venerdì 19 settembre 2014

Le muse di Kika van per pensieri: il Tintoretto (1519-1594)

Questa settimana, per motivi vari, non ce l'ho fatta ad uscire in contemporanea con Kika e col suo articolo su moda e pittura. Cerco di rimettermi in pari con una puntata “in contumacia” della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri” (“in contumacia” non sarebbe espressione corretta, ma mi piaceva usarla un po' alla maniera di Totò). 

Stavolta Kika ha scelto un titano dell'arte: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (Venezia, 29 aprile 1519 - Venezia, 31 maggio 1594) e in particolare la sua opera intitolata “Ritratto di donna vestita all'orientale” (1560). Inutile dire che ci sarebbe da scrivere per otto anni di fila. Tante interessanti notizie su Tintoretto e su questo suo quadro, le trovate nel bell'articolo di Kika. Io proverò a dire due cose sul Manierismo, il periodo storico-artistico nel quale si è soliti includere la figura del grande pittore veneziano.

Tra Rinascimento e Barocco, si insinua una manciata di decenni (a cui è stata appiccicata appunto l'etichetta di “Manierismo”), importantissimi per l'evoluzione della storia dell'arte in senso moderno, ma non sempre tenuti nella dovuta considerazione. Consultando un po' le mie fonti, ho trovato una bella, ma non casuale coincidenza con le cose dette la settimana scorsa, riguardo a due autori moderni. L'urgenza di racchiudere l'infinito nella finitezza dell'opera d'arte (questione così fortemente sentita da  Matisse e da Picasso), trova nel periodo del Manierismo uno dei suoi massimi momenti di esaltazione. Il Manierismo introduce quei motivi d'incrinatura rispetto alle certezze rinascimentali, che rappresentano al tempo stesso un'anticipazione della “crisi” del successivo periodo Barocco.

Mi spingo oltre: il Manierismo in qualche modo anticipa il dubbio cartesiano circa l'effettiva sussistenza di una realtà esterna al nostro pensiero (la scoperta dell'America e la sempre più diffusa consapevolezza circa le più recenti conoscenze astronomiche, avevano inferto un duro colpo alla pretesa della figura umana come fulcro portante del senso dell'universo).

L'arte del Rinascimento aveva inteso operare una sintesi idealizzante del mondo osservato, nel nome di un classicismo ancora possibile. Il Manierismo spezza il preteso equilibrio fra realtà e pensiero, raggiunto dall'arte rinascimentale, e ripiega su un'interiorità problematica, combattuta, multiforme, contraddittoria per certi versi. Per il Rinascimento, l'imperfezione delle cose veniva nobilitata passando attraverso la sublimazione del pensiero. Col Manierismo, si smarrisce la fiducia in questa operazione, mentre si va formando il concetto moderno di un “individuo” preso nell'incessante ed ineludibile confronto con la propria singolarità di “soggetto esistente”.

Nel Rinascimento, il pensiero pensa ancora il mondo. Col Manierismo, il pensiero tende sempre più a pensare se stesso, e alle proprie questioni intime. Raffinando ancor più il ragionamento: da un periodo in cui l'arte dialoga ancora con la realtà (Rinascimento), si passa ad una fase storica in cui le problematiche dell'arte divengono esse stesse argomento di meditazione artistica (Manierismo). La lucida e luminosa sintesi rinascimentale, deflagra nelle infinite tessere di quell'inesauribile ed interminabile mosaico che prende a diventare il mondo, osservato attraverso la nuova lente d'ingrandimento manierista.

I concetti che ho tentato di riassumere sopra, sono detti in forma più efficace (anche se più complessa) da un insigne storico dell'arte, da me già citato nella scorsa puntata. Scrive Massimo Donà, nel suo “Arte e filosofia” (Bompiani – 2007):

«...Ormai, esperire la differenza non significava quasi più patire lo scarto tra una realtà imperfetta e per ciò stesso perfettibile ed una compiuta beatitudine di cui solo l'artista e pochi altri privilegiati avrebbero potuto avvertire in qualche modo il richiamo. Abitare la differenza cominciava a significare trovarsi costretti al riconoscimento di una dimensione paradossale e comunque caratterizzata da una così variegata tipologia di forme da apparire essa medesima in-finita...[...]...e in grado di legittimare qualsivoglia tentativo di “superamento” o trascendimento del finito in quanto tale. Quale estrema e aporetica conferma della sua effettiva intrascendibilità. Ormai lo si intuiva: l'anelito all'Assoluto, ovvero a quel Principio definitivamente pacificante caro in fondo a tutte le diverse religioni della terra, dimostrava l'infinita potenza di una finitudine che, proprio in quanto articolata per differenze, non avrebbe sicuramente potuto rinunciare ad istituire anche quell'estrema e paradossale differenza costituita appunto dal rapporto abissale tra la contingente finitezza di questo mondo e l'immota infinitudine di un Altro perfettamente irrelazionabile...».

