Come passare dall’esaltazione, alla disillusione ed infine ad un lieve fastidio, nel breve lasso di tempo concesso dalla lettura di un articolo di giornale.
Ma prima, una doverosa premessa. Se siete persone dall’indole “rallentata”, se il vostro ideale sono i tempi lunghi, se detestate l’affanno nel fare le cose, se tendete più dalla parte della pigrizia che non da quella dell’efficentismo…se nel vostro carattere c’è di tutte queste cose un po’, e non avete ancora visto «Il grande Lebowsky» dei fratelli Cohen, provvedete subito a riparare la mancanza.
Il film racconta le strampalate vicende di un pittoresco sfaccendato di Los Angeles, Jeffrey Lebowsky, detto “Dude” (“Drugo” nella traduzione italiana; interpretato da Jeff Bridges), e dei suoi due altrettanto sgangherati amici (Steve Buscemi e John Goodman), tre personaggi maldestramente calati ai margini dell’opulenta e contraddittoria società americana, mettendone in rilievo tutte le stonate magagne semplicemente vivendo la propria esistenza di candidi perdenti (o meglio: “sereni sconfitti”), nella cornice di una storia condita da parecchie venature di sana perfidia e di ponderato surrealismo.
D’accordo, la mia sintesi fa schifo e per avere un’idea più precisa non vi resta che vedervi il film, molto divertente e a suo modo anche poetico, ma era tanto per inquadrare in qualche modo l’argomento.
Sì, perché l’articolo al quale facevo riferimento in apertura tratta indirettamente proprio del film «Il grande Lebowsky». Era sul “Corriere della Sera” di giovedì 3 febbraio 2011, a pagina 28.
Vi dicevo che dapprima la cosa mi ha esaltato. Nell’articolo si parla infatti di una sorta di nuova religione, o per meglio dire, di un movimento di pensiero fondato negli Stati Uniti proprio a partire dalle “regole di vita” adottate nel film dal Drugo in persona. Il “profeta” del “Dudeism” (questo il nome della nuova “fede”) si chiama Oliver Benjamin, che ha fissato il fulcro del suo movimento nel sito internet ad esso dedicato.
«…Sorridi e non fare niente…» è il comandamento fondamentale di questo nuovo “credo”, che stando all’articolo vanta fra i suoi illustri precursori storici, grandi pensatori del passato come Lao Tze ed Eraclito (anche se per il filosofo greco, non ho capito bene in che senso), passando attraverso la possente poetica di Walt Whitman, per giungere alla moderna saggezza del bracchetto fumettistico più amato di tutti i tempi, Snoopy, laddove il “peanutsiano” cagnetto fissa il proprio programma esistenziale in questa sentenza: «…la mia vita non ha scopo, è senza direzione, senza senso, eppure io sono felice…».
Tutte queste parti dell’articolo le ho trovate divertenti e per certi versi anche appassionanti. Fino a quando non ho letto un passo in cui si parlava anche di periodiche convention degli “adepti”, durante le quali «…gli emuli del nullafacente californiano trascorrono qualche giorno in pantaloni corti a scacchi, camicia hawaiana, notti bianche del bowling, bevute di White Russian, quiz e concorsi a premi…».
E questo sì che mi ha fatto parecchia tristezza.
Sempre per chi non ha visto il film, bisogna sapere che i pantaloni bermuda, la camicia hawaiana, il bowling e il cocktail White Russian, sono i tratti distintivi del personaggio di Dude, il Drugo. Sono l’essenza esteriore del suo “fannullonismo”.
Ma capite bene che nel momento in cui queste abitudini e vezzi personali del personaggio, vengono confezionati in un “pacchetto caratteriale” precotto e predefinito, pronto all’uso ed al consumo massivo, tutto il fascino della faccenda viene a sgonfiarsi miseramente.
Come accade sempre nei film dei fratelli Cohen, dietro il velo di un’ironia spesso spietata, si cela la volontà di sostenere una visione del mondo che esalta l’indipendenza del pensiero, la capacità di filtrare le cose che ci accadono attraverso lo spirito critico più libero e “svincolato” di cui siamo capaci. Nel grande Lebowsky non era dunque contenuto un invito a vestirsi tutti come il Drugo e a fare tutto ciò che fa lui.
