venerdì 9 maggio 2014

Le muse di Kika van per pensieri: Charles Sprague Pearce (1851-1914)

Passata la festa (e scrupolosamente gabbato lo santo), ritorna la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Oggi Kika è andata a scovare un altro autore non molto noto, l’americano Charles Sprague Pearce (Boston, 1851 – Auvers-sur-Oise, 1914), e in particolare ha preso in esame una sua opera intitolata “Cogliendo denti di leone” (“Gathering dandelions”), del 1881.

Nato da facoltosa famiglia bostoniana, Charles Sprague Pearce ebbe modo di crescere in un ambiente molto stimolante dal punto di vista culturale e creativo. Suo padre era un mercante d'arte di successo specializzato in opere orientali, soprattutto cinesi, mentre il suo omonimo nonno, Charles Sprague, viene annoverato fra i poeti americani d'inizio '800 di una certa notorietà.

L'esperienza artistica di Charles Sprague Pearce si sviluppò prevalentemente in Francia, dove dal 1873 il pittore andò a vivere. Vi sembra forse di avere già sentito questa storia da qualche parte? Non è un caso: molti fra gli artisti di fine '800, e diversi anche di quelli da noi incontrati nelle precedenti puntate, andavano a formarsi a Parigi, a quell'epoca fulcro dell'avanguardia creativa mondiale, se così possiamo dire. Nell'ateleir del maestro Léon Bonnat, Charles Sprague Pearce ricevette un'impostazione improntata allo spirito accademico. Sviluppò successivamente un personale interesse verso una certa tendenza esotica, molto in voga in quegli anni, alimentata anche da suoi viaggi e soggiorni in Egitto e in Algeria.

L'espressività di  Charles Sprague Pearce, pur presentando aspetti d'impatto emotivo assai evidente, è pienamente allineata con la tradizione (qui, e poi ancora qui, potete ammirare due belle carrellate di sue opere). Nei suoi quadri si leggono chiaramente le influenze di Millet e Corot, per fare solamente due nomi eclatanti.

Al di là dei pochi dati d'interesse critico da menzionare a proposito di questo artista, stavolta sono particolarmente a corto di idee. Allora mi permetto soltanto una paio di piccole aggiunte, prima di passare direttamente ad esporre i risultati delle mie indagini fisiognomiche effettuate per l'occasione. Il tema di Kika per questa settimana è rappresentato dai denti di leone, simpatici fiorellini dalla cangiante foggia giallo-piuminata. M'è sovvenuto di aver scritto, ormai un po' di tempo fa, un articoletto riguardante proprio questi umili ma eleganti esponenti del mondo floreale. Nel caso vi andasse di visitare quel mio antico scritto, ve lo segnalo volentieri. 

L'opera di Sprague Pearce mi ha altresì suggerito una similitudine poetica. Forse risulterà un po' azzardata e i più pignoli storceranno il naso, ma in qualche modo, passando in rassegna velocemente i quadri di questo autore statunitense, mi è venuta spontanea alla mente la figura di un artista suo connazionale, più vecchio di lui di circa una generazione: Walt Whitman (1819-1892). Voglio riportare questo brano tratto dal capolavoro di Whitman, “Foglie d'erba” (1855), che, non so come mai, mi è parso particolarmente in sintonia con la “vis estetica” del nostro pittore di oggi:

«...Che cos'è l'erba? mi chiese un bambino, 
portandomene a piene mani; 
Come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che cosa sia. 

Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione, 
fatto col verde tessuto della speranza. 

O forse è il fazzoletto del Signore, 
Un ricordo profumato lasciato cadere di proposito, 
Con la cifra del proprietario in un angolo sicché 
possiamo vederla e domandarci di Chi può essere

O forse l'erba stessa è un bambino, il bimbo generato 
dalla vegetazione. 

O un geroglifico uniforme 
Che voglia dire, crescendo tanto in ampi spazi che in strette fasce di terra, 
Fra bianchi e gente di colore, 
Canachi, Virginiani, Membri del Congresso, 
gente comune, io do loro la stessa cosa e li accolgo 
nello stesso modo. 

