Dedicato a tutti gli sconfitti.
Come me.
Ci ho sempre trovato qualcosa di malsano nella competizione pura, intesa nel senso esasperato di cui è stata caricata dalla modernità in particolare.
Un retrogusto subdolo di immaturità, ci si può assaporare.
La competizione così concepita, generalmente contempla un vincitore ed uno sconfitto.
Con nettezza.
Detta in altri termini: la competizione, per sua stessa essenza, prevede di sfociare nella creazione di una parte di bene apparente (goduto dal vincitore) e di una parte di male effettivo (patito dallo sconfitto).
«…Cosa fai, vuoi rifondare la costituzione su cui si fondano le leggi della vita?...», obietterà l’attento lettore, «…mai sentito parlare di Darwin o di Aldo Biscardi?...».
Certo, certo…calma, cari amici viandanti per pensieri. Lo so benissimo che è questa realtà stessa in cui siamo calati ad imporci, in misura più o meno accentuata, continue lotte quotidiane, continui motivi di confronto, continui spunti per sfide e messe in discussione di noi stessi.
Quello che intendevo dire è che la competizione dovrebbe essere intesa rivedendone le finalità. L’obiettivo non sarebbe così più da ricercarsi nella vittoria finale, bensì nella ricerca della bellezza. Solo così intendendo i confronti che costantemente la vita ci pone di fronte, si potrebbe giungere a superare la condizione della “sconfitta”, e con essa, la quota di male insita nella competizione intesa in senso distorto.
Le sfide della vita, elevate al livello più nobile della loro accezione, diventerebbero in questo modo non più un faticoso viatico per primeggiare sull’«altro», ma una nuova via per poter vedere nell’«altro» un cooperante, solamente attestato dall’altra parte della barricata, ma impegnato al nostro pari nel raggiungimento dell’espressione di un qualche esito di bellezza.
Solo così, la differenza tra vincitore e sconfitto si potrebbe trasformare in un dettaglio pressoché insignificante: conterebbero solo la bellezza degli sforzi sostenuti nel tragitto e la creazione di un “quantum vitale” nuovo, ottenuto alla fine della sfida, con tutti i contendenti elevati a pari dignità.
Il gioco costruisce, la guerra distrugge.
Solo se il vincitore, chinando alla fine il capo di fronte allo sconfitto, nel rendergli merito con grande senso dell’onore, giungerà a provare una sottile punta di invidia per le sfumature di esistenza che alla sua percezione sono precluse e che invece lo sconfitto ha il privilegio di poter assaporare, si potrà rivalutare la competizione nel senso gioioso del gioco, sminuendone nel contempo la peggiore deriva “guerresca” che attualmente tende ad assumere.
In generale, mi sembra di poter concludere, dal basso della mia insipienza campagnola, che quando il vincitore non possiede quella dose di nobiltà d’animo mista ad una grande “saggezza estetica” in grado di farlo sentire nel medesimo tempo anche un po’ sconfitto, tutti alla fine potranno ritenersi sempre miseramente perdenti.
Un retrogusto subdolo di immaturità, ci si può assaporare.
La competizione così concepita, generalmente contempla un vincitore ed uno sconfitto.
Con nettezza.
Detta in altri termini: la competizione, per sua stessa essenza, prevede di sfociare nella creazione di una parte di bene apparente (goduto dal vincitore) e di una parte di male effettivo (patito dallo sconfitto).
«…Cosa fai, vuoi rifondare la costituzione su cui si fondano le leggi della vita?...», obietterà l’attento lettore, «…mai sentito parlare di Darwin o di Aldo Biscardi?...».
Certo, certo…calma, cari amici viandanti per pensieri. Lo so benissimo che è questa realtà stessa in cui siamo calati ad imporci, in misura più o meno accentuata, continue lotte quotidiane, continui motivi di confronto, continui spunti per sfide e messe in discussione di noi stessi.
Quello che intendevo dire è che la competizione dovrebbe essere intesa rivedendone le finalità. L’obiettivo non sarebbe così più da ricercarsi nella vittoria finale, bensì nella ricerca della bellezza. Solo così intendendo i confronti che costantemente la vita ci pone di fronte, si potrebbe giungere a superare la condizione della “sconfitta”, e con essa, la quota di male insita nella competizione intesa in senso distorto.