E’ stato qui insomma che tutta la faccenda del Dudeismo mi si è smontata di botto. Per di più che a me piace un sacco il Negroni (un terzo di Gin, un terzo di vermouth rosso, un terzo di Campari), mentre il White Russian (5 decimi di vodka, 2 decimi di crema di latte o panna liquida, 3 decimi di liquore al caffè) non mi esalta per niente. E per dirne un’altra, nella migliore delle ipotesi, il bowling mi lascia indifferente.
Per fortuna che a mitigare il senso di delusione, ci ha pensato una visita al sito italiano del “Dudeismo”.
La homepage ospita tanti commenti di visitatori del sito. Fra questi, anche quello di un certo Paolo, che giustamente chiede chiarimenti riguardo a come si ponga, in questo quadro idilliaco di sfaccendatismo poeticizzante, la questione della sopravvivenza, del portare a casa la pagnotta.
La risposta del curatore del sito mi è piaciuta parecchio:
«…Tocca lavorare Paolo. Alla fine tutti dobbiamo dar da mangiare alla scimmia. Tieni conto che il Dudeismo non prevede come un dogma di essere disoccupati; il Dude sicuramente in qualche modo si guadagnava da vivere, forse facendo il roadie per i Metallica e forse no comunque le conchiglie, o le ossa in qualche modo se le guadagnava. Probabilmente senza sudare troppo. Essere Dudeisti significa prendere la vita con calma quindi dovendo scegliere tra lavorare 15 ore al giorno e lo stretto necessario di solito un dudeista sceglie la seconda, ma per esempio se per te è ok lavorare 15 ore al giorno riuscendo a prendere la vita con calma lo stesso va bene comunque. Noi siamo tranquilli praticamente riguardo a qualsiasi cosa…».
Se è così, allora il Dudeismo torna a piacermi. Se è così, son disposto pure a sopportare che abbia un nome, il Dudeismo appunto, ma soltanto per ricordarci che stiamo parlando di quella roba lì. Per il resto però, non mi venga a spacciare regole o modelli preconfezionati, altrimenti viene a cadere tutto lo spirito della baracca.
La pigrizia e la vita rallentata sono dunque una prospettiva allettante, ma se si pretende di trasformarle a loro volta in “dikat” imprescindibili (e magari già preconfezionati in quanto a modalità e forme…), diventano semplicemente e sciaguratamente nuove dimensioni alle quali assoggettarci per nuove schiavitù materiali e spirituali.
E sono sicuro che anche il Drugo avrebbe storto il naso, riguardo a tutto ciò. Sempre sorseggiando il suo White Russian, s’intende.
All’uopo, rimane dunque sempre un’ottima mossa rispolverare la perenne saggezza di Sant’Agostino (che a sua volta citava San Paolo - Seconda Lettera ai Corinzi - 3,6) quando, riferendosi alla fondamentale differenza fra un’interpretazione letterale ed una “critica” delle cose, affermava: «…La lettera uccide, lo spirito vivifica…».
Ma prima, una doverosa premessa. Se siete persone dall’indole “rallentata”, se il vostro ideale sono i tempi lunghi, se detestate l’affanno nel fare le cose, se tendete più dalla parte della pigrizia che non da quella dell’efficentismo…se nel vostro carattere c’è di tutte queste cose un po’, e non avete ancora visto «Il grande Lebowsky» dei fratelli Cohen, provvedete subito a riparare la mancanza.
Il film racconta le strampalate vicende di un pittoresco sfaccendato di Los Angeles, Jeffrey Lebowsky, detto “Dude” (“Drugo” nella traduzione italiana; interpretato da Jeff Bridges), e dei suoi due altrettanto sgangherati amici (Steve Buscemi e John Goodman), tre personaggi maldestramente calati ai margini dell’opulenta e contraddittoria società americana, mettendone in rilievo tutte le stonate magagne semplicemente vivendo la propria esistenza di candidi perdenti (o meglio: “sereni sconfitti”), nella cornice di una storia condita da parecchie venature di sana perfidia e di ponderato surrealismo.
D’accordo, la mia sintesi fa schifo e per avere un’idea più precisa non vi resta che vedervi il film, molto divertente e a suo modo anche poetico, ma era tanto per inquadrare in qualche modo l’argomento.