E ora mi appare come la bella capigliatura delle tombe. 

Ti userò con gentilezza, erba ricciuta, 
Forse traspiri dal petto di giovani uomini, 
Che avrei potuto amare, se li avessi conosciuti, 
Forse provieni da vecchi, o da figli ghermiti appena fuori dai ventri materni, 
Ed ecco, sei tu il ventre materno. 

Quest'erba è troppo scura per uscire dal bianco capo delle nonne, 
Più scura della barba scolorita dei vecchi, 
E' scura per spuntare dal roseo palato delle bocche. 

Oh nonostante tutto io sento il parlottio di tante lingue, 
E comprendo che non esce dalle bocche per nulla. 

Vorrei poter tradurre gli accenni ai giovani morti, alle fanciulle, 
Gli accenni ai vecchi e alle madri, ai rampolli ghermiti ai loro ventri. 

Che cosa pensate sia avvenuto dei giovani e dei vecchi? E che cosa pensate sia avvenuto delle madri e dei figli? 

Vivono e stanno bene in qualche luogo, 
Il più minuscolo germoglio ci dimostra che in realtà non vi è morte, 
E che se mai c'è stata conduceva alla vita, e non aspetta il termine per arrestarla, 
E che cessò nell'istante in cui la vita apparve. 

Tutto continua e tutto si estende, niente si annienta, 
E il morire è diverso da ciò che tutti suppongono, e ben più fortunato...».
Ed eccoci ai volti noti da me stanati. Devo dire che si è trattato di una ricerca interessante. C'era la sfida ulteriore di dover partire da un soggetto ritratto di profilo. Ho trovato questo viso della ragazza intenta a raccogliere i denti di leone, altamente evocativo. Sicuramente mi ha suggerito anche volti di ragazze o donne “comuni”, in cui mi sono imbattuto di persona chissà quando e chissà dove. 

La prima ipotesi cade sul viso di un'attrice comica, nota per essere apparsa in numerose fiction televisive ed anche egregia protagonista del teatro italiano:
E' la simpatica Maria Amelia Monti.

La seconda similitudine che mi è parso di intravedere fa invece riferimento ad una grande e sfortunata cantante, famosa soprattutto a partire dagli anni '70, per le sue interpretazioni al tempo stesso potenti e ricche di sensibilità:
Non c'è quasi bisogno di dirlo, si tratta della bravissima, indimenticabile, Mia Martini.  

Chiudo poi con una terza proposta di somiglianza, che è al contempo una lieve ciurlata nel manico, e vi spiego subito il perché:
Bella forza, mi si farà osservare, questa è la sorella di Mia Martini, niente meno che la Loredanona Bertè nazionale...eh va beh, lo so che son trucchetti da detective fisiognomico di bassa lega, ma a me pareva che ci stesse bene e così l'ho aggiunta.

Si conclude qui anche questa puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”...e adesso faccio subito un salto da Kika, per scoprire le sorprese modaiol-artistiche che ci ha riservato per l'occasione...



2 commenti:

Kika ha detto...

Andando per pensieri hai unito alla pittura l'arte della poesia: scelta particolarmente azzeccata, con quei versi che rispecchiano la semplicità della natura e del momento immortalato da Sprague Pearce. Bravo Gilli, ogni volta ci stupisci con qualcosa di nuovo! Le somiglianze poi sono giustissime, e poco importa che due di loro siano sorelle: d'altronde non potevi mica fare torto all'una o all'altra, i lineamenti sono quelli per entrambe ;)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: ehehhee, anche questa sfida è stata divertente, Kika :-) stavolta mi son venute meglio le somiglianze e un po' meno la parte "critico-tuttologica" :-) ma va beh, l'importante è parlare d'arte, conoscere nuovi autori, confrontarsi con la bellezza :-)

E' un momento che Sono particolarmente piatto in fatto di idee :-) ma poi mi passa, non temere :-)

Alla prossima rubrichetta :-)

Bacini e piumini :-)