall’affrontare questo libro. E’ una cosa capitata già con altri classiconi. Non è che li ritenga indegni: tutt’altro. Ma uno strano istinto mi suggerisce per lungo tempo di non azzardare il confronto. Poi viene un momento che mi pare essere quello giusto, e allora sento che l’ora della lettura è arrivato. Non sempre ci azzecco, ma il più delle volte è così.
Per dire, ho comprato «Guerra e pace» ed è rimasto a maturare nella mia libreria per quindici anni prima che mi decidessi a leggerlo. Sorte simile è toccata a «Don Chisciotte», «Moby Dick», «Sulla strada», «Cent’anni di solitudine», «L’educazione sentimentale», «Passaggio in India» e vari altri. Tutti libri che in seguito mi hanno regalato grande appagamento culturale.
E lo stesso sta succedendo con il gran librone di Tolkien. Di fatto me lo sto proprio gustando. Ma mai mi sarei aspettato di ritrovare in quelle righe che slalomeggiano alla grande fra avventure di Hobbit, Elfi, Orchi e Nani, un passaggio super-epifanico che sembra esser stato scritto per riassumere in estrema sintesi la situazione sociale e politica italiana degli ultimi decenni.
Sentite un po’ cosa si legge a pagina 308 della mia edizione del libro (Quarta edizione “Bompiani Vintage”, giugno 2013):
«..."E’ necessario che la strada sia percorsa, ma sarà molto difficile. Né la forza né la saggezza ci condurrebbero lontano; questo è un cammino che i deboli possono intraprendere con la medesima speranza dei forti. Eppure tale è il corso degli eventi che muovono le ruote del mondo, che sono spesso le piccole mani ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove”...».
C’è una domanda che mi vado ponendo ormai da diversi anni: come abbia fatto l’Italia, nonostante l’inenarrabile sequela di “disgrazie dirigenziali” attraverso le quali è incappata, diciamo grosso modo dal 1965 in poi (azzardo una data, ma probabilmente si può andare indietro anche di più), a non affondare nelle sue stesse miserie come il più reietto degli Stati europei e mondiali. Una possibile risposta l’ho trovata nelle parole che Tolkien mette in bocca al nobile Elrond, durante il grande consiglio deli Elfi: se l’Italia, tutto sommato, può chiamarsi ancora, con il minimo indispensabile di dignità, “una nazione”, è stato grazie al lavorio anonimo delle «...piccole mani...» spesso spronate «...ad agire per necessità, mentre gli occhi dei grandi...» erano inesorabilmente «...rivolti altrove...». E se l’Italia riuscirà a tirarsi fuori da questo ennesimo periodo di sofferenza che sta attraversando, sarà forse ancora una volta per il fatto che i deboli, come sempre, avranno intrapreso il cammino con la medesima speranza dei forti.
2 commenti:
Carissimo Gilli, sempre delicato quando affronti certe tematiche, hai perfettamente ragione, la nostra bella Italia è sorretta solo dallo spirito di sacrificio e di generosità nonché di responsabilità di un popolo solare e creativo che a dispetto delle malefatte dei suoi governanti riesce a sopravvivere con tanta dignità.
Bacini nazional popolari.
@->Marisa: grazie del tuo bel commento, cara Mari :-) eppure, neanche io sono tanto sicuro della mia analisi :-) nel senso: di certo per molti aspetti è così, ma per altri versi c'è anche il fatto che forse una delle forze dell'Italia risiede anche in una delle sue più grandi debolezze...mi riferisco a quella sorta di anarchismo creativo che pervade la nostra società, che è al tempo stesso fonte di divisione e di unione...cosa che forse rende impresa molto ardua, il governare una simile nazione...mah...di certo c'è una cosa: l'Italia rimane sempre un gran bel rebus :-)
Bacini enigmistici :-)
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