Ed eccoci giunti ad un nuovo appuntamento con “Le muse di Kika van per pensieri”, rubrichetta settimanale “gemellata”, nella quale Kika vi riveste i personaggi delle opere d'arte, mentre io invece cerco per essi un possibile volto noto tratto dalla, più o meno, attualità.
Stavolta la scelta di Kika è caduta su uno dei più inquieti e tormentati autori della storia dell'arte, l'austriaco Egon Schiele (Tulln 1890 – Vienna 1918). Più precisamente, parliamo di un'opera di Schiele del 1917, il ritratto intitolato “La moglie dell'artista seduta”.
Se nella scorsa puntata ci siamo avventurati nell'universo «impressionista» con Marie Bracquemond, oggi passiamo totalmente al di là della barricata. Anche se l'operazione di classificazione per correnti e scuole è sempre un po' artificiosa e forzata (soprattutto nel caso delle grandi personalità creative), possiamo dire che l'opera di Schiele si può inquadrare per sommi capi nella grande famiglia dell'«Espressionismo» tedesco.
Mi affido come di consueto alla limpidezza espositiva di Giulio Carlo Argan, mia guida imprescindibile in queste mini-escursioni nel mondo dell'arte: «...Letteralmente, espressione, è il contrario di impressione. L'impressione è un moto dall'esterno all'interno: è la realtà (oggetto) che s'imprime nella coscienza (soggetto). L'espressione è un moto inverso, dall'interno all'esterno. E' la posizione antitetica a quella di Cézanne, assunta da Van Gogh. Nei confronti della realtà, l'Impressionismo manifesta un atteggiamento sensitivo, l'Espressionismo un atteggiamento volitivo, talvolta anche aggressivo..».
Egon Schiele si forma nell'ambiente artistico viennese di inizio Novecento, assorbendo linfa creativa sia dalle raffinatezze grafico-pittoriche di Klimt, sia dalla cruda lezione espressionistica di Kubin e Kokoschka. Nelle sue opere, sia per quanto riguarda le tematiche, sia da un punto di vista tecnico-espressivo, Schiele indaga a fondo le più angoscianti inquietudini dell'esistenza. Erotismo e morte si fondono nei suoi soggetti in un abbraccio spesso straziante e al limite del maniacale, senza mancare tuttavia di sfociare a tratti in inattese ed anarchiche radure dell'animo, rischiarate dalla luminosità straniante di un senso di irresponsabile tenerezza. Schiele è quasi ossessionato dai corpi, suoi soggetti preminenti. La morbosità con cui si attarda ad esaminare persino i dettagli fisici più intimi si confonde quasi con una sorta di ingenuità sensuale primitiva.
Suo strumento espressivo privilegiato è la linea nera molto marcata, che si assottiglia e diviene contorta ed incisiva come una sorta di “filo di ferro grafico” (per non dire un'«ideale filo spinato»), ad avvolgere e quasi ad imprigionare le figure ritratte. Su questo elemento nettissimo di demarcazione si gioca tutta la tensione espressiva di Schiele, in una concezione della vita sempre intesa sul filo dei suoi drammatici estremi.
Altrettanto drammatica e tormentata fu la vita di questo artista. La sua ricerca creativa sempre al limite, gli costò varie condanne per immoralità, pornografia e corruzione. L'esistenza stessa di Schiele si chiuse in modo drammatico e precoce: venne stroncato a soli 28 anni d'età, dalla terribile epidemia di febbre spagnola, che fece centinaia di migliaia di vittime in tutta Europa, sul finire degli anni '10 del Novecento.
E veniamo a questo punto all'indagine di un possibile volto noto da assimilare a quello del soggetto ritratto nel dipinto di Schiele. Come sempre, la similitudine che sono andato a stanare non presenta caratteristiche strettamente “fotocopiative”. Trovare ogni volta un viso identico sarebbe impresa molto ardua e forse impossibile. Le somiglianze che propongo sono invece sempre allusive, forniscono un richiamo, un'analogia ideale, un'assonanza “per tipo fisiognomico”.
E adesso, dopo essermi parato il fondo-schiena anche per questa volta, vi rivelo il volto scelto. Per ironia della sorte, è un personaggio molto legato al sacrosanto diritto “Johnny-Stecchinesco”, da me invocato spesso a beneficio del lettore poco convinto, sempre libero di poter dichiarare: «...Non le rassomiglia pe' nnniente!...».
Ma "...santa Cleopatra!..." Sì! E' proprio lei, Nicoletta Braschi. Forse stride un po' l'idea che in genere si ha di questa attrice, quasi sempre impegnata in ruoli comici al fianco del marito Roberto Benigni, se rapportata all'espressione malinconica del personaggio del quadro. A ben guardare però, i tratti caratteriali da lei solitamente impersonati tendono sempre ad una svagatezza e ad un'evanescenza alquanto indefinite. Allora per questa volta, oltre ad indicare il volto della Braschi, voglio anche circostanziarlo in uno specifico personaggio da lei interpretato, ossia l'impalpabile e fragile figura della professoressa di «Ovosodo», film di Paolo Virzì del 1997. Non che l'immagine che vi presento sia tratta da quel film: è più un richiamo ideale a quel personaggio.
