venerdì 28 febbraio 2014

Le muse di Kika van per pensieri: dizionario deromantico


Questa settimana, per motivi “operativi”, la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri” si presenta in modo un po' anomalo. Diciamo che per una volta facciamo un'eccezione. La scelta di Kika è caduta su un dipinto che non dava adito alla ricerca di un volto famoso dell'attualità ("Ragazza sul ponte della nave", del pittore americano Maurice Prendergast), per cui vi rimando senz'altro all'interessante proposta di moda ed arte fatta da Kika sul suo blog, e se vi va, vi invito a leggere quello che mi è venuto in mente per l'occasione, tra l'altro non necessariamente legato a questioni artistiche intese in senso più strettamente tipico.

La settimana di Kika è stata ispirata un po' tutta al tema del mare d'inverno ed anche il suo intervento su moda e pittura va in questa direzione. “Il mare d'inverno”, come ha ricordato Kika, è il titolo di una bella canzone di Enrico Ruggeri.

Avevo già parlato tanto tempo fa di come le parole e i motivetti delle canzoni a volte si insinuino nella mente in misura veramente molesta e, come terribili cagnetti tignosi, persistano col mordere il polpaccio dell’immaginazione, tornando imperterriti ad angariare lingua e palato, i quali quasi non possono fare a meno di ricalcare in modo ossessivo note e sillabe in questione.

Funziona così: senti alcuni secondi di una canzone alla radio, alla tele, oppure leggi distrattamente il suo famoso titolo da qualche parte e zac!...il fatidico contagio è innestato. Da qual momento in poi la devi cantare e ricanticchiare, di fatto, o anche solo mentalmente. L'impulso è irrefrenabile, e non riesci a placarlo se non dopo parecchie ore di lieve rimuginar canoro interiore.

Una cosa del genere mi è successa leggendo l'espressione “il mare d'inverno”, citata da Kika. Da quell'attimo, ho avuto Enrico Ruggeri direttamente trapiantato nel cranio come una protesi melodica. La cosa più buffa di questo fenomeno, mi succede dopo un bel po' di tempo di reiterazione mentale delle parole del motivetto. Ad un certo punto, sento il testo talmente frusto e ritrito in testa e sulla lingua, che questo si anima di vita propria, e finisce per distorcersi in stranissime varianti verbali senza senso.

Potrà sembrare la solita gillipixata irrilevante, ma non dimentichiamo che quella che potremmo definire come “spontaneità linguistica” è una delle tematiche più care ai surrealisti. Fra le sue teorie, Andrè Breton (Tinchebray, 1896 – Parigi, 1966) parla di “automatismo psichico”, riferendosi al libero affiorare allo stato conscio di parole casuali, lasciate scaturire senza intermediazione razionale e senza il filtro di una selezione intenzionale. Gli esperimenti di “scrittura automatica” proposti dai surrealisti conservano intatta la loro modernità e sono particolarmente affascinanti, anche perché ciascuno ha la possibilità di confrontarsi con questo tipo di curiosa pratica. Basta mettersi davanti ad un foglio con una penna in mano, o ad una pagina word bianca, e cominciare a scrivere ogni parola od espressione che passa per la mente, senza pensare minimamente al significato, o addirittura, affidandosi alla sola sonorità delle sillabe risultanti, magari creando dal nulla neologismi fatti di puro suono verbale.

Ci ho provato alcune volte, e la cosa, rivisitata in modalità gillipixiana, risulta alquanto divertente (almeno per me...). Improvviso un esempio al volo: «...Il berigullo smircofonico demirzinava estrobeppo e cingualloso nel feriluvento delle gardibuone sicomeritevoli...» e così via.

Ma tornando alla canzone “Il mare d'inverno”, come ben saprete ad un certo punto i versi del testo recitano: «...questo vento agita anche me...». Ed ora preparatevi a fare una gentile ghignata, perché dopo ore di biascicamento mentale, ecco come si sono mutate quelle parole nella mia testa: «...questo vento “rogita” anche me...». Non ha nessun senso, ma lo trovavo molto buffo, con quel suo vago riferimento a questioni edili-notaril-catastali che meno sentimentali di così non si potrebbe, e sono certo che lo stesso Breton in persona sarebbe stato fiero di me.

