Oggi vi propongo un preclaro “argomento-vaccata”, per fare due sorrisi. Poi prometto di uscire dal tunnel dell’arredo idrosanitario (nel senso della cosa scritta l'altro ieri...).
Ma veniamo a noi.
Mi trovavo alcuni giorni addietro a seguire un corso di aggiornamento. Mi vedeste in faccia infatti, che razza di aspetto aggiornato mi ritrovo. Adesso, alla gente che mi chiede: «…come stai?...», non rispondo più né “bene”, né “male”, e neanche “normale”, pensate un po’.
Mi limito solo a dire: «…Mi sento aggiornato...».
Insomma, ero lì a questo corso, quando, in una pausa della lezione, mi reco alla ritirata (espressione altrimenti detta: «…int’óhó cèss!...»). Sul finir della mia performance a “doppio appoggio” (ossia su due piedi, da distinguersi rispetto a quella a “triplo appoggio”: due piedi più il “resto”), son lì che mi sto producendo in una “sgrullatio” liftata a rientrare, quando mi cade l’occhio su di un ammennicolo cessistico posto a latere del water.
Quello che mi colpisce subito è la scritta sovrimpressa sull’oggetto. Non si capisce bene se si tratta della marca o del modello, ma poco importa. Ciò che conta è che, a modo suo, ha qualcosa di geniale: “initial”.
Se vi spiego la funzione dell'oggetto, un po' cominciate a capirmi meglio. In parole povere, si trattava di uno scatolino, appiccicato al muro, e contenente delle salviettine per spazzare preventivamente la tavoletta, onde renderla idonea, nel caso di un “triplo appoggio”, all’uopo presupposto da quel loco seminascosto.
Il fatto che “con poco mi ha fatto divertire molto”, è stato immedesimarmi nei moventi psicologici del personaggio che aveva ideato quella sorta di slogan o pseudo logo che dir si voglia.
Chissà se si sarà trattato di un giovane pubblicitario di buone speranze alle prese col suo primo incarico di “m...”, oppure del modesto impiegato di questa ipotetica fabbrichetta della prima periferia, cui era toccato in sorte l’onere di escogitare il fatidico nomignolo, come “ricompensa” per essere rimasto per ultimo in ufficio, la sera che la “creazione” ebbe luogo.
Fatto sta che la parola “initial”, applicata ad un simile contesto, a me è parsa subito impregnata di una gran rugiada di significati ridanciani e simil-pretenziosi.
Cosa di preciso si sarà mosso nella mente del nostro “fine dicitore” commerciale, è difficile a dirsi. Probabilmente, la prima cosa a cui ha pensato è stato il fatto che doveva in qualche modo sforzarsi di rendere dignitosa una “situazione” solitamente illustrata dai soggetti “più civili” con la specificazione “di m…”.
Sulle prime forse avrà pensato che “Initial” rendesse l’idea di un’iniziazione. Se utilizzi quelle salviettine, puoi considerarti “iniziato” ed addentrarti nella “dimensione misterica” per cui hai varcato quella soglia: la missione non può più spaventarti, ora che, grazie ad “Initial”, sei entrato a far parte della schiera degli eletti.
Il “nostro” dev’esser stato poi anche un acuto osservatore della psicologia umana. Lo si evince da come si è avvinghiato concettualmente al momento cruciale della permanenza media dentro un bagno pubblico. E’ all’inizio infatti, nel momento in metti il primo piede dentro, che si gioca tutto.
Diciamocelo con tutta franchezza, cari amici viandanti per pensieri, anche se spiace abbassarsi a livelli così prosaici: il 90 per cento degli ingressi in un cesso pubblico implicano per ognuno una tale frustata “esperienziale”, che i ricordi di eventuali traumi infantili patiti si fanno al confronto piacevoli pizzicotti del destino. E’ un vero e proprio muro olfattivo e visivo, quello che il più delle volte ci si para innanzi, minaccioso e beffardo, sgradevole e schernente. Ed è giusto in quella piaga lì, che l’acume della “poetica imprenditoriale” ha saputo mettere il dito, in una sorta di invito alla rassegnazione e al coraggio, che tanto in pochi minuti passa tutto.
