venerdì 16 settembre 2011

Io Tarzan, tu homo post-prospetticus


Quando ci rechiamo in un museo, ad una mostra, quando ammiriamo un edificio, o entriamo in una chiesa di particolare pregio artistico-architettonico, oppure nel momento in cui prendiamo in mano un libro d’arte, ci dobbiamo aspettare qualcosa che educhi il nostro modo di vedere il mondo, oppure qualcosa che ci parli di come il nostro modo di vedere il mondo è stato educato?

Una risposta precisa, fra le due possibili alternative, credo non la si possa fissare. Io direi che possiamo trovare parecchia verità in entrambe. I quadri e le opere d’arte in generale sono specchi che riflettono parecchio della nostra identità culturale ed umana, aiutandoci nel contempo a comprenderne certe sfumature più oscure ed occultate dietro il velo della complessità. Sono insomma specchi che non solo rimandano l’immagine, ma che ci fanno anche capire come essa si sia formata, qual è stato il clima esistenziale in cui s’è forgiata.

L’interazione fra uomo è mondo è faccenda assai complessa. Essa consta di un incessante scambio in andata e ritorno di stimoli sensoriali e mental-affettivi, con l’aggiunta di una raffinatissima elaborazione che di questi viene realizzata interiormente. Il mondo cambia noi, mentre noi cambiamo lui (o perlomeno, presumiamo di farlo…). In questo senso il nostro sapere s’«informa» continuamente delle misure e delle proporzioni del mondo, mentre il mondo a sua volta è «informato» e delimitato dalla narrazione derivante dal nostro sapere.

«…L’uomo si distingue dagli altri animali per la capacità di armare i suoi sensi, anzi di prolungarli mediante l’assunzione di utensili, e di acquisire una abilità tecnica nell’usarli. Ma non basta ancora, poiché anche presso certe specie animali si potrebbe trovare questa stessa facoltà di assumere utensili e di raggiungere un’abilità tecnica; l’uomo si caratterizza ulteriormente per il fatto di saper rinnovare le proprie tecniche, liberandosi di tanto in tanto di quelle rivelatesi non più efficaci, e inventandone altre più idonee. Inoltre, questo stesso prolungamento tecnologico è tale da superare il fastidioso bisticcio tra la materia e l’idea, il corpo e la mente: l’uomo prolunga indifferentemente (o meglio, congiuntamente) sia la rete sensoriale, sia il sistema nervoso…».

L’arte contemporanea
Renato Barilli - 1984

Ogni epoca è inserita in una sua propria “griglia culturale-interpretativa” della realtà. Anzi, si può dire che il passaggio dall’una all’altra epoca è stato quasi sempre segnato dal modificarsi di questa griglia. Ogni uomo, nella specifica epoca in cui gli è capitato in sorte di vivere, non solo tocca, vede, ascolta, gusta, odora il mondo, ma lo fa entro un orizzonte di coordinate culturali a loro volta delimitanti l’«atmosfera umana» dell’epoca in questione.

Si tratta di un circuito per certi versi “virtuoso” e per certi altri “vizioso”.

“Virtuoso”, perché dà adito ad un meccanismo che si autoalimenta: l’intervento umano sul mondo lo può migliorare, raffinare, portare sulla strada di una progressiva tendenza ad assumere complessità positive, e tale miglioramento finisce per riflettersi di rimando sull’uomo, stimolandone a sua volta l’impreziosimento interiore, e così via.

“Vizioso”, perché difficile da afferrare, capire e penetrare, come accadde con tutti i fenomeni in cui si è immersi talmente in profondità da non riuscire più ad osservarli con il distacco e la distanza necessari per comprenderne le dinamiche interne nella loro effettività.

Ecco, fra le innumerevoli cose che l’arte fa, c’è anche la duplice proprietà di saper esaltare quella “virtuosità” di cui parlavo sopra e nel contempo di provare a tirarci fuori dalle secche della speculare “viziosità” citata. L’arte aiuta a capire il mondo, alimentandone nuove possibili interpretazioni.

