Dopo averlo diverse volte preso come termine di paragone per esemplificare un certo “estremismo estetizzante” sviluppato a partire dagli stilemi della corrente impressionista, oggi la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri” ospita finalmente il pittore Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931). L’opera scelta da Kika, intitolata “L'ultimo sguardo allo specchio” (1874), ben esemplifica il linguaggio e la poetica dell’artista ferrarese.
Giovanni Boldini, dopo un periodo di formazione giovanile nella sua città natale, frequentò l'Accademia di Firenze, dove entrò in contatto con lo stimolante ambiente dei macchiaioli, affinando una particolare sensibilità verso le principali novità culturali europee. Nel 1867 compie un primo viaggio a Parigi, dove s'interessa in modo particolare all'opera di Courbet e Manet, spostandosi in seguito anche a Londra, e assorbendo qui influenze dalla ritrattistica inglese tardo settecentesca. Dopo un nuovo periodo italiano, nel 1871, Boldini ritorna a Parigi che da allora diventa la sua città d'adozione. I suoi soggetti prediletti diventeranno le scene di vita quotidiana cittadina (le folle in movimento, il teatro, il dinamismo di passanti e cavalli lungo le vie della capitale francese) e i ritratti delle signore più in vista della società mondana.
Boldini rappresenta, nel “bene” e nel “male”, un fenomeno interessante nell'ambito degli sviluppi della storia dell'arte. A questo proposito, è utile riprendere un po' il discorso fatto nella precedente puntata, riguardo al formarsi del concetto moderno di artista. Riporto di nuovo un passo della citazione presa dall'interessantissimo testo di Larry Shiner, “L'invenzione dell'arte” (2001):
“...La vera opera d'arte non mira mai a un risultato: né a stimolare le emozioni, né a insegnare una dottrina, né a migliorare i costumi. Soltanto quando le persone avranno rinunciato a ogni strumentalizzazione e sapranno esercitare «un libero, disinteressato apprezzamento della pura apparenza», allora in esse avverrà «l'inizio autentico dell'umanità»...”.
Questo era l'intento che si proponevano di perseguire gli impressionisti, sviluppando le novità del loro rivoluzionario linguaggio pittorico. Giovanni Boldini finì invece per approdare esattamente a ciò che un'opera d'arte intesa in senso moderno non dovrebbe essere. I suoi ritratti di gran dame alla moda miravano infatti principalmente al preciso risultato di stimolare emozioni pure, pressoché completamente avulse da qualsiasi considerazione profonda sul senso della vita e del mondo.
Il gesto pittorico impressionista, passando per le setole del pennello boldiniano, si svuota di ogni pretesa conoscitiva e diventa quasi esclusivamente virtuosismo che mira ad un effetto emotivo fine a se stesso. Scrive in merito Giulio Carlo Argan (“L'arte moderna – 1770-1970” - pag. 208): «...[Giovanni Boldini] si formò a Firenze con i macchiaioli, dando prova di un talento precoce e brillante; dal '70 lavorò prima a Londra e poi a Parigi, diventando in breve il ritrattista alla moda, pieno di estro e di eleganza, ma incapace di vedere nell'arte degli impressionisti, di cui fu amico, più che una tecnica “moderna”, al servizio di un virtuosismo grafico-cromatico sorprendente e affascinante, certo, per la sua spregiudicatezza, ma mirante infine a riannodare la nuova pittura ad una storia che non era la sua, e cioè al Settecento di Watteau, di Fragonard, del Tiepolo e del Guardi...».
La figura di Giovanni Boldini (al pari di quelle di altri artisti suoi contemporanei, come ad esempio lo scultore francese Gustave Rodin, o il pittore svizzero Arnold Böcklin) introduce un certo tipo di “ambiguità culturale” connessa all'idea di “artista-personaggio”. Dice ancora Argan (pag. 256): «...L'artista-personaggio ha una sua ragion d'essere: incarna la vocazione artistica, che la ricca borghesia industriale è sicura di possedere, ma di dovere suo malgrado sacrificare all'imperativo categorico degli affari. Gli artisti di chiara fama si dichiarano generalmente avversi alla borghesia capitalista, non già per ragioni ideologiche, ma perché la loro anima bella è turbata dal materialismo degli affari; senonché è proprio la borghesia che li vuole antiborghesi, un po' perché ha il senso di colpa, un po' perché trova comodo delegare agli artisti le cose dello “spirito” di cui non ha davvero tempo di occuparsi...».
Scrive inoltre Umberto Eco a pagina 111 della sua opera “Apocalittici e integrati” (già citata in questa rubrichetta): «...il quadro di Boldini rappresenta il tipico caso di inserzione di stilemi colti in un contesto incapace di conglobarli...».
Come si può vedere dunque, l'opera di Boldini assume una sua importanza per aver introdotto, seppur indirettamente, diverse “questioni artistico-filosofiche” che sono poi nel tempo divenute sempre più evidenti nello scenario contemporaneo del “consumo estetico di massa”. Se l'arte non può porsi come “esperienza totale” della nostra vita, si tramuta allora forse in poco più di un angusta stanzetta in cui poter riporre e lenire aspirazioni frustrate, frammiste all'ansiosa coscienza dettata dal vivere un'esistenza che non desideriamo? L'esperienza estetica rappresenta allora soltanto una riserva dell'animo, una parentesi esistenziale, in cui siamo liberi di assaporare un'emotività fine a se stessa, in forma di risarcimento delle altre dimensioni meno esaltanti del nostro quotidiano?
Sono questi gli interrogativi che, anche grazie a Giovanni Boldini, possono sorgere spontanei nel corso di una personale riflessione, magari mentre ci si ritrova ultimi di una coda di tremilaseicentoventidue persone, snodata di fronte all'ingresso del rinomato museo, oppure della sede in cui è allestita la grande mostra temporanea di capolavori del celeberrimo autore.
Ed eccoci giunti al consueto esperimento di indagine fisiognomica, applicato nella fattispecie al personaggio ritratto nel quadro di Boldini. Il volto della signorina boldiniana mi ha evocato due bellezze vintage del cinema di casa nostra, che in qualche modo, per la storia artistica personale e per come si sono andate a depositare sotto forma di personaggi nell'immaginario comune, vagamente si sintonizzano con la leggerezza dello spirito del “boldinismo”.
Questa è Isabella Biagini, apprezzata icona sexy di qualche lustro fa, ma anche cabarettista versatile e brava imitatrice.
Abbiamo qui invece il volto arcinoto di Sandra Milo, che tra le altre cose è stata persino “icona felliniana” in due importanti pellicole del maestro riminese, ossia “8½” (1963) e “Giulietta degli spiriti” (1965), che le valse un “Nastro d'argento” come miglior attrice non protagonista nel 1966.
Si conclude così questa puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”. E adesso faccio un salto da Kika, per vedere come ha “riboldinizzato” l'odierno soggetto dal punto di vista dell'abbigliamento, col suo tocco kikesco inconfondibile.