In generale, a partire da questo leggiadro episodio di “spontaneismo verbale”, mi è venuto da riflettere su un'altra questione sempre legata alle canzonette. Come si sa, molte canzonette (forse non quella di Ruggeri, d'accordo) sono spesso il trionfo della futilità pura, un inno spudorato al “banalismo” romanticheggiante più ritrito. La cosa suona quasi sempre molto fasulla, ma la forza della musica spesso riesce a passare sopra a tutto, tanto che non ci facciamo quasi più caso a certe boiate melense talvolta spacciate attraverso una bella melodia. Però la mellifluità viene intanto assorbita, e probabilmente questo finisce per influire sulla sincerità dei rapporti fra le persone. Ecco allora che dilaga un romanticismo di maniera, s'insinua nelle menti una visione sentimentalistica di bassissima lega, che tutto ammanta di un velo falso e verbalmente attaccaticcio (invece che in falsetto, è proprio il caso di dire: canzoni cantate in falsotto...).

A questo punto, l'«automatismo psichico» di Breton non figurerebbe più soltanto come una stravagante sperimentazione artistica, ma potrebbe funzionare come vero e proprio antidoto a questo ozioso meccanismo, un genuino strumento adottabile per una sana “deromanticizzazione” della realtà. Volete mettere quanto ci guadagnerebbero, ad esempio, i rapporti fra due persone che si amano, se invece di dichiararsi a vicenda uno dei soliti ritornelli da repertorio stantio, tipo «...amore, sei la luce dei miei occhi...», optassero invece per un ben più franco e pirotecnico «...amore, vieni qui che ti rogito tutta...»? E lei di rimando: «...Sì, caro, mi piaci tanto quando sei così estrobeppo e cingualloso...».

Nel rinnovare così l'appuntamento ad una prossima, più canonica, puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”, rimane da domandarsi cosa c'entrasse tutto questo col dipinto scelto oggi da Kika. Assolutamente nulla, ma questi sono i piacevoli rischi che si corrono andando liberamente per pensieri.



5 commenti:

Kika ha detto...

Gilli, con questo post tieni davvero fede al nome del tuo blog: il girovagare della mente da un concetto ad un altro saltando in libertà, secondo percorsi anche strambi ma sempre con una loro logica. E tieni fede pure al Surrealismo (di cui c'è sempre un gran bisogno, ma pare faccia paura ai più :)
Ho sorriso a leggere il tuo flusso di coscienza (e il rogito poi...! :)) e mi è anche tornata la voglia di riprovarci anch'io: anni fa ci avevo provato e lo trovo un atto molto liberatorio. Un po' come ricreare verbalmente il meccanismo dei sogni notturni. Però la mia mente non era arrivata a partorire parole nuove, mi sa che tra noi due un posto a tavola con surrealisti e futuristi lo meriti più tu ;) Non perdere mai questo tuo dono (e l'allenamento)!

Kika ha detto...

Riguardo le melensaggini musicali hai proprio ragione: non a caso è da tanto che non sento un pezzo che mi piaccia. Le nuove leve della canzone italiana mi sembrano tutte su quel genere... Ma forse ci sono anche tesori nascosti, non voglio fare di tutta l'erba un fascio :)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: grazie, Kika, sono contento che tu abbia aprezzato anche questa mia divagazione dal sentiero principale :-) pensa che è successa una cosa un po' strana, a contorno della realizzazione di questo scritto...quando l'ho terminato e pubblicato, fra me e me pensavo: "...Bon, questa è la volta buona che la Kika mi commenta: ma che diavolo ti sei fumato?!?!?..." :-) invece, nel giro di poco, mi capita una coincidenza molto curiosa: leggendo l'inserto del Corriere del venerdì, Sette, ci trovo un articolo relativo a questo libro:

http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/libro/7261_in_poche_parole_la_felicita_heritier.html

Il libro tratta appunto dell'uso "giocoso" delle parole :-)

Te ne riporto uno stralcio (ho usato l'OCR online, se ci sono piccole imprecisioni ortografiche non è colpa mia :-)...lo riporto nel commento seguente, perchè quella meraviglia dell'avanguardia tecnica di blogspot non accetta più di tot caratteri :-)

Gillipixel ha detto...