In diverse altre “puntate artistiche” a voi precedentemente propinate, ho preso in considerazione l’opera di alcuni protagonisti dell’arte contemporanea. Una delle motivazioni più decise che abbiamo visto spesso ricorrere nell’ambito della poetica di diversi di questi grandi autori è stata la volontà di superamento della prospettiva. Ma perché fra le coordinate dell’«inferriata prospettica», per secoli l’arte ci ha praticamente navigato a tutto vapore, ne ha fatto il proprio humus, il proprio habitat naturale, e poi ad un certo punto s’è messa a schifarla come se a sentirsi avvolti da essa fosse lo stesso che stare dentro ad una chiavica?

La risposta è semplice (per modo di dire): aveva avuto inizio la contemporaneità.
Se con l’introduzione della prospettiva, venne battezzato l’ingresso nell’epoca moderna, è stato soltanto col suo superamento che abbiamo potuto tuffarci a pesce e sguazzare di conseguenza nel non sempre limpido laghetto dell’acqua contemporanea.

Ma queste sono un po’ frasi fatte, slogan a buon mercato difficilmente in grado di mordere a fondo, fino a giungere ad assaggiare il sapore effettivo di un significato che soddisfi al meglio il palato concettuale. Vediamo se si può fare di meglio.

Riassumendo, la domanda è sostanzialmente questa: perché con la prospettiva ha inizio l’epoca moderna, mentre col suo superamento s’inaugura quella contemporanea?

Un’inedita ed affascinante “spiegazione-suggestione” riguardo a questo fatto l’ho ritrovata nel già citato testo del professor Renato Barilli (al quale è dovuto ovviamente anche un po’ tutto il ragionamento di questo articoletto). Secondo l’autorevole parere del professor Barilli, ad andare a grattare la trama della griglia prospettica, ci si ritrova sotto una “griglia culturale” fortemente influenzata dall’invenzione della stampa a caratteri mobili.

Nel blocchetto dei caratteri stampati, da Gutenberg in poi si andò condensando l’elemento simbolico più importante nell’opera di “metaforizzare” quel punto di contatto e di scambio fra uomo e mondo di cui ho parlato in apertura.

La realtà veniva inquadrata dal rettangolo della pagina stampata in un orizzonte precisamente delineato, entro il quale ci si muoveva secondo precisi binari lineari e ben misurati, sulla base di direzioni sempre uguali e ben codificate (l’andirivieni dell’occhio lungo le righe). Può sembrare un’ipotesi estrema e bizantina, ma considerate che da allora il sapere tende ad assumere la forma dello stampato. E’ un dettaglio, a prima vista, ma a ben soppesarlo ha un’importanza notevole.

Un dispositivo di sensibilità spaziale e culturale molto simile veniva introdotto dalla prospettiva. Muovendoci nell’ambiente prospettico, ci troviamo a confrontarci con uno spazio perfettamente misurabile, meccanicamente organizzato secondo una logica di causa ed effetto, uno spazio in cui la sequenzialità è rispettata in maniera rigorosa (come nella lettura, appunto).

Lo spazio prospettico è fatto di porzioni fedelmente rappresentanti un prima ed un dopo: se sono posizionato in un punto lontano, rimpicciolisco, mentre avvicinandomi all’osservatore, aumento di dimensione. C’è sempre un’esatta rispondenza logica fra posizione, distanza, grandezza. L’aumento o la diminuzione di grandezza significa spostamento misurabile e precisamente posizionabile lungo lo spazio. Spazio e tempo sono indissolubilmente stretti l’uno all’altro nell’abbraccio «newtoniano» (velocità = spazio\tempo), che ne fa praticamente un’unica entità bicefala.

Secondo il professor Barilli, l’epoca contemporanea (databile, a grandi linee, a partire dal secondo decennio del XIX secolo) supera invece la modernità con l’introduzione di un nuovo importante “macro-capitolo tecnologico”, che avrà riflessi inevitabili sulla direzione culturale verso la quale il sapere, da allora in poi, muterà la consapevolezza di se stesso. Questo nuovo fattore intervenuto è l’invenzione dell’elettricità.

Non a caso, al nuovo “mondo elettrico” la prospettiva andrà sempre più stretta. L’«anti-prospettivismo» è la “cifra” inevitabile di questo nuovo mondo. Per questo, a partire da Paul Cézanne come primo grande precursore, la prospettiva verrà abbandonata come categoria ormai incapace di raccontare la relazione fra uomo e realtà.