Sì, perché l’articolo al quale facevo riferimento in apertura tratta indirettamente proprio del film «Il grande Lebowsky». Era sul “Corriere della Sera” di giovedì 3 febbraio 2011, a pagina 28.
Vi dicevo che dapprima la cosa mi ha esaltato. Nell’articolo si parla infatti di una sorta di nuova religione, o per meglio dire, di un movimento di pensiero fondato negli Stati Uniti proprio a partire dalle “regole di vita” adottate nel film dal Drugo in persona. Il “profeta” del “Dudeism” (questo il nome della nuova “fede”) si chiama Oliver Benjamin, che ha fissato il fulcro del suo movimento nel sito internet ad esso dedicato.
«…Sorridi e non fare niente…» è il comandamento fondamentale di questo nuovo “credo”, che stando all’articolo vanta fra i suoi illustri precursori storici, grandi pensatori del passato come Lao Tze ed Eraclito (anche se per il filosofo greco, non ho capito bene in che senso), passando attraverso la possente poetica di Walt Whitman, per giungere alla moderna saggezza del bracchetto fumettistico più amato di tutti i tempi, Snoopy, laddove il “peanutsiano” cagnetto fissa il proprio programma esistenziale in questa sentenza: «…la mia vita non ha scopo, è senza direzione, senza senso, eppure io sono felice…».
Tutte queste parti dell’articolo le ho trovate divertenti e per certi versi anche appassionanti. Fino a quando non ho letto un passo in cui si parlava anche di periodiche convention degli “adepti”, durante le quali «…gli emuli del nullafacente californiano trascorrono qualche giorno in pantaloni corti a scacchi, camicia hawaiana, notti bianche del bowling, bevute di White Russian, quiz e concorsi a premi…».
E questo sì che mi ha fatto parecchia tristezza.
Sempre per chi non ha visto il film, bisogna sapere che i pantaloni bermuda, la camicia hawaiana, il bowling e il cocktail White Russian, sono i tratti distintivi del personaggio di Dude, il Drugo. Sono l’essenza esteriore del suo “fannullonismo”.
Ma capite bene che nel momento in cui queste abitudini e vezzi personali del personaggio, vengono confezionati in un “pacchetto caratteriale” precotto e predefinito, pronto all’uso ed al consumo massivo, tutto il fascino della faccenda viene a sgonfiarsi miseramente.
Come accade sempre nei film dei fratelli Cohen, dietro il velo di un’ironia spesso spietata, si cela la volontà di sostenere una visione del mondo che esalta l’indipendenza del pensiero, la capacità di filtrare le cose che ci accadono attraverso lo spirito critico più libero e “svincolato” di cui siamo capaci. Nel grande Lebowsky non era dunque contenuto un invito a vestirsi tutti come il Drugo e a fare tutto ciò che fa lui.
E’ stato qui insomma che tutta la faccenda del Dudeismo mi si è smontata di botto. Per di più che a me piace un sacco il Negroni (un terzo di Gin, un terzo di vermouth rosso, un terzo di Campari), mentre il White Russian (5 decimi di vodka, 2 decimi di crema di latte o panna liquida, 3 decimi di liquore al caffè) non mi esalta per niente. E per dirne un’altra, nella migliore delle ipotesi, il bowling mi lascia indifferente.
Per fortuna che a mitigare il senso di delusione, ci ha pensato una visita al sito italiano del “Dudeismo”.
La homepage ospita tanti commenti di visitatori del sito. Fra questi, anche quello di un certo Paolo, che giustamente chiede chiarimenti riguardo a come si ponga, in questo quadro idilliaco di sfaccendatismo poeticizzante, la questione della sopravvivenza, del portare a casa la pagnotta.