Le sfide della vita, elevate al livello più nobile della loro accezione, diventerebbero in questo modo non più un faticoso viatico per primeggiare sull’«altro», ma una nuova via per poter vedere nell’«altro» un cooperante, solamente attestato dall’altra parte della barricata, ma impegnato al nostro pari nel raggiungimento dell’espressione di un qualche esito di bellezza.
Solo così, la differenza tra vincitore e sconfitto si potrebbe trasformare in un dettaglio pressoché insignificante: conterebbero solo la bellezza degli sforzi sostenuti nel tragitto e la creazione di un “quantum vitale” nuovo, ottenuto alla fine della sfida, con tutti i contendenti elevati a pari dignità.
Il gioco costruisce, la guerra distrugge.
Solo se il vincitore, chinando alla fine il capo di fronte allo sconfitto, nel rendergli merito con grande senso dell’onore, giungerà a provare una sottile punta di invidia per le sfumature di esistenza che alla sua percezione sono precluse e che invece lo sconfitto ha il privilegio di poter assaporare, si potrà rivalutare la competizione nel senso gioioso del gioco, sminuendone nel contempo la peggiore deriva “guerresca” che attualmente tende ad assumere.
In generale, mi sembra di poter concludere, dal basso della mia insipienza campagnola, che quando il vincitore non possiede quella dose di nobiltà d’animo mista ad una grande “saggezza estetica” in grado di farlo sentire nel medesimo tempo anche un po’ sconfitto, tutti alla fine potranno ritenersi sempre miseramente perdenti.
8 commenti:
Nella mia vita sono sempre stata trascinata nella competizione, mai ho scelto lberamente di infilarmici poichè per raggiungere i miei obiettivi dovevo per forza misurarmi con altri.
La vittoria conquistata con le mie sole forze, non so perchè, non riuscivo ad assaporarla e mi sentivo incomprensibilmente colpevole mentre dopo ogni sconfitta io mi sentivo migliore.
La competizione è brutta e rende cattivi.
@->Marisa: hai colto in maniera egregia il senso di quanto volevo dire, Mari...grazie, questo tuo commento mi ha regalato una grande soddisfazione :-)
Bacini non competitivi :-)
grazie a te per avermi dato la possibilità di esprimere il mio pensiero, scusami se in tutto questo tempo sono sparita dal tuo blog ma è un periodo molto difficile per quanto riguarda il mio lavoro e oggi ho trovato sul tuo post una vaga attinenza con la realtà che sto vivendo.
@->Mari: non preoccuparti Mari, qui si può passare quando ci si sente e dire qualcosa, oppure anche solo leggere al volo :-)
Mi spiace per questo tuo momento...anche per me è poco roseo, ultimamente...
Mi rifugio un po' nella letteratura, in attesa di tempi più sereni :-)
Non vorrei essere scontata ma... molto spesso l'importante è partecipare! Quando si partecipa ad una competizione ognuno dei partecipanti ha sicuramente qualcosa da dimostrare di saper fare, a prescindere dal vincitore...
Bacini felini
@->Scodinzola: niente affatto scontato quel che dici, cara Scodi :-) l'attenzione andrebbe infatti spostata sul tragitto da compiere, anzichè concentrarla spasmodicamente sulla meta, come si tende a fare nella competizione distorta...si è ossessionati di arrivare alla fine della settimana, alla fine del mese, alle ferie, a qui a là :-) e ci si rende conto sempre troppo tardi che il tempo che sta in mezzo a tutte queste "fini", è trascorso via insipidamente...
Bah... :-)
Bacini decoubertiniani :-)
pensierino quasi zen: l'aspetto interessante della competizione è la sfida con se stessi, in fondo non c'è mai un vero vinto e un vero vincitore se il termine di confronto siamo noi stessi
@->Farly: preziosissima integrazione al mio pensiero, dear Farly :-) non siamo mica una chimera per caso :-)
bacini zen :-)
aphona, mi dice blogspot, un po' come la mia mente in questo momento, che si scusa per la pochezza della risposta, ma avrebbe voluto dire molto di più :-)
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