@->Kika:

----------

Per arricchire il mondo basta cambiare significato alle parole

Dimenticate il vocabolario. Fate come i bambini e divertitevi a dare un senso diverso al nome delle cose. Alla fine del gioco, sostiene l'autrice di quest nuovo, sofisticato saggio, potreste scoprire la felicita


All'apparenza e solo un gioco. Facile, per di piùa, perche c'e una sola regola da seguire: lasciar andare a briglie sciolte la propria creativita. Funziona cosi: si prende una parola, una qualunque, e le si trova un significato diverso da quello comunemente accettato e condiviso, che si puo trovare in un dizionario. Attenzione, però, il significato alternativo non deve essere scelto a caso. Deve scaturire spontaneo da un'emozione, una reminiscenza, un'esperienza, da un'immagine che riaffiora alla luce dal fondo della nostra coscienza. Un esempio? Prendiamolo da "In poche parole la felicita" (Rizzoli), il nuovo libro di Francoise Heritier appena arrivato in libreria in Italia e gia un successo in Francia. "Estetista" (persona specializzata nella cosmesi, secondo il vocabolario), dice l'autrice (antropologa, allieva ed erede di Claude Levi-Strauss, una farniliarita con popoli e culture africane, va detto), per lei significa an gran dispiegamento di biancheria alla rinfusa. E, ancora, "anacoreta" (un eremita che si dedica alla contemplazione) e qualcuno che porta il gregge al pascolo e indossa grosse brache. Adesso provate voi a giocare con queste due parole, o altre, se preferite. Sicuramente, scommette Heritier, scoprirete il senso segreto che hanno per voi e solo per voi. «Sono intimamente convinta che ciascuno di noi nasconda un piccolo tesoro di parole riconfigurate a proprio esclusivo uso e consumo», afferma l'autrice. Suggerendoci, per capire il senso del gioco al quale ci sta invitando, di fare un passo indietro verso la nostra prima infanzia, quando esisteva per noi solo la lingua parlata e le parole avevano il gusto, e lo stupore, della scoperta. «Se io pronuncio la parola "casa" un adulto immagina immediatamente un palazzo, grande o piccolo, di mattoni o di legno, comunque una costruzione, e insieme vede la parola scritta. Nel bambino, cosi come in tutti i popoli analfabeti - ovvero l'umanita intera, un tempo -, la stessa parola, priva di una forma scritta, scatenera la liberta creativa, la capacita innata di dare un senso a partire dai suoni».
II ruolo della scrittura. Sembra facile, no? Invece è difficilissimo, può riuscire - e allora sara bellissimo - solo a patto di lasciarsi andare al flusso di emozioni e ricordi, senza paura di per-dere le certezze che la scrittura e ii linguaggio codificati ci danno. «La scritturaa», dice Heritier, «ha regalato agli uomini una strabiliante capacità di immagazzinare, conservare e trasmettere conoscenze e di comunicare con altri esseri umani, anche lontanissimi nello spazio e nel tempo. Ma in questo modo ha incanalato in una forma preferenziale contenuti che potevano venire trasmessi anche altrimenti. II che si traduce in una perdita, perche finiamo per recepire nei suoni che ascoltiamo soltanto ciò che la scrittura ha dotato di senso. Per difficile che sia, proviamo allora a lasciarci andare, a recuperare la facoltà infantile di dare un senso diverso al suono...

------------

Gillipixel ha detto...

@->Kika: ecco, alla fine mi sono sentito rincuorato ed ho concluso: "...allora non sono così suonato come pensavo..." :-)

Ciao Kika, alla prossima rubrichetta gemellata :-)

Bacini surreali :-)