Circa una settimana fa, a Roma, è successo il guaio che tutti sanno.
Un branco di minus habens subnormali che nel corso delle loro inutili esistenze non sono mai riusciti a varcare la fatidica soglia oltre la quale si ha il diritto di potersi fregiare della definizione minima di “persona”; un gruppo di aborti mancati senza giustificazione; un’accozzaglia di superflui individui privi della benché minima traccia di umanità nel loro irreperibile animo (per di più, con l’aggravante di essere anche tifosi di calcio), hanno sfregiato un’opera, espressione di una delle menti più geniali che la storia dell’arte abbia mai conosciuto: Gian Lorenzo Bernini.
Già il confronto parlerebbe di per sé: l’infimo di fronte all’eccelso. Non sarebbero necessarie parole ulteriori.
Alla paradossalità della cosa, si aggiunga solo un dettaglio: alcuni giorni dopo, questi “morti-viventi” hanno potuto tornare a casa comodamente, pagando una multa di qualche decina di migliaia di euro. Non dico questo per entrare nel merito dei provvedimenti o delle sanzioni previste in questi casi dalla nostra legislazione, né per commentare cosa s’è fatto o cosa si doveva fare. Non sono questioni di mia competenza. Con questa postilla voglio solo sottolineare ancor più l’enormità dell’inconsapevolezza dei suddetti minorati mentali: se solo si rendessero minimamente conto del loro atto, correrebbero di filato alla prima Usl olandese (chiamiamola così) per richiedere a gran diritto l’elettroshock passato gratis dalla mutua (altro che pagare una multa…).
Sull’ondata di sdegno seguita all’accaduto, avrei voluto anche io scrivere due righe, qui sul blog. Ma poi avevo rinunciato, perché sarebbe stato inchiostro sprecato. L’infinito (Bernini) di fronte al nulla (quei quattro relitti umani): vale forse la pena di parlare del nulla? Se l’umanità ha raggiunto tali limiti di abbruttimento, come ci possiamo salvare? Purtroppo il baco è interno, connaturato all’uomo, questo è il problema. Non si possono trovare spiegazioni e rimedi al di fuori delle menti umane. L’istinto “da bar” suggerirebbe di abbandonarsi alla gratificazione effimera quanto inutile di sfoghi (come ho fatto un po’ anche io, sopra) o proclami invocanti pene severissime, punizioni esemplari.
Certo, qualcosa nell’immediato concreto bisognerà pur fare, e speriamo che le migliori menti preposte si attivino al proposito con tutta l’efficacia che la situazione merita. Ma il punto è che purtroppo, la questione sarebbe risolvibile per davvero, soltanto con un’immensa rivoluzione culturale, una nuova grande rinascenza delle menti, capace di riportare alle giuste proporzioni il tributo dovuto al senso vero della bellezza. Impresa titanica: chissà chi o che cosa sarà mai in grado di realizzarla. Sono state queste riflessioni insomma che mi avevano spinto a desistere dal fare commenti o considerazioni in merito.
Il caso ha voluto tuttavia che proprio in questo periodo, la passione berniniana sia cresciuta in me oltremodo, grazie alla visione di un magnifico documentario a puntate, curato da Tomaso Montanari, tramesso da Rai5 negli ultimi otto mercoledì sera. Ieri sera, dopo aver visto l’ultima parte, mi sono reso conto che consideravo la questione dal punto di vista sbagliato: per dire qualcosa in merito all’accaduto, non avrei dovuto parlare del nulla (i tifosi), bensì dell’infinito (Bernini).
Gian Lorenzo Bernini: Ratto di Proserpina - 1621-22 (Galleria Borghese - Roma)
Ora, solamente per iniziare a rendere merito alla grandezza di Bernini, ci vorrebbero ottomila seicento ventidue scritti di Andarperpensieri. Mi limiterò, in una super sintesi estrema, ad indicare un punto fondamentalissimo dell’opera del grande scultore-architetto.
Il ‘600, secolo di Bernini, inaugura la modernità in tanti settori della cultura. In primis nella filosofia, con Cartesio, che insinua il dubbio epocale circa l’esistenza effettiva di una realtà esterna al nostro pensiero. Da lì in poi, nulla è più stato come prima. Non solo l’uomo non è più al centro dell’universo (come affermava la fiduciosa visione rinascimentale del mondo), ma addirittura prende piede l’angoscia riguardo al fatto che un universo esista per davvero. La realtà “entra in crisi”, prima col manierismo e poi ancor di più col Barocco, che vide Bernini fra i suoi maggiori esponenti.
Gian Lorenzo Bernini: Estasi della beata Ludovica Albertoni - 1674 (Chiesa di San Francesco a Ripa - Roma)
E’ noto come uno dei tratti caratteristici dell’espressività berniniana vada ricercato nel suo estremo virtuosismo tecnico: il marmo, trattato dalle sue mani, diventava di volta in volta carne, tessuto, pelo, legno, capelli, o addirittura fiato, calore corporeo, odore, e così via. Questo virtuosismo non era ovviamente fine a sé stesso, l’artista non lo intendeva come puro gesto di bravura. La sua intenzionalità intima consisteva invece nel desiderio di innalzare un inno supremo alle potenzialità dell’immaginazione umana. Per spiegare in un modo che non saprei nemmeno lontanamente sfiorare, mi affido come sempre al mio nume tutelare storico-artistico, Giulio Carlo Argan: «…se la realtà è mistero, morte, nulla, allora solo nell’immaginazione è la vita. Sotto la frenesia berniniana di riempire di immagini concrete tutto lo spazio, di conquistare sempre nuovo spazio per nuove immagini, si sente l’angoscia del vuoto…».
Gian Lorenzo Bernini: Apollo e Dafne - 1622-25 (Galleria Borghese - Roma)
Bernini ci indica dunque due importantissime coordinate dell’uomo moderno: il senso di angoscia rispetto al nulla (tutta la sua opera è attraversata di continuo da un impalpabile flusso carsico di malinconia), e l’immaginazione come strumento consolatorio-salvifico di fuga verso un rinnovato senso di speranza potenziale.
Se allora immaginazione vuol dire esplorazione di nuovi “mondi della speranza” (stanti i sospetti di evanescenza, inconsistenza e fragilità nutriti rispetto al mondo effettivo, reale), fra i grandi temi dell’immaginazione, anche il gioco rientra a pieno titolo. Il gioco è territorio infantile per eccellenza, perché nel gioco il bambino può sperimentare le proprie potenzialità di vita, senza ancora confrontarsi con la vita vera. I “meccanismi” del gioco, in età adulta, si sublimano e si raffinano poi nelle più alte espressioni culturali, estetiche e artistiche. Lungo tutto il corso della sua esistenza, l’uomo non può mai smettere di giocare, né di immaginare, due attività che sono facce della stessa medaglia. Egli ne ha bisogno come dell’aria che respira.
Il calcio è un gioco. Ed ecco qui che il cerchio del discorso si chiude: insultando Bernini, quei cosiddetti tifosi hanno portato alle estreme conseguenze il loro personale nonsenso esistenziale.
Chiudo aggiungendo solo un’ultima cosa, che sono fiero di dire: il “mio mondo”, oltre ad essere informato dallo spirito di tutti i miei artisti, scrittori, poeti, ecc. preferiti, non solo da adesso, ma in particolare ancor di più dopo i tristi recenti episodi, è anche e soprattutto berniniano.