La risposta del curatore del sito mi è piaciuta parecchio:
«…Tocca lavorare Paolo. Alla fine tutti dobbiamo dar da mangiare alla scimmia. Tieni conto che il Dudeismo non prevede come un dogma di essere disoccupati; il Dude sicuramente in qualche modo si guadagnava da vivere, forse facendo il roadie per i Metallica e forse no comunque le conchiglie, o le ossa in qualche modo se le guadagnava. Probabilmente senza sudare troppo. Essere Dudeisti significa prendere la vita con calma quindi dovendo scegliere tra lavorare 15 ore al giorno e lo stretto necessario di solito un dudeista sceglie la seconda, ma per esempio se per te è ok lavorare 15 ore al giorno riuscendo a prendere la vita con calma lo stesso va bene comunque. Noi siamo tranquilli praticamente riguardo a qualsiasi cosa…».
Se è così, allora il Dudeismo torna a piacermi. Se è così, son disposto pure a sopportare che abbia un nome, il Dudeismo appunto, ma soltanto per ricordarci che stiamo parlando di quella roba lì. Per il resto però, non mi venga a spacciare regole o modelli preconfezionati, altrimenti viene a cadere tutto lo spirito della baracca.
La pigrizia e la vita rallentata sono dunque una prospettiva allettante, ma se si pretende di trasformarle a loro volta in “dikat” imprescindibili (e magari già preconfezionati in quanto a modalità e forme…), diventano semplicemente e sciaguratamente nuove dimensioni alle quali assoggettarci per nuove schiavitù materiali e spirituali.
E sono sicuro che anche il Drugo avrebbe storto il naso, riguardo a tutto ciò. Sempre sorseggiando il suo White Russian, s’intende.
All’uopo, rimane dunque sempre un’ottima mossa rispolverare la perenne saggezza di Sant’Agostino (che a sua volta citava San Paolo - Seconda Lettera ai Corinzi - 3,6) quando, riferendosi alla fondamentale differenza fra un’interpretazione letterale ed una “critica” delle cose, affermava: «…La lettera uccide, lo spirito vivifica…».
10 commenti:
Sono entrata nel sito americano, hanno anche un negozio on-line con tanto di certificati, t-shirt, medaglioni ...
Ma come l'hai trovato? E' divertentissimo :D
Sei sempre speciale!!!
Lara
Non ho visto il film e su questo mi sento un po' svantaggiata. ma ho una teoria un po' confusa sull'efficienza dell'impegno lavorativo e sulla realizzazione del se' personale. Ho la grande e molto mal interpretata aspirazione che il lavoro, ossia il piacere del lavoro sia tutt'uno con la propria crescita e realizzazione esistenziale tanto da non riuscire a delimitare il tempo in cuii l'impefgno è riversato sull'attività di lavoro o sulla vita intima. E su questo certi capi fabbrica ci hanno un po' " marciato" E poi come dissi ad un mio collega che rivendicava il lavoro fatto di averlo fatto io rispondo: non guardo tanto il tempo quanto la qualità che può essere solo al top e in nessun altro modo intendo una cosa fatta essere stata veramente fatta.
Baci di qualità ma senza tempo.
che te lo dico a fà? il grande lebowsky è uno dei miei film preferiti!!! le scene con john turturro sono impagabili, tutto il film è splendido... ora essere dude non è roba da poco, secondo me richiede una consapevolezza di sé e del mondo degna di un illuminato... ultimamente io non c'ho manco una lampadina in testa... sigh :-)
bacini trasognati
Ps splendido post
Bellissimo, davvero! L'articolo del Corrierone l'avevo tenuto da parte pure io per scriverci qualcosa, ma giustamente l'accidia accidiosa ha avuto la meglio...:))))))))))) moooolto meglio che la fatica l'abbia fatta il nostro Gilli nazionale!:))))))))))
Scherzi a parte, è un film che mi riprometto sempre di comprare in dvd, anche perché sul digitale lo fanno spesso ma ad orari fantascientifici, io non posso ancora registrarmi niente e quindi tanto vale comprarselo con gli extra e tutta la baracca al completo.
Film grandioso, perfetto (perfetta la regia, la storia, gli attori, quell'alchimia unica che crea i classici), non stupisce che poi ci nascano su le religioni...
Concordo con te che non era quello di omologare la gente, l'intento del film.
Concordo anche sul White Russian (orrore, però se a Drugo piace...), personalmente preferisco Martini, prosecco e Aperol con succo d'arancia...o comunque tutto quello che ho nel frigo (capperi esclusi).
Bowling: non è male come sport, molto divertente.