“Initial”: «…E’ l’inizio, amico, che ti dà più da fare, lì dentro. Poi, superato quello, tutto scorre, tutto fluisce…».
Ma bando ai fraintendimenti: non era mia intenzione, con quanto scritto sopra, infierire più di tanto, su chi, come il nostro simpatico creativo in erba, si è ritrovato ad affrontare l’arduo compito di nominare l’«innominabile», di dare una sagoma riconoscibile a ciò che “storicamente” non è mai stato concettualmente circoscrivibile, né “addomesticabile”.
Mi sono tornati così alla mente diverse reminescenze “culturali” legate a siffatta «indicibilità». La più goliardica riguarda l’istrionico Giorgio Bracardi, che nei panni dello strampalato farmacista dottor Onorato Spadone, ci ha ricordato spesso come l’uomo possa elevarsi ai ruoli più nobili riservati dall’esistenza, da onorevole, a scienziato, a musicista, ecc., ma pur rimanendo sempre una “bestia”, in virtù della sua esigenza periodica di andarsi a sedere sul “vater claus”.
Di conseguenza ho riflettuto su come forse solo l’ironia sia capace di difenderci talvolta dalle cose della vita che proprio non riusciremo mai a capire, o delle quali mai troveremo una spiegazione lineare e completa. Al che mi è tornato alla mente anche uno spazzolino da bagno visto una volta su di una rivista di design, a cui l’eclettico suo disegnatore aveva affibbiato il favolistico nomignolo di “Smerdolino”.
Ma soprattutto ho ripensato a questo passo, una delle cose più “umane” e filosoficamente potenti che mi sia mai capitato di leggere:
«…Quando ero piccolo e sfogliavo il Vecchio Testamento raccontato ai bambini e illustrato con le incisioni di Gustave Dorè, vi vedevo il Signore Iddio su una nuvola. Era un vecchio, con gli occhi e il naso e una lunga barba, e io mi dicevo che se aveva la bocca doveva anche mangiare. E se mangiava, doveva avere gli intestini. Quell’idea mi faceva venire subito i brividi, perché io, pur appartenendo a una famiglia più o meno atea, sentivo che l’idea degli intestini di Dio era una bestemmia.
Senza alcuna preparazione teologica, spontaneamente, capivo quindi già da bambino l’incompatibilità tra la merda e Dio e, di conseguenza, la discutibilità della tesi fondamentale dell’antropologia cristiana secondo la quale l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. O l’uno o l’altro: o l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e allora Dio ha gli intestini, oppure Dio non ha intestini e l’uomo non gli somiglia…[…]…
Dietro tutte le fedi europee, religiose e politiche, c’è il primo capitolo della Genesi dal quale risulta che il mondo è stato creato in maniera giusta, che l’essere è buono e che quindi è giusto moltiplicarsi. Chiamiamo questa fede accordo categorico con l’essere.
Se ancora fino a poco tempo fa nei libri la parola merda era sostituita dai puntini, ciò non avveniva per ragioni morali, a meno che non vogliate sostenere che la merda è immorale! Il disaccordo con la merda è metafisico. Il momento delle defecazione è la prova dell’inaccettabilità della Creazione. O l’uno o l’altro: o la merda è accettabile (e allora non chiudetevi a chiave nel bagno!), oppure il modo in cui siamo stati creati è inaccettabile.
Da ciò deriva che l’ideale estetico dell’accordo categorico con l’essere è un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico si chiama Kitsch…[…]…il Kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile…».
“L’insostenibile leggerezza dell’essere”
Milan Kundera - 1984
Ah…in conclusione, solo due brevi constatazioni finali, se proprio non vi fidate della parola di Milan Kundera. Solamente ora mi sono reso conto di aver scritto, io stesso, appena sopra, merda coi puntini. E ultima cosa: mi sono accorto che pure “word”, quando scrivi la parola “merda” per esteso, te la sottolinea con la classica riga ad ondina rossa, che segnala gli errori.
Per il momento vi saluto, cari amici viandanti per pensieri, invitandovi magari a rileggere ancora le considerazioni di Kundera riportate sopra, alla luce del fatto, ora, che pure per la Microsoft la merda non esiste.