Il passaggio è molto arduo, lo so. Vi invito tuttavia a riflettere su due espressioni che ne rappresentano il nucleo, a mio avviso, e che colgono in pieno la natura del Manierismo come periodo storico di crisi. Il Rinascimento entra in crisi (mutandosi appunto nell'epoca manieristica), di man in mano che acquista la consapevolezza della paradossale “intrascendibilità del finito” e della “infinita potenza della finitudine”.

Prosegue Donà: «...Da un lato, dunque, l'anelito ad un Assoluto originariamente deciso e privo di incertezze, e dall'altro la costitutiva “insecuritas” di un'esistenza sempre individuale, ma soprattutto destinata alla parzialità e all'indigenza, per quanto travolta dal progressivo differenziarsi di ogni apparente identità, e dunque invitata a farsi sempre curiosa di altri infiniti modi di essere...[...]...Ormai il Cinquecento si avviava al declino; la pochezza del mondo non consentiva altra via d'uscita che non fosse l'infinita moltiplicazione della sua parzialità, lo stordimento delle esagerazioni della fantasia; nella fittizia maestosità cui nulla di fatto corrisponde davvero...». 

Un certo, moderno, sguardo “relativo”, posato sulle cose del mondo, in qualche modo nasce con la sensibilità Manierista. 

Ma come si riflette operativamente tutto ciò nell'espressività del Tintoretto? Ancora Massimo Donà aggiunge che le scene del Tintoretto scaturiscono «...dal disegnarsi di un universo vibrante e teso, le cui intrinseche possibilità sarebbero state esaltate da una composizione quasi sempre obliqua e ricca di scorci davvero inusitati...».

Vacillano sempre più le certezze rinascimentali fondate sull'equilibrio prospettico. Molto interessante anche l'analisi di un celebre dipinto di Tintoretto, “Il miracolo dello schiavo” (1546), fatta da Giulio Carlo Argan:
Il miracolo dello schiavo (1846) - Tintoretto

«...Tintoretto non si propone di ricostruire un fatto storico, ma di rappresentarlo in modo che produca determinati effetti nell'animo di chi guarda. Sa di fare del teatro; ma ciò che conta, per lui, non è la verità storica, bensì l'autenticità del sentimento suscitato dalla rappresentazione...». Come ho tentato di dire sopra: l'interiorità, come dato primario, che si impone rispetto all'interesse per la realtà.

Oggi siamo andati parecchio sul difficile e non poteva essere da meno neanche la ricerca di un volto noto moderno, da assimilare a quello della dama del Tintoretto. Ho trovato un'unica somiglianza e anche parecchio “elitaria”. Immagino infatti che saranno pochissimi a riconoscere questo personaggio:
Si tratta di una brava giornalista della Rai, Bianca Maria Piccinino, attiva ormai diversi anni or sono. Divenne nota al pubblico in particolare per i suoi garbati e competenti servizi relativi al mondo della moda, ed anche per questa coincidenza, mi pare s'intoni curiosamente bene con le atmosfere kikeske di questa rubrichetta.

Si conclude qui questa puntata di recupero di “Le muse di Kika van per pensieri”. E per le magie modiaole di Kika, come sempre, non dovete fare altro che sintonizzarvi sul suo blog.

4 commenti:

Kika ha detto...

La tua rubrica ci apre sempre nuove porte sul mondo dell'arte, stavolta anche uno spiraglio su, storia, filosofia e sociologia... Non avevo mai considerato attentamente quel particolare periodo tra Rinascimento e Barocco, ora mi hai messo la pulce nell'orecchio. Il volto televisivo che hai scelto mi ha fatto un effetto strano: di primo acchito non mi sembrava somigliante, poi sono stata come catturata dagli sguardi di entrambe le donne (la dipinta e la vera) e d'improvviso ho colto il parallelismo tra i loro lineamenti. Mi ha fatto persino apprezzare di più l'espressione della dama di Tintoretto! :)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: è bello se riesco a dare spunti, Kika...il Manierismo è davvero una grande, modernissima epoca...ultimamente si sta riscoprendo molto la sua importanza (vedi le recenti e notevoli mostre su Pontormo, su Bronzino e forse altre di cui non ho avuto notizia...)

La somiglianza era un po' forzata, vero :-) anzi, più che forzata, dciamo sottile :-)

non so proprio dove sono andato a ripescare questa giornalista, in quale cassettino della memoria l'avevo nascosta :-) era veramente una presenza garbata della tv, e i suoi servizi di moda erano sempre pacati, dignitosi...allora l'alta moda sembrava davvero un mondo molto lontano, per stile, dimensione...adesso, forse è lontano solo per questioni di portafoglio :-)

Grazie Kika, è sempre molto bello rubrichettare incrociati con te :-)

Bacini manieristi :-)

Kika ha detto...

Dimenticavo: sono sul cellulare e non riesco ad inserire il tuo link, però lunedì avrò il pc davanti e farò come abbiamo concordato ;)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: va bene, Kika :-) non preoccuparti...grazie

Bacini smartfòn :-)