Come religione, non saprei.:)))))))))))
Direi comunque che lo sfatto Jeff Bridges rimane nei cuori femminili, con il suo lancinante maglione. Al tempo me ne innamorai perdutamente.(Dell'uomo, non del maglione).
Mi sono sempre piaciuti gli uomini alternativi.
Saluti e baci da Poultryville!:))))))))))
Sono d'accordissimo Gili.
Drugo non e' fancazzismo egoista.
E' una filosofia esistenziale, non e' farsi mantenere dal prossimo,
Il film e' una leggenda.
Yossarian
:-)
@->Lara: ehehehehe, grazie, Lara :-) in quell'articolo ci sono inciampato davvero per caso :-) vedendo che si parlava del Drugo (uno dei film più belli di tutti i tempi:-), non ho potuto fare a meno di leggermelo :-) Certo, è tutto divertente, però poi c'era quel particolare che stonava, e allora m'è venuto in mente di scrivere questo articoletto :-)
Grazie ancora, Lara :-)
Bacini drugantibus :-)
@->Antonella: credo che le tue idee sul lavoro e sulla auto-realizzazione siano tutt'altro che confuse, Anto :-) Quello che io mi permetto di criticare è la "mitizzazione" del lavoro, il farne un valore assoluto ed indiscutibile, come se fosse calato dal cielo per grazia divina...il lavoro di per sè non è un valore: il suo valore glielo danno gli uomini...il segreto sta tutto qui :-)
Voglio dire: non è che lavorando, autaticamente sei realizzato...la cosa fondamentale è il percorso che fai...in questo senso, mi è piaciuta tantissimo la risposta del curatore del sito italiano del Dudeismo, quella che ho citato: lui dice che se lavorando 15 ore al giorno ti senti bene, la cosa è più che ok...ed è così che deve essere...
Ciascuno deve essere libero di trovare la propria "strada al lavoro", fermo restando che si guadagni una dignità con le sue forze, senza pesare sugli altri...
E se ti fidi di me, procurati una copia del Grande Leboswky: non te ne pentirai :-)
Bacini russi e bianchi :-)
@->Farly: grazie, grazie, Farly :-) in fondo è proprio così: quel film stupendo più che un'esaltazione dell'ozio, è un inno poetico alla libertà, un vera e propria visione zen del mondo, adattata alla modernità più frastornante :-)
Bacini drughetti :-)
@->Vanessa Valentine: non ci crederai, Vale, ma leggendo l'articolo sul Corriere, pensavo proprio: "...Questo piacerebbe un sacco alla Vale..." :-)
Io me lo sono rivisto poco tempo fa, dopo la visione al cinema dell'epoca in cui uscì, e devo dire che l'ho trovato sempre fantastico :-)
In alternativa al Negroni, mi graba tantissimo anche il cocktail che hai suggerito tu, che in fondo è una sorta di variante :-)
Il white russian invece proprio non mi ispira: latte e caffè...pfui :-)
A bowling c'ho giocato qualche volta, ma mi sembrava tutto molto "forzato": quella biglia così pesante, da reggere solo con la punta delle dita...boh...alla fine mi dolevano sempre i tendini dell'avambraccio :-)
Di Drugo mi innamorai anche io...ma come tipo umano, intendiamoci :-) come esempio di esistenzialità stramba :-) ...per il resto, era troppo peloso per i miei gusti :-D
Bacini ricambiati e saluti a tutta Poultryville :-)
@->Yossarian: vero, vero, Yoss...infatti, quello che ricordo benissimo di quando uscii dal cinema dopo la visione di questo film fantastico, è che mi sentivo tutt'altro che propenso all'ozio o al fannullonismo :-) Anzi, la storia mi aveva infuso un senso di bellezza tale, che sentivo la voglia di trasmetterne altra al mondo, per quello che sarei stato capace coi miei più modesti mezzi...
Per questo il concetto secondo cui non ci si deve mai fidare dell'interpretazione letterale, bensì fare affidamento allo spirito, lo trovo più che mai vero...
Il "messaggio" del film (anche se messaggio fa schifo come parola e come idea :-) è proprio questa esaltazione contagiosa della bellezza...altro che gravare sulle spalle degli altri :-)
Ciao Yoss, grazie della visita :-)
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