Il “mondo elettrico” non può ubbidire più ai dettami imposti da un gradiente spaziale. La sequenzialità viene scalzata dalla simultaneità. L’attitudine a spostarsi gradatamente lungo tragitti misurati, viene sbaragliata dalla facoltà di superare le distanze istantaneamente. Il tempo, che la prospettiva poteva allegoricamente fondere e confondere in accoppiate del tipo “lontano = passato” oppure “vicino = presente”, tende ora invece ad attestarsi tutto su un perenne sentimento del “costante presente”.

Causa ed effetto non sono più discernibili in maniera precisa, nettamente stagliati contro l’orizzonte. Cause, effetti, analogie, similitudini, echi reciproci, s’intrecciano nel nuovo “mondo elettrico” in una rete molto complessa, in una matassa della quale è assai difficile, se non impossibile, andare a trovare i capi estremi. Se non temessi di sembrare un super-fanfarone culturale, aggiungerei addirittura che con la contemporaneità si supera per certi versi anche l’avvinghiante abbraccio “newtoniano” fra spazio e tempo, per approdare sulle inedite e spaesanti spiagge del principio di indeterminazione di Eisenberg…ma dato che così facendo, il tasso di fanfaronismo supererebbe il livello di guardia, quasi quasi mi astengo…

Per questo dunque l’arte contemporanea è così presa dal superamento della prospettiva. Perché essa era ormai un contenitore scaduto, non più in grado di racchiudere fedelmente il modo in cui l’uomo aveva preso a sentire se stesso nel mondo.

Insomma, cari amici viandanti per pensieri, come vedete il discorso è lungo e parecchio articolato. A cercare di dipanarlo nel giro di uno sgangherato articoletto, si pecca forse un po’ di presunzione. Con il fondamentale aiuto del professor Barilli, io ci ho provato. Poi di robe ce ne sarebbero altre mille da aggiungere. Intanto accontentatevi di queste. Sempre meglio di mezz’ora passata ad ascoltare la De Filippi.

O almeno spero…

4 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

bellissimo gilly. nei miei vagabondaggi era un po' che mancavo. hai messo insieme un gran bel pezzo. E' vero che ora è il principio di indeterminazione a governare il sentire, l'incertezza che diventa basamento della cultura contemporanea, si riflette nella destrutturazione delle forme che caratterizza tanta arte contemporanea. ora la realtà comincia di nuovo a fare capoccella nelle opere più nuove, chissà magari stiamo cominciando ad essere meno destrutturati e magari si preannuncia una qualche unificazione, tra macro cosmo (newtoniano) e micro cosmo (quantistico)... be' almeno i fisici ci provano come disperati :-)
baci molto colti

Gillipixel ha detto...

@->Farly: grazie, cara Farly :-) è una soddisfazione essere parte di una chimera così colta :-)

Forse la realtà torna a frasi interessante in senso mitologico...e la sparo proprio grossa :-) nel senso che una volta che ci si è accorti che andando sempre più in profondità, spesso e volentieri si rimane con l'originale pugno di mosche o poco più, si preferisce far ritorno a delle spiegazioni mitiche della realtà, dove tutto è dato nel suo mistero superficiale, accettando il velo di Maya che illusoriamente ammanta il reale (...l'avevo detto che la sparavo grossa :-D

Mi riferisco ad esempio al grande pittore americano Edward Hopper, così realistico e quotidiano, quasi banale nelle ambientazioni, ma così intenso, profondo, denso di addentelati esistenziali reconditi :-)

Bacini troooppo culturali :-D

Paolo ha detto...

Molto interessante. Aggiungerei una citazione di Emile Zola «Odio le persone stupidamente serie e quelle stupidamente allegre, gli artisti e i critici che proclamano scioccamente che la verità di ieri è la verità di oggi. Non capiscono che stiamo andando avanti e che il paesaggio cambia».

Gillipixel ha detto...

@->Paolo: grazie Paolo, soprattutto per la pazienza che hai avuto a leggere questo mio mattoncino :-)

Bella la citazione di Zola, grazie anche per quella...forse la verità è una pianticella che i nostri avi ci hanno trasmesso, confidando nella nostra solerzia e nell'amore che ci metteremo, continuando ad innaffiarla e curarala per farla crescere sempre più rigolgliosa :-)

Ciao Paolo, è sempre un piacere quando passi e lasci un commento :-)