E anche per oggi è tutto, cari amici viandanti per pensieri: appuntamento alla prossima puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”.
4 commenti:
Ma che bello! Hai approfondito benissimo i caratteri di Egon Schiele e della sua pittura, come mai io avrei saputo fare. Schiele non l'ho studiato quasi per niente a scuola; mi ha sempre provocato un misto di fascino e repulsione perciò non l'avevo mai indagato, preferendo altri artisti a me più cari. Grazie a queste rubriche sto scoprendo io stessa molte cose interessanti. E poi Nicoletta Braschi... "le rassomiglia eccome" (volendo rigirare la frase Johnnystecchinesca ;) Persino l'acconciatura sembra identica!
Anche questa volta il tuo post si conferma "l'altra metà della mela" del mio, ti propongo un brindisi virtuale per sancire la nostra alleanza :)
@->Kika: ehehehhee, evviva, Kika, grazie!!! :-) Brindo volentieri, questa "estetica alleanza" si rivela sempre più divertente, un gioco bellissimo :-) Ti dirò, anche io non mi esalto un granché con Schiele...quella sua morbosità a tratti spaventa...se dividiamo genericamente la storia dell'arte nelle due categorie contrapposte dei "tormentati" dalla vita (Es.: Munch), e dei "meravigliati" dalla vita (Es. Ingres), tutto sommato prediligo in genere questi ultimi...
Però allo stesso tempo, il grande fascino dell'arte sta anche nel darti la possibilità di indagare insieme agli artisti ogni risvolto dell'animo umano, ogni piega della vita...è questa la magia dell'arte...
Così, è bello poter approfondire un po' di tutto...di Schiele tra l'altro vidi casualmente una mostra 3 o 4 anni fa a Palazzo Reale a Milano...ero andato per la bellissima mostra sulla cultura giapponese (una delle più belle che abbia mai visto) e fra le mostre collaterali, c'era anche Schiele...poi ancor più tempo fa, vidi alla tele un film vecchiotto, dedicato alla sua vita...
Insomma, è sempre bello attingere tasselli di conoscenza da tutte le fonti che ci si presentano...va tutto nel nostro piccolo repertorio del sapere, ci arricchisce e ci rende persone migliori (o almeno questo è l'intento :-)
Ciao Kika, grazie ancora, a prestissimo per nuove sfide estetico-vestiario-fisiognomiche :-)
Bacini con brindisi :-)
E' vero, l'arte è il miglior specchio e megafono delle nostre emozioni... che possono altalenare tra sponde opposte. Hai citato Munch: lui per esempio tra i tormentati è sempre stato il mio preferito, e non capivo come poteva piacermi con la stessa intensità anche Renoir... poi ho realizzato quanto sopra :) È così anche con la musica, a volte siamo affascinati da melodie malinconiche o pezzi darkeggianti, altre da voci e suoni solari. Giorno e notte convivono in noi come nel mondo. Wow, stamattina hai tirato fuori il mio lato filosofico! :))
La tua definizione dei due tipi di artisti è bella e centrata, da bignami dell'arte: ad Argan gli faresti un baffo ;)
Cin cin!
@->Kika: sì, proprio così, Kika...in ciascuno risiede un lato oscuro, l'arte ci aiuta anche in questo senso: ci mette in guardia, ci prepara a non rimanerci troppo male, quando magari un bel giorno ce ne accorgiamo :-)
Per passare un attimo all'ambito musicale: io ho "imparato" molto ad esempio dai Doors (ho messo un loro video perché come Schiele li considero esploratori dell'inquietudine umana), dai Velvet Underground e da Lou Reed, dagli Smiths...non sono certo degli allegroni :-) ma hanno saputo toccare corde effettive, reali, vere...
Per questo, ferme restando le predilezioni personali, le affinità elettive che sentiamo di nutrire per questo o per quell'artista, è sempre importante rimanere in ascolto, non precludere mai nessuna strada...a patto, ovviamente, che l'autore in questione abbia veramente cose da dire...se no, il discorso cade ancor prima di avere inizio :-)
Ehehehhe :-) grazie, mi fa tanto piacere se riesco a suggerirti riflessioni e farti filosofare un po' :-)...parlare d'arte è una cosa al tempo stesso difficilissima ma anche molto semplice :-) da una parte, è importante documentarsi, sapere cos'hanno detto i grandi studiosi, coloro cha hanno passato vite di approfondimento su questo grandioso argomento...ma dall'altra parte, c'è anche questa magnifica opportunità data a ciascuno, di lasciare la propria sensibilità a briglia sciolta, facendo tra l'altro in questo modo il più bel riconoscimento che si possa dare all'artista stesso...perché sono convinto che ogni artista, quando si mette a lavorare ad una sua opera, magari anche inconsciamente, ma pensa sempre come suo primo obiettivo al fatto di arrivare al cuore ed alla mente di più individui umani possibili :-)
Cin, alle nostre nuove sfide! :-)
Bacini a briglia sciolta :-)
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